Sapevo di dover
assecondare il mio istinto. Non solo delle volte mi risparmio sentimenti di rammarico
e delusioni vari ma anche tutte le scelte odiose che derivano dalla scelta
impulsiva di leggere qualcosa che di primo acchito non attira, non attrae, i
terribili momenti di incertezza che attendono al varco ogni anima penitente finchè
quella guerra lotta impari andasse a buon fine, ma la vita talvolta sa regalarti
qualche sorpresa, e questo coincise nel momento in cui partecipai all’ennesima
sfida di lettura indetta su Facebook, nulla di più motivazionale per le mie
prospettive letterarie. E anche se questa lettura, da ciò che rivelano queste poche
righe, ha sortito effetti indesiderati ma previsti, non lo vidi come una specie
di costrizione, un castigo suggerito da una qualche divinità, ma qualcosa che
tutto sommato mi ha fatto bene. Perché scrivo questo? Perché credo che l’esperienze
negative servano moltissimo. In generale, ti inducono a commettere quella buona
dose di stupidi errori ma fondamentali mediante cui comprendiamo chi siamo
veramente, cosa vogliamo realizzare dopo aver raggiunto l’ennesimo nebuloso progetto,
non sentendomi ancora più in colpa ma acquistando maggiore consapevolezza. Mai arrendersi!
E la testardaggine mi ha sempre portata lontana. L’essere caparbia mi ha sempre
indotta ad arrivare lontana, rendendomi più padrona di me stessa anziché schiava
del paradosso e del clichè. Tutto questo per dire, che Gli inganni di Lock
Lamorra non mi è piaciuto per niente e che, seppur emanava un’aura avventurosa,
rocambolesca tipica di quei epic fantasy che caratterizzano il campo editoriale
odierno, il suo effetto è stato così insulso, piatto, tedioso e insopportabile
da non potergli resistere oltre. Consapevole che le cinquecento pagine avrebbe
equivalso a scalare un monte.
L’occasione di viverlo, però, aveva bussato alla mia porta. E seppur possa sembrare difficile o incomprensibile, con talvolta lo stile o la mole per nulla conoscibile, traduco questa ennesima cattiva esperienza come un piccolo tassello di vita che compone un quadro che certamente qualche altro apprezzerà maggiormente.
L’occasione di viverlo, però, aveva bussato alla mia porta. E seppur possa sembrare difficile o incomprensibile, con talvolta lo stile o la mole per nulla conoscibile, traduco questa ennesima cattiva esperienza come un piccolo tassello di vita che compone un quadro che certamente qualche altro apprezzerà maggiormente.
Titolo: Gli inganni di Lock Lamora
Autore: Scott Lynch
Casa editrice: Oscar Vault
Prezzo: 18 €
N° di pagine: 612
Trama: Nella misteriosa città di Camorr un orfano ha vita dura, e spesso breve. Ma il giovane Locke Lamora riesce a eludere la morte e a non farsi catturare come schiavo, fino a diventare un furfante provetto sotto la tutela del Forgialadri, un talentuoso artista della truffa. A capo della banda di fratelli dalle dita leste, noti come Bastardi Galantuomini, Locke diventa presto celebre, e si fa beffe persino del più temuto re della malavita. Ma tra le ombre si annida qualcuno di ancora più ambizioso e micidiale. Di fronte a un sanguinoso colpo di stato che minaccia di distruggere qualunque persona o cosa che abbia un senso nella sua esistenza, Locke giura di sconfiggere il nemico al suo stesso gioco crudele. Costi quel che costi.
Autore: Scott Lynch
Casa editrice: Oscar Vault
Prezzo: 18 €
N° di pagine: 612
Trama: Nella misteriosa città di Camorr un orfano ha vita dura, e spesso breve. Ma il giovane Locke Lamora riesce a eludere la morte e a non farsi catturare come schiavo, fino a diventare un furfante provetto sotto la tutela del Forgialadri, un talentuoso artista della truffa. A capo della banda di fratelli dalle dita leste, noti come Bastardi Galantuomini, Locke diventa presto celebre, e si fa beffe persino del più temuto re della malavita. Ma tra le ombre si annida qualcuno di ancora più ambizioso e micidiale. Di fronte a un sanguinoso colpo di stato che minaccia di distruggere qualunque persona o cosa che abbia un senso nella sua esistenza, Locke giura di sconfiggere il nemico al suo stesso gioco crudele. Costi quel che costi.
