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martedì, settembre 28, 2021

Gocce d'inchiostro: Una casa quasi perfetta - Emily Eden

Una mattina << l’ora della lettura >> venne impiegata in modo inaspettato. In solitudine attraverso lande deserte che quasi sempre mi conducono da qualche altra parte. Non resuscitando o instaurando alcunché di nuovo o diverso, ma la cui luce, aura è un faro nella notte. Resti scheletrici di un epoca che da sempre sortisce il mio fascino, il posto adatto in cui amo scorrazzarci, il set della mia vita per antonomasia. E in un certo senso questa è la ragione per cui amo i classici. E questa ragione mi induce anche a leggere romanzi che intrappolati in un’apparente mitezza, trovano sfogo nella realizzazione dei sogni degli altri, nel nullo appagamento dei sensi, il tutto servito come la visione di una scenografia di cui lo stesso lettore deve giudicare e criticare. Il bersaglio questa volta fu questa Casa quasi perfetta della Eden, intestardita a voler raggiungere ciò che magari una Austen o una Bronte giunsero in maniera meno sottile contro cui scaricare la << rabbia >> di convenzioni e dogmi che involontariamente ti piegano al suo volere. Qualcuno potrebbe diffidare con un approccio come questo. Il romanzo di Emily Eden però si frantuma nella monotonia del giorno trasmettendo sensazioni piacevoli perché scuri di quel sentimento amoroso, scevro di quei dolori sordi che spesso mi fanno palpitare il cuore. Tuttavia è stato davvero impossibile non identificarsi con gli altri, con chi mi ha tenuto compagnia, vestire i loro panni affinchè il lato sordido della natura fosse oscurato completamente.

Titolo: Una casa quasi perfetta
Autore: Emily Eden
Casa editrice: Elliot
Prezzo: 17, 50 €
N° di pagine: 186
Trama: Lady Blanche Chester, neosposa bella e piena di vita, si trasferisce in una villetta bifamiliare nelle campagne inglesi. Aspetta un bambino, e per questo non ha potuto seguire il marito negli incarichi governativi che lo impegnano all’estero. La sorte le riserva dei vicini distanti per classe sociale – gli Hopkinson appartengono alla middle class – ma molto affini per inclinazioni e carattere con cui Blanche, talvolta capricciosa ma di buon cuore, instaura una solida amicizia. L’intrusione dei baroni Sampson, snob e arrivisti, rischia però di turbare questo miracoloso equilibrio…

La recensione:

