Non tutte le storie d’amore si concludono
positivamente. Un lettore amante e avvezzo della prosa hardyana sa che, aperto
un romanzo dello scrittore londinese, valicandone i confini, potrà uscirne
guasto, quasi distrutto. Forse è esageratamente ridicolo scrivere questo, ma a
qualche ora dalla conclusione dell’ennesimo capolavoro della letteratura
inglese, un’esplosione chimica, causata da una grande assembramento di toni
drammatici, malinconici in cui il lirismo, la poesia coincide con la bellissima
esaltazione dei sentimenti, mi ritrovo a riporre queste poche righe col cuore
stretto in una morsa. Mi sono affacciata sull’altura di un cottage svettante da
una scogliera, e mi sono fatta contagiare dall’opulenza, dalla rispettabilità,
da abitudini, piaceri di un’umanità scomiciata senza fare nient’altro che
vagare in questa landa desolata. Che splendore! Il cuore si libera da questa
morsa e sovrasta i cieli celesti mediante il dolce sguardo di due amanti che
hanno scoperto cosa voglia dire amarsi non producendo nient’altro che cause ed
effetti di artifici e orpelli che l’autore modifica leggermente a seconda del
modo perpetuo della Natura, affinchè l’unico modo per << sopravvivere>>
è di affannarsi e districarsi nel bel mezzo dell’esistenza. Ci si sforza di
abbatterla, seppur gli innumerevoli tentativi, il temperamento bizzarro di
alcuni assetti che confondono il cuore. Perché così come altre storie lette e
vissute, anche questo romanzo si pone su aspetti in cui il Destino, crudele ed
egoista, si contrappone a quello della Natura, delle Arti e della Bellezza,
quasi una potenza cosmica, attiva, sferzante, bramosa di conquista.
Titolo: Due occhi azzurri
Autore: Thomas Hardy
Casa editrice: Fazi
Prezzo: 18 €
N° di pagine: 420
Trama: La bellissima e volubile Elfride, orfana di madre e unica figlia del pastore Swancourt, si innamora di Stephen Smith, giovane architetto di Londra erroneamente ritenuto di nobili origini. Poi, quanso questi per poterla sposare accetta un incarico in India, Elfride conosce l’affascinante e maturo Henry Knight, antico mentore di Stephen; ben presto Knight, come già era accaduto al suo pupillo, perde la testa per la fanciulla. Elfride, divisa tra la promessa di fedeltà a Stephen e la nuova passione per Knight, infine accetta la proposta di matrimonio di quest’ultimo. Ma ancora una volta le cose non vanno come immaginato: una presenza oscura dal passato di Elfride insinua in Knight il tarlo del sospetto sull’onestà della sua futura sposa e il fidanzamento è sciolto. Smith e Knight si incontreranno casualmente qualche anno più tardi, entrambi si scopriranno ancora innamorati di Elfride, ma ormai sarà troppo tardi.
Autore: Thomas Hardy
Casa editrice: Fazi
Prezzo: 18 €
N° di pagine: 420
Trama: La bellissima e volubile Elfride, orfana di madre e unica figlia del pastore Swancourt, si innamora di Stephen Smith, giovane architetto di Londra erroneamente ritenuto di nobili origini. Poi, quanso questi per poterla sposare accetta un incarico in India, Elfride conosce l’affascinante e maturo Henry Knight, antico mentore di Stephen; ben presto Knight, come già era accaduto al suo pupillo, perde la testa per la fanciulla. Elfride, divisa tra la promessa di fedeltà a Stephen e la nuova passione per Knight, infine accetta la proposta di matrimonio di quest’ultimo. Ma ancora una volta le cose non vanno come immaginato: una presenza oscura dal passato di Elfride insinua in Knight il tarlo del sospetto sull’onestà della sua futura sposa e il fidanzamento è sciolto. Smith e Knight si incontreranno casualmente qualche anno più tardi, entrambi si scopriranno ancora innamorati di Elfride, ma ormai sarà troppo tardi.
La recensione:
<< Non è il periodo di tempo, ma il modo
in cui i nostri minuti trascorrono, che li rende sufficienti o insufficienti
alla nostra conoscenza. >>
I momenti, gli attimi, i giorni, le settimane
che trascorro nel santuario magico della mia camera sono perlopiù dediti alla
lettura e alla scrittura. Mi giudico talvolta forse fin troppo dipendente di
scrittura, un vomito di parole che non riesco a contenere e talvolta credo di
voler vivere nel mondo di carta che costruisco perlopiù discretamente. Le recensioni
che scrivo, i romanzi che leggo sono specchi in cui posso riflettermi, anche a
distanza di anni, ma soprattutto in cui evidenziano assetti della mia anima che
tengo prevalentemente nascosta sapendo che a lungo andare potrebbero mutare in
una lenta e incauta distruzione. A forza di tenerle dentro, e riversandole esclusivamente
in quel contenitore imperfetto che è la scrittura, sempre più netto e
sofisticato man mano che attuo giorno dopo giorno questo processo, alla fine
accadrà qualcosa… potrebbero rivelarsi contro! Per questo sono contenta quando
mi siedo alla scrivania, dinanzi a un computer che ancora profuma di nuovo, a vivere
lontanissima in un’altra epoca, in altri luoghi.
Mi piace chiamare questi momenti di pura evasione. Perché? Perché se sono qui che scrivo, parlo di figure di carta e inchiostro che per una manciata di giorni erano divenute persone, avevano vissuto esclusivamente nella mia testa, a me tutto questo piace. Mi dà vita. Letteralmente. Sono quel bisogno imprescindibile che mi tiene legata a questo mondo con quello dell’altra parte, quella cartina strisciante di tornasole dell’inquietudine che prevale in certi momenti della mia vita, così strisciante e pungente ma mai evidente: non propriamente l’espressione più adatta per esplicare il mio amore per la scrittura, specie per chi si trova di passaggio e si imbatte in questa recensione, ma è qualcosa che sento e che non posso ignorare.
Credo infatti che la vera letteratura deriva dai classici. Tendenzialmente drammatici, tragici, ma zeppi di lirismo, sentimentalismo, che come sentinelle silenziose svettano con il loro profilo selvaggio e tormentato dalla costa di un cottage londinese, in perfetta armonia con la rozza arte gotica degli edifici ecclesiastici, ragione del sogno e del mistero in cui fanno sempre posto i miei più vividi pensieri. Le mie emozioni, in questi casi, come uccelli spettrali, si camuffano in un atmosfera che ricorda una visione quasi romantica, quasi trascendentale quasi sempre oscurato da un chè di funesto. Come posso contraddire tutto questo, quando mi imbatto in un romanzo di Thomas Hardy? Quando si tiene su i fili di un dramma romantico che forse nemmeno la stessa scrittura riesce a esplicare così bene, pur avendoci messo piede, soggiornato per un certo periodo, sussultato impunemente a ogni frase, fremito, battito, conferendomi più felicità che malessere, nonostante Elfride – esattamente come la dolce Tess è mossa da mozioni inconclusive e incomprensibili. In verità ero stata contagiata dal tono estremamente solenne e sofisticato, come un’emozione custodita gelosamente nel meccanismo della vita, creato di proposito pur di dare forma e considerazione nell’universo, riducendo la mia anima a niente. Solo un mucchio di polvere invisibile. Perché coincidono con la mia anima, sognatrice e romantica, che nel momento in cui desidera accogliere l’ennesimo ritratto hardyano non si rende conto che per << vivere >> dovrebbe eliminare certe emozioni …. Ma come fare? Thomas Hardy innesca un processo di ammaliamento, struggimento che raramente provo quando leggo altri romanzi classici o contemporanei in cui, nonostante le incombenze della vita, dona un tipo di felicità imprecisata. L’opposizione che si contrappone al decomporsi di una forza amorosa, fra fantasie radicate nell’inesperienza e nutrita nella reclusione fra una passione selvaggia e inflessiva, fervida abbastanza da essere pronta a qualsiasi cosa, nonostante la forza e il voler contrastare qualunque intento maligno. Consapevole di poter liberarmi in qualunque momento da questa inspiegabile malinconia, un potere incontenibile che come l’Amleto di Shakespeare e gli antichi poemi classici si osserva il mondo partendo per la difesa e per l’attacco, levandosi e muovendosi come fantasmi. Spettri di valorosi e corroboranti guerrieri.
Mi piace chiamare questi momenti di pura evasione. Perché? Perché se sono qui che scrivo, parlo di figure di carta e inchiostro che per una manciata di giorni erano divenute persone, avevano vissuto esclusivamente nella mia testa, a me tutto questo piace. Mi dà vita. Letteralmente. Sono quel bisogno imprescindibile che mi tiene legata a questo mondo con quello dell’altra parte, quella cartina strisciante di tornasole dell’inquietudine che prevale in certi momenti della mia vita, così strisciante e pungente ma mai evidente: non propriamente l’espressione più adatta per esplicare il mio amore per la scrittura, specie per chi si trova di passaggio e si imbatte in questa recensione, ma è qualcosa che sento e che non posso ignorare.
Credo infatti che la vera letteratura deriva dai classici. Tendenzialmente drammatici, tragici, ma zeppi di lirismo, sentimentalismo, che come sentinelle silenziose svettano con il loro profilo selvaggio e tormentato dalla costa di un cottage londinese, in perfetta armonia con la rozza arte gotica degli edifici ecclesiastici, ragione del sogno e del mistero in cui fanno sempre posto i miei più vividi pensieri. Le mie emozioni, in questi casi, come uccelli spettrali, si camuffano in un atmosfera che ricorda una visione quasi romantica, quasi trascendentale quasi sempre oscurato da un chè di funesto. Come posso contraddire tutto questo, quando mi imbatto in un romanzo di Thomas Hardy? Quando si tiene su i fili di un dramma romantico che forse nemmeno la stessa scrittura riesce a esplicare così bene, pur avendoci messo piede, soggiornato per un certo periodo, sussultato impunemente a ogni frase, fremito, battito, conferendomi più felicità che malessere, nonostante Elfride – esattamente come la dolce Tess è mossa da mozioni inconclusive e incomprensibili. In verità ero stata contagiata dal tono estremamente solenne e sofisticato, come un’emozione custodita gelosamente nel meccanismo della vita, creato di proposito pur di dare forma e considerazione nell’universo, riducendo la mia anima a niente. Solo un mucchio di polvere invisibile. Perché coincidono con la mia anima, sognatrice e romantica, che nel momento in cui desidera accogliere l’ennesimo ritratto hardyano non si rende conto che per << vivere >> dovrebbe eliminare certe emozioni …. Ma come fare? Thomas Hardy innesca un processo di ammaliamento, struggimento che raramente provo quando leggo altri romanzi classici o contemporanei in cui, nonostante le incombenze della vita, dona un tipo di felicità imprecisata. L’opposizione che si contrappone al decomporsi di una forza amorosa, fra fantasie radicate nell’inesperienza e nutrita nella reclusione fra una passione selvaggia e inflessiva, fervida abbastanza da essere pronta a qualsiasi cosa, nonostante la forza e il voler contrastare qualunque intento maligno. Consapevole di poter liberarmi in qualunque momento da questa inspiegabile malinconia, un potere incontenibile che come l’Amleto di Shakespeare e gli antichi poemi classici si osserva il mondo partendo per la difesa e per l’attacco, levandosi e muovendosi come fantasmi. Spettri di valorosi e corroboranti guerrieri.
Succede che mi sono ridotta ad essere divorata da tutto ciò. È difficile
da spiegare, ma quando giungi in un posto bellissimo in cui la tua anima siede
comodamente in qualunque salotto ottocentesco o sala lussuosa e rudimentale non
hai idea di cosa doverti aspettare, fin quando non succede. Almeno una volta a
settimana una lady o un miss si presenta ala porta di casa mia con un
cappellino a tesa larga o un bastone da passeggio. Poi un giorno fu il turno di
una ragazza dai capelli dorati, il vestito di seta, due occhi azzurri splendenti
e accesi che come una sentinella silenziosa avrebbe omaggiato la memoria di una
persona amata, dissipando qualunque aspetto malinconico, qualunque forma di
solitudine, dominando l’animo di un forte senso di tristezza e grandezza. Una
miniatura, insomma, in stile architettonico che suggerisce forme di oblio e
dimenticanza, che una volta messo piede ritenni anche io concreto.
