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giovedì, gennaio 27, 2022

Gocce d'inchiostro: Invisibile - Paul Auster

 Parlare di me e della mia sfera privata non è mai stato il mio forte, e quando scrivo le recensioni dei libri che leggo – seppur trapelino sempre qualcosa che rivela un assetto della mia anima -, certi argomenti mi consumano letteralmente. Perché? Perché anche se chi mi legge trascorre in mia compagnia una frazione del tempo passato insieme, un’altra breve frazione prende consapevolezza che in questi brevi momenti in cui ci si espone vi è quasi sempre uno scambio di gesti, un dare e avere che riguarda non solo il presente ma anche il futuro. Il romanzo di cui vi parlo quest’oggi non esula assolutamente da questa forse inutile premessa, ma Paul Auster esercita su di me un certo effetto al punto tale che, ogni qualvolta decido di approcciarmi ad un suo romanzo, vengo assorbita da un complesso dialogo incessante fra la mia anima e la sua, condividendo pensieri, idee come assetti principali del nostro legame. Anche Invisibile venne fuori come un accordo di tante cose in cui il merito dell’autore sta nell’aver realizzato un romanzo la cui visione pessimistica trasporta in momenti di solidarietà, gentilezza e bellezza, vagando come anime dannate col desiderio insopprimibile di trovare un’esistenza vivibile, intrappolata tuttavia in corpi che non mi sono appartenuti ma che ho avvertito intensamente. Come il battito di un martello, un cuore impazzito, vivendo un meccanismo meraviglioso, elaborato e apparentemente complesso inscenato alla velocità della nostra coscienza, fornendo un’armonia ribelle, solenne, un suono che si è insinuato nel corpo e lì vi è rimasto.


Titolo: Invisibile
Autore: Paul Auster
Casa editrice: Einaudi
Prezzo: 12 E
N° di pagine: 280
Trama: Nel 1967, Adam Walker ha vent’anni e studia a New York; la sua unica aspirazione è diventare poeta. Durante una festa conosce l’enigmatico professore parigino Rudolf Born e la sua seducente fidanzata, Margot, con la quale ben presto instaura una relazione. Rudolf, scoperto il tradimento, caccia la donna senza tuttavia mostrare risentimento nei confronti di Adam che continua a frequentarlo sino a quando, una sera, non assiste alla criminale esplosione della sua aggressività. Consapevole di aver vissuto un’esperienza che lo segnerà per sempre, Adam trascorre l’estate in città con la sorella, ritrovando il legame che li unisce sin dall’infanzia. In autunno Adam dovrà partire per Parigi, la città in cui è tornato a vivere Born. Adam sa bene che difficilmente potrà evitare di incontrarlo e che si dovrà così confrontare con la parte più nera e imperscrutabile della propria anima.

La recensione:

 

Dalla poesia alla giustizia, dunque. Giustizia poetica, se vuoi. Perché, tristemente, resta un fatto: che al mondo c’è molta più poesia che giustizia.

 