La recensione:
La lettura di questo romanzo giunse all’inizio di maggio. Non in autunno,
quando sembrava fosse il momento più adatto, ma ai primi di maggio, quando
presi il mio blocnotes preferito e la penna e partì per un viaggio che confidavo
potesse entusiasmarmi dalla prima all’ultima pagina, un altro sbocco sul mondo.
Fu così che con ogni buona intenzione, partì in questo strambo viaggio che di
per se piuttosto corposo avrebbe dovuto fungere da espediente agli effetti
devastanti della monotonia e della routine generale. Ma fu spiacevole
constatare invece, che non appena vi misi piede desiderai ardentemente tornare
indietro. Non tanto per ciò che mi avrebbe atteso, quanto per il modo in cui mi
stava intrattenendo: un rocambolesco giro di avventure che ruotano tutte
attorno a questo Locke Lamorra, ripetitivo, piatto, lungo, evanescente come
fantasmi che assediano il passato, senza dubbio un epic fantasy che avrebbe
potuto irretirmi dalla prima all’ultima pagina quanto annoiarmi tantissimo.
Forse avrò perso smalto, la me quasi trentenne che ama cimentarsi in vicende che prevedono salotti solenni e tazze fumanti di te aveva appena perso il suo tempo nell’incaponirsi in qualcosa che di partenza perse ogni trattativa di ammaliamento. La parola divertimento era stata abolita da qualunque vocabolario, e di avventura molto poco. E una storia senza avventura è meglio non esista, soprattutto se incentrato nelle maglie di una storia che avrebbe dovuto sprigionare una luce tutta sua. Un’immagine: questi Ladri Gentiluomini dove sarebbero giunti? Quali sorprese ci avrebbero riservati?
Per quanto mi riguarda, solo tanta tanta noia. Voglio dire, quando cadevano preda di << errori >> di stile, pur quanto questo tipo di narrazione la consideri stratagemmi letterari per incastrare in storie che non hanno una loro storia, si ricorreva a mezzi meno autorevoli per procurarsi una via di fuga, una strada per la salvezza che sulle prime non compresi completamente per poi abbattersi sulla mia coscienza nel momento in cui giunse come un rumore fragoroso e irritante.
Perché scrivo questo? Perché Gli inganni di Lock Lamora possedeva le carte in regola per esordire in maniera funzionale. In discreta parte è un buon esempio di sistema metaletterario che esordisce senza essere zuppo di quegli idiomi fantasy che popolano il panorama letterario moderno poiché il suo autore si sottopone a un tentativo di scrittura su un mondo realistico, ombroso, soffocante, smistato in situazioni di diverso tipo. Ma a dispetto di ciò lungo, piatto, tendenzialmente noioso e ripetitivo, con personaggi che non hanno una loro voce ma sono un coro altisonante che si muove mediante la verve dello stesso Lamora, folle, coraggioso, da cui si impara tante cose, ma non attingendo a forme, nozioni o eventi che mi hanno indotta a restare. L’elemento negativo infatti non sta principalmente nel romanzo in se, quanto nel mio modo di avervi soggiornato: scomodo, frettoloso, non andando da nessun’altra parte se non in bassifondi in cui le pene di gruppo di adolescenti combattono, cooperano, incorrono stratagemmi, azioni efficaci che sono una vera e propria salvaguardia per se stessi. Branco di cacciatori, uomini in divisa che combattono guerre, lotte più grandi di loro che soffrono unanimemente portando addosso un fardello fin troppo grande persino per se stessi per sopravvivere. E ben o male questo è stato un elemento positivo che mi ha indotta a non mollare dove avrei invece dovuto mollare, soffocando qualunque effetto devastante che avrebbe potuto cadere nella tragedia, nel dramma, in atti bellici che infervorano o annientano, insinuandosi abilmente nelle maglie di una storia che non è sorretta nemmeno da un buon wordbuilding.
