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lunedì, novembre 15, 2021

Gocce d'inchiostro: La regina dei dannati - Anne Rice

Un altro capitolo di questa incredibile, bellissima saga, che mi colpì come un treno in corsa, attenuò qualunque << impossibilità >> di divorare e interiorizzare una storia come questa. Perché scrivo questo? Perché, quando qualche settimana fa sentì gracchiare la voce della Rice dalla mensola straripante di una libreria troppo capiente, pensai che mi sarei imbattuta in qualcosa di estremamente assurdo, quasi trash, che così come aveva spalancato porte di possibilità in un battito di ciglia li avrebbe serrati. Ma questi i momenti preferiti della mia vita: scoprire come qualcosa di apparentemente insignificante, in una manciata di ore diviene indispensabile. È sempre stato così con le conoscenze, gli amori, le amicizie, non valutando mai che il peggio poteva essere dietro l’angolo.
Una zona di cui ho potuto stanziare, questa volta, comunque, la bellissima Maine dei giorni nostri in cui le vicende narrate, districate hanno scaturito una melodia più romanzata, languorosa, paurosa mista al forte desiderio di vivere una passione devastante a cui mi sono abbandonata con tutto il corpo, eccitata dal duplice scopo di ogni gesto umano. Inerpicarsi in una strada che mi ha condotta dritto dritto alle braccia di un destino che nessuno avrebbe mai compreso, colmo di amore, tristezza, l’ansia devastante di un sogno, frammista a una parola sorda, nauseante, mi pose dinanzi alla morte vera e propria. Nient’altro. Né la bellezza di un cielo trapunto di stelle, così fulgide da far smarrire le costellazioni, senza alcun disegno, alcun significato, ma la vittoria dell’energia e della materia. Questo terzo capitolo investe su un suono sordo, assurdo, assolutamente irresistibile da cui la sua autrice ha creato dal nulla quello che io ho definito << il suono del respiro >>, del battito del cuore, mosso da una forza estremamente magnetica che fra lo spazio e la terra si muove a una velocità immane e naturale, causa di tumulti invisibili e visibili.


Titolo: La regina dei dannati
Autore: Anne Rice
Casa editrice: Tea
Prezzo: 6, 90 €
N° di pagine: 507
Trama: Da 6000 anni Akasha e Enkil, sovrani dei dannati, dormono un sonno profondissimo, una sorte di “vita sospesa” tra la vita e la morte. Qualcuno ha vegliato su di loro per tutti questi secoli, perché, se uno di loro dovesse morire, tutti i vampiri della terra scomparirebbero. Ma ora Lestat, il vampiro divenuto una famosa rockstar degli anni ’80, ha risvegliato la “regina dei dannati”, pronta a realizzare il suo sogno e il dominio assoluto sugli uomini e sui vampiri al fianco di Lestat di cui è perdutamente innamorata. Solo le due gemelle vampire dei capelli di fuoco potranno salvare il mondo e sopraffare la potente e sanguinaria sovrana.

La recensione:

 

L’amava come la gente ama il male, perché l’eccita fino nel profondo dell’anima.

 