Naturalmente le mie capacità di ridurre i miei più sentiti pensieri su una lettura del genere sono facilmente riconducibili al niente. Con il tipo di storie, trame e stile di scrittura che adopera Paul Auster non si diventa chiacchieroni. Tutt’altro. In certi casi vivo delle situazioni in cui qualunque speranza di compiere uno sforzo sovraumano di collegare una o più parole è un’impresa titanica a cui fanno seguito momenti in cui nemmeno io riesco a tenere a bada le mie emozioni. Ho vissuto l’esperienza che il protagonista di questa storia vive in queste pagine investendo bene il mio tempo nell’interpretare la qualità di un testo, raffinato ed esclusivo, che mi permettesse di conoscere la scienza, orientarmi in una lenta scissione fra sogno e realtà, ma, in particolare, interpretando il mondo e chi lo popola. Auster si rifà all’Inferno di Dante, in particolare alla figura di Bertran De Born e alla legge del contrapasso secondo cui esprime le proprie idee in relazione a certe tematiche che denunciano la realtà circostante. Sconfiggere o smorzare i frequenti assalti di una guerra che stava distruggendo il sistema dall’interno è qualcosa che ammalia e sorprende nel proiettare l’individuo su uno spazio famigliare ma atipico in cui, privo della sua persona declinante, devastata, in un continuo e perpetuo frantumarsi, ripristinarsi e poi frantumarsi nuovamente, si fa non solo corpo ma anche spirito. Rebus dentro cui il soggetto si nasconde mediante un linguaggio che ti induce a comprendere la realtà circostante, scrutando qualunque assetto << malvagio >>, particolare e complesso, melanconico e malinconico, agendo su diversi fronti temporali.
Un buon modo per interpretare la letteratura. L’amore per la prosa si sposa col tormento, con l’arte e l’ossessione di accarezzare l’impossibile che, fra un gioco di possibilità e impossibilità, si aspira alla conoscenza dell’essere, alla comunicazione intrinseca fra ciò che è comprensibile e ciò che non lo è, traendo conforto o giustizia da qualcosa che non avremo mai in quanto il mondo è quel cosmo crudele ed egoista da cui è impossibile scorgere alcuna entità umana. Tormento e prosa, scrittura e annullamento dei sensi divengono così struttura, forza di un qualcosa apparentemente etereo, invisibile, inconsistente. Un bello stratagemma metaletterario di cui Adam è una figura anonima che occupa uno spazio e che non riesce a trarre giovamento da certe tempeste infuocate che potrebbero implodere da un momento all’altro. L’unica costante è il potere e la legge della vita, quello di uccidere ed essere uccisi, dominando e cadendo vittima del potere dei mostri. L’anima di Invisibile, così bruciante e appassionata, è nemesi forse dello stesso autore, dalla personalità declinante, devastante in un processo a ritroso in cui ci induce a guardare noi stessi. Invitandoci inconsapevolmente a ricoprire ruoli scomodi, tutti però che convergono alla realizzazione di quelle forme di conoscenza per comprendere non solo questo legame intrinseco fra arte e conoscenza ma anche la nostra individualità e chi ci circonda.
In questo anno di distanza dalla nostra ultima lettura, devo dire che fortunatamente non hanno notevolmente intaccato i miei sentimenti nei riguardi dell’autore, e credo che il mio rispetto nei suoi riguardi perpetuerà ancora nel tempo data la mole di emozioni che hanno suscitato questa ennesima lettura. In certe faccende rocambolesche, in certi inghippi letterari ci si trascina inizialmente in maniera impacciata, a tentoni, quasi dubbiosi nel riapprocciarsi a qualcosa che, sino a qualche tempo fa, ti aveva indotto a compiere voli pindarici, entrando ed uscendo da un posto ad un altro, innamorandomi e disamorandomi di diversi uomini di carta e inchiostro, ma mai come i miei autori preferiti con l’insano e inspiegabile sentimento di attrazione di tornarvi nuovamente. Fino a quando la vita, in un momento imprecisato, ti induce a guardare in faccia la realtà; certi amori sono perpetui perché è perpetua la loro forza. Si, e lo stesso è accaduto con Invisibile, non completamente, ma quasi che non ho colto con quell’iniziale stato di puro sgomento, sbigottimento, ma facendomi vivere in una terra di smarrimento, sofismi e depravazioni che francamente non mi sono appartenute ma che ho avvertito come mie. Inizialmente in maniera fredda e distaccata, poi in maniera del tutto scherzosa poiché parte integrante del cosmo, di un universo che dipingono l’uomo come essere imperfetto e limitato. Una materia finita in un mondo infinito, che sposato ad elementi neutri, opinioni violente, anticonformiste, ritratto di un mondo alternativo, di un’America che sta combattendo una guerra civile per il destino delle lezioni del 2000.
Non appena ci si approccia a Paul Auster tornano alla mente le storie di uomini soli, ambiziosi e talentuosi, che raccontarono storie su figure – alter ego dello stesso autore, a New York, a Parigi, negli anni 90 o ai giorni nostri, avvicinandosi semplicemente e chiedendomi se potevo condividere questo segreto con lui. E, da grande amante della prosa austeriana, accettai questa sua proposta senza nemmeno pensarci.
Ma cosa fare quando si ama profondamente un autore, quando ti guardi attorno e constati come la tua vita sia così inutile e inappagante, sei sdraiata sul tuo morbido letto e non ce la fai a non vedere i romanzi una via di fuga? Una porta che porta dritto dritto alla felicità? Mi rendo conto di quanto sembrino smielate, inutili queste parole, troppo tardi per rileggere nuovamente Invisibile, e così tutto quello che ci resta è rimuginare, lasciando che i nostri pensieri vaghino come meglio gli pare. Sensibile, romantica, lo sono sempre stata, e se riesco ad aggrapparmi a qualche parola, a un personaggio, a una scena di un libro, più spesso mi sorprendo a pensare quanto sia stata cieca a non conoscere Paul Auster in passato. Ricordi che mi assalgono, sensazioni in cui diviene impossibile distinguere la realtà dalla finzione, un mondo visibile in bianco e nero. Nel momento in cui ci si ferma a pensare ci si riconosce per chi effettivamente siamo: uomini che camminano e cha hanno passato la vita attraversando a piedi la città. Ripercorrendo luoghi dove negli anni si ha parcheggiato il proprio corpo, in luoghi che ben o male riconoscono una parte di noi stessi.
Fra pensieri sparsi, cuciti, con la paura di ciò che potrebbe succedere se ci si lascia andare, codificati in una litania di fatti, eventi concreti tradotti in situazioni concrete, in modo tale da dargli un giusto viatico verso il luogo dove le parole devono andare, Invisibile non mi ha consumato letteralmente da dentro. Ma le sue immagini, significati che toccano, sembrano qualcosa da cui si trova sollievo. Grido disperato di un uomo solo e insoddisfatto, lanciato dalla soglia della sua insoddisfazione morale, qui riportate come una febbrile tortura prosaica.
Una prosa che suona però triste, povera, frammentaria ma netta, appassionante e seducente, scritta con frasi che sono state ripescate dal di dentro, da dentro l'anima dell'autore, con quell'accumulo di ricordi e percezioni che l'autore si continua a portare nel corpo e che quasi sempre ci lasciano boccheggiare. In cosa si nasconde la sua suprema essenza?
In un mondo che brucia ai nostri occhi, le cui immagini hanno il colore scuro di una nuda parete di cemento, da cui si tenta di fuggire grazie alla gioia di catturare il pensiero astratto su carta, urlando dinanzi all'ignoto, lanciandosi all'assalto dei propri dolori, pur di illudersi di non sentirsi più solo, Invisibile è un arazzo, una rappresentazione perfetta per esorcizzare le paure, affacciandosi alla finestra di un mondo che non mi appartiene ma cui non ho potuto fare a meno d'identificarmi. Ritratto straordinario che ci induce a guardarci nel più intimo del nostro essere. Indirizzato non solo a me, a un'unica destinataria, ma anche al fantasma dello stesso Auster, denudandosi davanti ai fantasmi del passato che attendono avidamente. Una storia che non esiste naturalmente per essere una semplice storia a se stessa, ma una specie di mezzo verso il cuore di una creatura umana.

Valutazione d’inchiostro: 4 e mezzo

2 commenti: