Un mattino di inizio maggio mi calai di nuovo nelle pagine dell’ennesimo ritratto umano realistico/ sociale e cominciai a farmi largo tra le osservazioni di una donna moderna, nonostante la sua produzione la si può definire classica, quasi tutte azzeccate, che mi sono sembrate, come minimo, acute riflessioni, leggere ma spietate sfrondatine per accrescere l’energia, l’aura << magica >> che circonda l’autrice ai mei occhi, e poi le sue eroine lagnose, astute ma insoddisfatte, passaggi che non mancano di significato in cui l’essenziale ruota sempre sulla condizione femminile e sociale mediante cui la Wharton proiettò una sua personalissima disamina. Ma l’essenziale balza sempre all’occhio e La ricompensa di una madre, proprio come altri suoi romanzi, conserva la sua bellezza nel suo essere semplice ma straordinario. Dalla mole piuttosto ridotta ma incastrato nel sussurro del mondo con l’incostante idea che ogni cosa che ci circonda è illusorio, positivo e possibile ma evanescente, cozza con i limiti di una realtà attribuita alla quotidianità, alla banalità generale. I miei appunti sono sempre fitti, ogniqualvolta decido di inerpicarmi fra le pagine di un suo romanzo, non spostando niente ma riportando pensieri, emozioni che poi riverso in quel contenitore imperfetto che è la scrittura, e una volta inglobata la sua anima nei miei pensieri elaborare il tutto diviene quasi sempre difficile. Alla fine, però, ne vale sempre la pena. La lettura dei classici sortisce sempre in me un completo appagamento spirituale e morale che mette a posto qualcosa dentro il mio spirito. Provare a racchiudere anche solo una minima parte di ciò che ne resta è davvero difficile. Questo romanzo è l’ennesimo esempio, fra le sue innumerevoli paure di incorrere nel cambiamento, nel mutamento, nell’abbandono a se stessi. Denunciando non solo la realtà circostante mossa in un paesaggio opulento, nebbioso, evanescente, ma districando una matassa apparentemente indistricabile che si poni su una realtà diversa da quella descritta adeguandosi così a una vita che poi non è vita, all’incomprensibile rituale dietro cui ci si barrica per difendersi da qualunque assalto esterno.
Autore: Edith Warthon
Casa editrice: Elliot
Prezzo: 17, 50 €
N° di pagine: 286
Trama: Dopo aver trascorso un lungo periodo sulla costa francese insieme a una comunità di americani espatriati, Kate Clephane decide di tornare dopo molti anni dalla sua famiglia a New York, dove la buona società l'aveva messa al bando per aver abbandonato il marito e la figlia piccola. A desiderare il suo ritorno è la figlia Anne che vorrebbe la madre al suo fianco per le sue prossime nozze con Chris Fenno, eroe di guerra ma anche uomo senza particolari talenti e abile arrampicatore sociale. Le vere intenzioni di Chris nei confronti della figlia sono però l'ultima delle preoccupazioni di Kate, poiché in passato l'uomo è stato suo amante e lei sente di esserne ancora innamorata. Il dilemma morale della donna (confessare alla figlia il suo segreto o tacere?) e il dramma che ne deriverà riflettono i miti eterni di Edipo e Amleto e conducono a un finale che sorprese profondamente la morale dell'epoca.
La recensione:
Scrivere però mi ha sempre aiutato a mettere in relazione cuore e testa. Voglio dire, leggere non potrebbe essere un’attività indistinta e separata dalla scrittura. È un pensiero fisso, un modo d’espressione che insieme combaciano e danno vita a elementi in cui passato e presente si mescolano, specialmente la sera, quando cala il sole e la città diventa buia, l’isolamento dell’anima si riduce spesso a una specie di solitudine affannosa.
I temi trattati dalla Warthon, ad un’occhiata attenta e scrupolosa, non sono così semplici. Nel momento in cui si prende consapevolezza del fallimento le sfumature del dolore si accentuano. Il forte senso di impotenza che attanaglia l’anima dei protagonisti aiuta a riadeguarsi quasi senza rendersene conto, adattandosi ad un nuovo stile di vita esplorando forme di vita atipiche, scandagliando qualunque forma di follia in cui il ricordo è una forma di contrapposizione in mezzo a spiriti che si tengono per mano. Il folle desiderio di provare emozioni prevale su tutto, funge da ponte per mettere in contatto elementi di un tutto che si incastrano alla perfezione. L’ultima soluzione che rientra in tante soluzioni, l’unica soluzione quando la solitudine diventa troppo grande persino per loro stessi.