Non c’è dubbio che Emily Eden sia stata una donna scaltra e dotata di una certa vitalità, una varietà di temperamento miscelata a una certa freschezza, una spontaneità che molte nobildonne del suo rango, stucchevoli, arcigne e superstiziose, sentiva di avere come portafortuna. Ma questo tratto distintivo del suo carattere la riportò a un discreto successo, a valicare i confini dell’impossibile, riportando ogni cosa lentamente sul piano semplice e primitivo delle cose. L’ho visto bene. Pur leggendo assiduamente classici, arriva un momento in cui fra discussioni fra le middle class, matrimoni inaspettati, convivenze forzate, si mantengono le riserve; si resta sul fondo con un certo sussiego intellettuale verso qualcosa che sembra apparentemente sofisticato e che sembra possa funzionare con gli altri ceti sociali, ma non con la protagonista di questa storia. Ho avuto come l’impressione che molto di quello che ritraggono queste pagine, seppur non emozionanti e indimenticabili come tanti altri romanzi del genere, acquistano un certo equilibrio nel saper affrontare la vita in maniera del tutto diversa. Questa è l’incessante lotta dell’autrice di cui questo romanzo spiega come faticò a resistere a certe tentazioni, e a resistere.
Tipica fu la sua reazione nell’osservare il mondo circostante, il ritratto di un mondo che evidenzia aspetti dissacranti e critici. Aspetti più arguti e vivaci che danno luce ad altri elementi, intrappolati nella ruggine del tempo in cui si alena a scovare la perfezione. L’inappagamento, l’insoddisfazione che stonano con l’aura di finto buonismo e perbenismo di Blache, troppo insicura e impaziente. Il suo vivere in condivisione. A mio avviso, piccole sottigliezze per aiutare una persona a tirare fuori qualche aspetto del mondo, non dimostrando alcunchè, lasciandosi guidare dal suo istinto. L’idea di osservare il mondo in cui visse l’autrice che in un certo senso è lo specchio interiore di ognuno di noi mi ha affascinata molto. Sicuramente il suo non poter scrollarsi di dosso i pregiudizi dell’intelletto che giudicava e criticava per sottopormi a qualcosa che in tutta la vita non aveva mai preso sul serio.
Quando misi piede fra queste pagine dove ho visto qualcosa che effettivamente ho visto svariate volte e lasciarmi andare all’inconscio, vestire i panni di figure che in un certo senso non mi appartengono, pendeva il fantasma di un isolamento che si contrappone a una condizione e una dimensione di apparente tranquillità che trova sfogo nella monotonia del giorno, nella frivolezza di certi aspetti privo di fondamento.
Ho avvertito il richiamo denso e intrinseco di queste pagine, qualcosa dentro di me cominciò a muoversi, e passare così una manciata di giorni o ore in compagnia di un autrice di cui non avevo letto niente, con i suoi antieroi e gli altri – figure che si muovono sullo sfondo come piccole macchiette – contribuirono ad allontanarmi da rabbie, pensieri impuri e densi di rammarico, dalle cose che incapparono nel mio cammino in questi ultimi tempi, e adesso che ero incappata nella conoscenza di Emily Eden mi immersi al punto tale che divenni un tutt’uno con le sue pagine.
Il libro parla di uno stato totalitario che predomina, subentra su ogni cosa come un effetto devastante e scatenante che innesca una sorta di avversione che si pone dinanzi a degli interrogativi in cui l’aura semplice cozza con quella filosofica, moralista di quei cittadini che, dominati da una certa bontà d’animo, si vergognano a far del << male >> al prossimo e i cui gesti scaldano il cuore, quasi una sorta di profonda devozione a ciò che possa darci un chè di sereno, tranquillo, quasi si trattasse della ricerca perpetua della felicità. La felicità è una maschera da cui è possibile celarsi e allo stesso tempo tenere ben saldo affinchè non si cadi nelle convenzioni. Una casa quasi perfetta non esalta ne stravolge la vita di chi legge, come un bellissimo e avvincente poema romantico, ma ha stravolto qualunque forma o concezione moralista e filosofica che avevo riposto nell’inutilità di quei romanzi che << parlano ma non dicono niente >>.
Queste inutili ipotesi su un mondo che effettivamente sto conoscendo solo adesso, mi hanno proiettato in un luogo di cui ho fatto conoscenza tanto tempo fa, ma allo stesso tempo nuovo in cui all’improvviso ogni cosa di ciò che racconta la sua autrice sembra così diverso – diverso perché la Eden stessa visse in un epoca molto simile a quella descritta – che tuttavia perpetua nel tempo e occuperà un certo spazio. Lo si legge confidando che qualcosa di buono o qualcuno possa giungere per mutare le sorti, modifichi ogni cosa al punto di cancellare qualunque malvagità, e il tutto immerso in una patina di drammaticità, severità che cozza con quella parvenza di eccitazione e felicità che escludesse ogni cosa.
La vita è quello straordinario spettacolo che bisogna saper interpretare, manifestazioni contro forme di ribellioni, contro la contesa di qualunque forma di rivoluzione, eventi che in un certo senso hanno attratto decine di persone e che li costringono a trascinarsi come sonnambuli ubriachi in forme di vita e sopravvivenza in cui la pressa della giovinezza soppianta i ricordi freschi della vecchiaia. Un senso così vivo e profano del presente, uno slancio tale da far credere che il tempo dovesse durare in eterno.

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