Uno scontro bellico per la sopravvivenza avviato silenziosamente da ragazzi che detengono un certo bagaglio di esperienze, è stato qualcosa di estremamente efficace. Ma l’autore perde il suo smalto quando intreccia alla trama continui e ripetuti flashback, e dall’importanza di certe tragedie, certe sofferenze impartisce << lezioni >> che appesantiscono la lettura. Lezioni di vita che sono racchiuse in tematiche attuali, moderne in cui, in una valle di lacrime in cui non c’è spazio per la comprensione, la solidarietà, la pace, per qualche istante io stessa ho dubitato delle sue capacità. Mai avrei immaginato che potessero esserci possibilità. E come dubitarne? Quando gruppi di ragazzi arruolati, posti di petto dinanzi a certe esperienze di vita, cadono rumorosamente in qualcosa di più grande di loro, è possibile credere possano esserci chance? La vita però deve sempre qualcosa, e qui bisogna riconoscere un certo merito all’autore ad evidenziare questo aspetto.
Il che non significa che la caratterizzazione di ogni figura, il loro sentirsi << guasti >> in una terra arida e desolata che concede ben poche speranze di salvezza, è la chiave di lettura per cui Gl inganni di Lock Lamora ha risposto così bene alla mia anima. Io che mi ci sono approcciata con una certa diffidenza, perplessità, così terribile poi constatare la veridicità di ciò. Perché? Perché anche io sono caduta nella rete oppressiva di questa storia, che ha provato a mettermi KO e con successo. In una manciata di giorni, è successo. È stato tremendo. È stata un’esperienza irripetibile. A quanto pare, dovevo leggerlo per comprenderlo. Ma sono sempre travolta da pensieri che sovrastano, soffocano ogni cosa. Ecco perché incasso, procrastino. E alla fine non cambia nulla. Mi è stata raccontata una storia che non ha potuto subentrare nelle stanze polverose della mia coscienza con la consapevolezza di aiutarmi. Non che si tratti di una storia nociva ma nemmeno quel genere di romanzo che acquieta o infervora l’animo. Bensì così ripetitivo, monotono, soporifero che ti distrugge dentro, ti induce a domandarti se fosse valsa la pena. La distinzione di razza, di sesso, il ceto sociale, sono cose di poco conto ma in questo romanzo avrebbero dovuto avere un’importanza tutta sua. Perché è nel fango che si cresce. È nel passato che bisogna fare esperienza.
Quella di leggere la saga dei Bastardi Gentiluomini non è stata la scelta più ottimale che potessi compiere. Cosa avrei dovuto fare, una volta avviato questo viaggio? Ed è così che ho preso parte a combattimenti, lotte per la sopravvivenza, stupidamente speranzosa nel poter dipanare una nebbia di misteri, cruenza e oscurità. Il popolo suddiviso in etnie, gruppi, fazioni, ma solo accennati, non spiccano per forza, certezza e vigore. Un attacco a sorpresa che non ha sorprendentemente avuto una sua efficacia. Spade che scintillano, potenziali poteri alchimistici che sorprendono, eventi inaspettati che piombano nel bel mezzo del nulla come una pioggia di pallini di piombo, un pozzo di crudele sfinimento, nei giorni di nebbia che mi hanno distaccata dal mondo di qua con quello di là, emotivamente distrutta. L’opposto puro della vita di romanzi che non hanno niente di puro, semplice, paternalistico. Forze sconosciute, ignobili entità che impediscono di trovare la pace, la libertà, spiccare fra masse di carne deboli e insane. In un vuoto così vasto e incredibile che avrebbe dovuto impedire la natura devastante, la caduta o la rottura di esseri risucchiati in una tenebra affamata. E l’unica soluzione è racchiusa nel combattimento, in una discesa negli inferi fatta di schiavitù, uomini potenti, distruzione, ogni convivenza civile.
Romanzo fantasy per giovani adulti ma concerne anche ad un pubblico adulto, una lettura che non spicca per tante cose ma soprattutto per la caratterizzazione dei protagonisti, il loro essere forti, figure divenute di carne e ossa che non hanno nè un’importanza simbolica nè metaforica. Quel forte senso di vendetta, la sensazione di essere avvolti e fagocitati in un’atmosfera densa, oscura, cupa dove predominano la malvagità, il desiderio di sopraffare il prossimo, la vendetta, la lealtà, rappresentano il guizzo di una storia che avrebbe potuto emettere un vagito all’inizio di una nuova era. E, ad accrescere questa fievole voce, lo stile semplice ma di forte impatto che avrebbe potuto appannare la trasparenza di questa situazione. Condizionando ogni gesto, ogni scelta fatta, ogni tentativo per rendere questa lettura perlomeno godibile ma lenta, tediosa, monotona, lunga, sballottolata da un posto ad un altro, da un momento ad un altro, non avendo alcun’opportunità se non di fuggire.