Il cuore dell’intero romanzo fu proprio questa. L’ingenua ma
romantica Elfride, che come una fatiscente torre color oro svetta dalla cima di
colline prospere e verdeggianti, e che col passar del tempo non inquietò più
con la sua figura frivola e altezzosa ma la si osservò con occhi diversi da
prima accogliendo un numero spropositato di soggetti che man mano mi inoltravo
fra i suoi corridoi divennero sempre più vivi, in qualche modo parte della
stessa vita che popola e fa il mondo.
Il modo perfettamente razionale in cui noi uomini adottiamo una
storia per viverla sulla nostra pelle, recimando qualunque pregiudizio o remora
iniziale purchè non ci lasciamo coinvolgere dagli assalti esterni, e le
sorprese irrimediabili che essa procura, perché senza la letteratura io non
sarei mai più la stessa. Impazzirei nella mia impossibilità di muovermi, non
attaccando niente e nessuno in particolare, ma un buon movente per mettere in
gioco la ragione.
Questa apparentemente inavvicinabile ragazza di cui parlavo
suggerì un che di affascinante e spettacolare. Io apro un libro di Thomas Hardy
e mi chiedo, fra me e me, per quale ragione non vi abbia messo piede prima: non
avevo mai sentito il mio cuore sussultare così freneticamente. Bisognava
avvertire tali rumori in precedenza, prima di lasciarsi contagiare da alcunchè.
Ma quante cose avrei fatto se lo avessi saputo precedentemente! In ogni cellula
di queste dichiarazioni d’amore antropomorfe c’è la magia di sentirsi informe
ad ogni cosa, il veleno di questa improvvisa forma di amore i cui ricordi
cozzano con l’irruenza del passato. Bisognava aspettare. E nel momento in cui
arrivò, perché non fare di queste opere una dimora di assoluto benessere per la
mia anima?
La bizzarra contrapposizione fra l’ardore giovanile e un
adultera disperazione trovò sfogo e respiro nell’immaginazione anziché nella
realtà. Una stravaganza generata una sgradevole monotonia che conduce “fuori
strada”. Lasciai la mia camera sul preludio di un lunedì che il buio aveva
già invaso ogni cosa, ma nel silenzio si sentivano le voci e ogni tanto le
sonore risate di quelli che erano stati miei compagni di viaggio, che andando
su e giù in questa landa brulicante di vita adempiettero a svariate forme di
interpretazione morale e individuale. Si, perché era evidente la loro anima
ardente, fragile, dolce e ingenua stanziarsi in un paesaggio ricco e vigoroso
ma la cui suddivisione fra classi non sembra concedere alcuna via di scampo.
Bellissima storia d’amore che ti impone a conoscere l’anima e il
cuore di tutte le cose, è anche un invito a osservare il mondo che devasta,
tramortisce, rende vulnerabili in cui la suddivisione fra ceti è l’ennesimo
effetto scatenante che innesca una sorta di avversione fra i personaggi. Ci si
domanda se valga la pena farsi contagiare dai dettami religiosi, dal tono
severo ed elegiaco di certe dottrine, condividere testi filosofici in cui
dimorano pensieri scintillanti e ardenti, e se abbracciare una materia come
quella riguardante la letteratura. Dato che l’uomo è continuamente sottoposto a
terribili punizioni, conseguenze che intercorrono fra la vita e la morte. In bilico fra estasi e sogno, in un mondo zeppo di
meschinità, ipocrisia, cattiveria, il senso della vita intrappolato nella sua
orbita.
Non si può giocare con i cuori, che l’amore
incoraggiato è pronto a crescere, l’amore scoraggiato è pronto a morire, con
solo un momento di preavviso.
Valutazione d’inchiostro: 5
Letto qualche anno fa; libro stupendo, storia strappalacrime, ottima recensione
RispondiEliminaConcordo! E' piaciuto tantissimo anche a me :)
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