Nella libreria virtuale del mio Kobo, già da qualche settimana, stanziano le opere di una talentuosa autrice americana, celebre, chiacchieratissima e amatissima i cui figli di carta sono emblema, esempio di ciò che è divenuta oggi << l’epoca del vampiro >>. Con le sue elucubrazioni fantastiche, il mito che incontra l’epoca classica e greca, ci si domanda se ciò a cui assistiamo, ciò cui la Rice ha scritto sia qualcosa di estremamente <<veritiero >>. Credo nel mito, nella magia, nell’arte del folklorismo? Certo, ma solo in buona parte. Personalmente abbraccio l’intangibile con stoicismo, quasi indifferenza. Li considero prodotti artificiali di cause perse. Qual è il loro fondamento? Qual è la loro genesi? Il problema – quando si legge questa tipologia di romanzi – è che tutto ciò che mi ha impartito la narrativa fantasy per ragazzi è frutto di mancata produttività, storie partorite per puro svago, senza però porsi sulle basi di una storia che avesse un vero e proprio fondamento. Voglio dire, leggevo di vampiri scintillanti, bellissimi, freddi come il ghiaccio e mi domandavo da dove provenissero. Da dove fosse esordita questa lenta iniziazione del vampirismo. Così come l’uomo proviene da Adamo e Eva, queste storie dovevano provenire da qualcosa o da qualcuno. No? Ma questi sono solo alcuni di quelli interrogativi che mi pongo, ogni qualvolta mi approccio a una nuova lettura a cui non ho quasi mai risposta. Mi lascio cullare dalla vita, da ciò che essa mi riserva acquietando la mia sete di sapere con un << va bene così>>. Ma se ci penso, si potrebbe valicare il confine di questa forma di soddisfazione. Questa è solo una delle tante magie più forti di me cui non avrò mai risposta. Ma non è forse così?
La Rice, però, dipinge in questi romanzi qualcosa che va al di là del semplice atto morale di essere una creatura del male. Il vampirismo, del resto, è qualcosa che è causato da una magia e che non ci sono medicine che la guariscano. Lestat, Nicolas, Pandora, Akasha, Jesse, Marius, vennero verso di lei dopo essere stati messi al mondo. Ma chi erano esattamente questi vampiri? Da dove provengono? Mi è stata raccontata una storia che interviene a colmare alcune lacune sortite dalla lettura del secondo volume, ma solo in parte: ci sono ancora aspetti, risvolti narrativi che sono certa che la Rice colmerà nei volumi successivi. Ma, al momento, portata nella Maine degli anni ’80, con terribili tremori, conoscenze inconcepibili e intellegibili, proposte con forme di certezze proprie e improprie che in un primo momento avevo definito come tragedie e avventure prive di significato, ma in realtà sono forme magnifiche nate da errori, orrori di qualcosa che avrebbe potuto innalzarci all’incoerenza, all’incubo verso la luce ardente della redenzione. Dominatori di piccoli regni personali, tenebrosi e sicuri più che mai.
Si trattava di svelare quella tela cupa dell’ignoto. Disvelare qualunque forma oscura, maligna affinchè l’impossibilità della verità che avrebbe affermato aspetti generici, procedendo senza di essi, ottenendo un posto che potesse rendere questi vampiri non forme che il tempo avrebbe estinto quanto esseri che conoscono, vedono il mondo circostante come figure sagge e invincibili. Sebbene non esista una misurazione di potenza ma che, solo se soddisfatti, avrebbe sortito qualcosa. Si trattava di un lungo pellegrinaggio alla felicità e alla ricerca, un’indagine sulla coscienza, sull’identità che ci induce a riflettere su chi siamo e cosa diventiamo quando abbandoniamo la carne e ogni suo piacere. Litania di ingiustizie, le cui vere risposte ci sono state date da tante complessità. Il vero nemico della specie umana è l’irrazionalità, la spiritualità che è separata dall’elemento materiale. Ma la corsa inarrestabile alla sopravvivenza avrebbe portato dinanzi a una strada: scovare una parte del mondo che ci faccia sentire a nostro agio. Non importa quale sarebbe stata e come la si doveva intraprendere. Quanto suggerendo un’antica maledizione che è stata ridestata grazie al risveglio di esseri, demoni e da ciò che essi rievocano energia, corpi che non solo altro che involucri riempiti di energia. Fiori di un'unica liana, prigionieri di tali poteri i cui doni in possesso sono utilizzati per il bene della loro stirpe. Non potevo esimermi a vedere come Lestat, vampiro crudele ed egoista conosciuto nel primo volume, aveva confezionato una canzone ingarbugliata con frammenti di antiche verità che, ascendendo dinanzi a tanti altri giovani, era precipitato dritto dinanzi a me, col forte desiderio di comprendere i limiti dell’esistenza umana. La morte, sempre più vicina alla resistenza, avrebbe indotto al cedimento di un afflusso di luce che si affievolisce di suoni ruggenti.
Conoscere i segreti dell’ignoto, scandagliare i limiti del Male è qualcosa di impossibile che ci induce ad allontanarci da tutto ciò che si ama sortendo nient’altro che delusioni devastanti. L’essere umano, non essendo eterno, aspira a poter raccontare qualunque scoperta, avendo visto la verità con i propri occhi. Desiderosi di vivere in eterno, poiché a contatto con creature vicine a tenebre preziose, meravigliose, oscure, risparmiati dalla grande Regina dei dannati mediante cui sveleranno quelle tenebre oscure e cupe che offuscano ogni cosa. Persino i nostri sensi.
Bere, uccidere, la grande danza del cuore a cuore che avviene quando la vittima si indebolisce, ci si sente espandere, assimilare per una frazione di secondo sfolgorando come una luce accecante. L’amore, ad esempio, prima così invisibile, diviene più forte e potente. Una miriade di immagini frammentate, condite da minacce che gravano tutt’attorno come un fardello fin troppo pesante. Tante e varie forme di coraggio hanno a che fare con la rassegnazione, addolciscono un tono un po' selvaggio, fervido, quasi violento, sciorinando nozioni fra passato e presente, rifiutando qualunque assetto che impedisca di scovare la via della rettitudine.
Quella de La regina dei dannati è frutto di un atto atroce e imperdonabile di generazione vampiresca, descritto sotto un cielo trapunto di stelle, fredde, scintillanti che abbracciano queste creature e me come se facessimo parte di un unico insieme. Ma non riconoscendo nessuno, non comprendendo la bellezza di certi sentimenti come l’amore che in un connubio di conoscenza, ricchezza, libertà, potere che permea il romanzo dissipa i terrori del mondo quotidiano. Così vivido, così informe da apparire nient’altro che chiazze che sguazzano nel calore acceso che irrimediabilmente mi ha investito. O forse solo all’Inferno o al Paradiso? Per qualche istante mi sono dimenticata chi sono, per quale motivo mi sono trovata in compagnia di queste creature mosse da una miriade di sentimenti, forze maligne in cui ogni sfumatura è mescolata all’orrore, alla consapevolezza di essere cose immobili e senza scopo, condannati a restare in eterno in sacrari dorati. Questa verità assoluta diviene così uno sfogo sul passato, nella mitologia, nelle maglie del mondo greco e antico in cui vi sono radicate verità incorruttibili e corruttibili, poiché la storia non ha importanza. Non ha importanza l’arte se non implicata in continuità della realtà che non esiste, assecondando qualunque bisogno umano, quella sete insaziabile di scovare qualcosa.
Su questa storia si è posata una polvere cosmica, uno strappo nel tessuto del mondo e delle credenze razionali che la Rice rammenda e chiude. È questo un mondo passivo in cui il fragore inarrestabile che mi tenne inchiodata alle pagine mi impedì di ragionare mentre le grida interminabili, mortali e immortali del mondo intero sovrastavano ogni cosa. Senza alcun motivo ne fondamento del modo in cui si esiste scegliendo come esistere, privo di logica e conformità che furono quegli ingredienti adatti per accrescere quella fiamma ardente di desiderio, curiosità e interesse che ancora mi domina e che non credo si smorzerà tanto facilmente.

Valutazione d’inchiostro: 4 e mezzo

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