Così come Irène Nèmirovskij, Jane Austen, le sorelle Bronte e tanti altri, Edith Warthon non ha mai avuto paura di esprimere su carta ciò che attanagliò la sua anima appassionata ma semplice, ed insieme a un certo talento per la letteratura, la scrittura acquisì il talento di scrutare a fondo chi le stava accanto che spesso era di alto lignaggio, scaraventandola però senza alcuna remora in una bufera rivoluzionaria da dove sono emersi strizzando gli occhi come piccoli gufi a cui è stata strappata un’ala, disorientati da pericoli schivati, spettacoli sanguinosi o scene di terrore. I suoi romanzi, infatti, esprimono ciò esprimendo temi fondamentali con gli occhi di chi tutto questo lo subì, ma non in maniera violenta. Da una vetta piuttosto alta, dall’altura di una posizione sociale che garantiva prodigi e certezze, ma dotata di un animo sensibile, parsimonioso, mediante scrittura riportò tutto questo. Riconobbe questo Male assoluto. Figura pallida, fredda, ostica e distaccata che non lasciò prevalere alcuna emozione. Attorniata da figure che cercano beneficio nel rievocare il ricordo, la guerra, l’ingiustizia, gli assalti, le persecuzioni del cuore. La ricompensa di una madre non dà esattamente risposta a tutto questo ma porta il peso di certi paradigmi, certe risposte impossibili da contestare da cui è impossibile cogliere alcuna parvenza di tranquillità. Richiamando a sé lo spirito di una madre e della figlia, il loro rapporto complicato, instaurando quel giusto legame che mettesse in sintonia il mondo in cui il ricordo cozza con i segreti, le ferite inferte al cuore, e quello tenero e ingenuo della figlia. Un po’ restia a lasciarsi andare ai principi imposti dalla madre, ma coraggiosa ad aver incassato colpi inimmaginabili e impossibili da cui è impossibile riconoscere qualunque strascico di comprensione.
La ricompensa di una madre è infatti un notevole gioco di continui e ripetuti atteggiamenti di fiducia, fedeltà in cui prevale la figura di queste due donne come forme alate che sovrastano persino l’importanza in se del tema trattato. Ciò che è strettamente relativo all’identità umana, che è solo parvenza di mutamenti sentimentali, stati d’animo che sono stati proiettati dinanzi agli occhi del tempo, disfando le rigide frontiere del passato, conservando l’opulenza dei dogmi famigliari quasi come un tentativo per sopravvivere. Il rumore dei loro pensieri, specie di quelli della giovane Kate, sovrastava ogni cosa, e l’inconcepibilità di certe situazioni, certi eventi, implicarono la realizzazione di trattati sociali e psicologici che suggeriscono tribuiti devastanti ma bellissimi.
Nient’alto che lo specchio dei desideri di ogni lettore che ama rifugiarsi in storie di questo tipo, mostratosi così evidente nella stanchezza e nello sforzo di pomeriggi solitari, intensi nel riporre nero su bianco, in pagine di diario, quanto ciò visse l’autrice. Un introito sostanzioso e discreto nel farci un’idea alquanto chiara sul processo impuro della vita, miscelati mediante aspetti puramente biografici da cui tuttavia si può scorgere una certa << ironicità >>. Sebbene del tutto assente, ma intesa come destabilizzante, nociva. Sogno utopico di lacrime, rimpianti e desideri repressi che mi ha tenuta immobile, incollata alle pagine in cui facilmente possiamo riconoscersi. Un piccolo universo che compone uno splendido quadro, gentile, raccolto, che in un brusco istante si è formato attorno a me.
Valutazione
d’inchiostro: 4+
Sembra interessante e sicuramente diverso dal solito; ottima recensione, grazie
RispondiEliminaA te 🤗
EliminaGrazie! Mi piace molto leggere le tue recensioni...un abbraccio, a presto!
RispondiEliminaA te 🤗❤️
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