Forse avrò perso smalto, la me quasi trentenne che ama cimentarsi in vicende che prevedono salotti solenni e tazze fumanti di te aveva appena perso il suo tempo nell’incaponirsi in qualcosa che di partenza perse ogni trattativa di ammaliamento. La parola divertimento era stata abolita da qualunque vocabolario, e di avventura molto poco. E una storia senza avventura è meglio non esista, soprattutto se incentrato nelle maglie di una storia che avrebbe dovuto sprigionare una luce tutta sua. Un’immagine: questi Ladri Gentiluomini dove sarebbero giunti? Quali sorprese ci avrebbero riservati?
Per quanto mi riguarda, solo tanta tanta noia. Voglio dire, quando cadevano preda di << errori >> di stile, pur quanto questo tipo di narrazione la consideri stratagemmi letterari per incastrare in storie che non hanno una loro storia, si ricorreva a mezzi meno autorevoli per procurarsi una via di fuga, una strada per la salvezza che sulle prime non compresi completamente per poi abbattersi sulla mia coscienza nel momento in cui giunse come un rumore fragoroso e irritante.
Perché scrivo questo? Perché Gli inganni di Lock Lamora possedeva le carte in regola per esordire in maniera funzionale. In discreta parte è un buon esempio di sistema metaletterario che esordisce senza essere zuppo di quegli idiomi fantasy che popolano il panorama letterario moderno poiché il suo autore si sottopone a un tentativo di scrittura su un mondo realistico, ombroso, soffocante, smistato in situazioni di diverso tipo. Ma a dispetto di ciò lungo, piatto, tendenzialmente noioso e ripetitivo, con personaggi che non hanno una loro voce ma sono un coro altisonante che si muove mediante la verve dello stesso Lamora, folle, coraggioso, da cui si impara tante cose, ma non attingendo a forme, nozioni o eventi che mi hanno indotta a restare. L’elemento negativo infatti non sta principalmente nel romanzo in se, quanto nel mio modo di avervi soggiornato: scomodo, frettoloso, non andando da nessun’altra parte se non in bassifondi in cui le pene di gruppo di adolescenti combattono, cooperano, incorrono stratagemmi, azioni efficaci che sono una vera e propria salvaguardia per se stessi. Branco di cacciatori, uomini in divisa che combattono guerre, lotte più grandi di loro che soffrono unanimemente portando addosso un fardello fin troppo grande persino per se stessi per sopravvivere. E ben o male questo è stato un elemento positivo che mi ha indotta a non mollare dove avrei invece dovuto mollare, soffocando qualunque effetto devastante che avrebbe potuto cadere nella tragedia, nel dramma, in atti bellici che infervorano o annientano, insinuandosi abilmente nelle maglie di una storia che non è sorretta nemmeno da un buon wordbuilding.
Uno scontro bellico per la sopravvivenza avviato silenziosamente da ragazzi che detengono un certo bagaglio di esperienze, è stato qualcosa di estremamente efficace. Ma l’autore perde il suo smalto quando intreccia alla trama continui e ripetuti flashback, e dall’importanza di certe tragedie, certe sofferenze impartisce << lezioni >> che appesantiscono la lettura. Lezioni di vita che sono racchiuse in tematiche attuali, moderne in cui, in una valle di lacrime in cui non c’è spazio per la comprensione, la solidarietà, la pace, per qualche istante io stessa ho dubitato delle sue capacità. Mai avrei immaginato che potessero esserci possibilità. E come dubitarne? Quando gruppi di ragazzi arruolati, posti di petto dinanzi a certe esperienze di vita, cadono rumorosamente in qualcosa di più grande di loro, è possibile credere possano esserci chance? La vita però deve sempre qualcosa, e qui bisogna riconoscere un certo merito all’autore ad evidenziare questo aspetto.
Il che non significa che la caratterizzazione di ogni figura, il loro sentirsi << guasti >> in una terra arida e desolata che concede ben poche speranze di salvezza, è la chiave di lettura per cui Gl inganni di Lock Lamora ha risposto così bene alla mia anima. Io che mi ci sono approcciata con una certa diffidenza, perplessità, così terribile poi constatare la veridicità di ciò. Perché? Perché anche io sono caduta nella rete oppressiva di questa storia, che ha provato a mettermi KO e con successo. In una manciata di giorni, è successo. È stato tremendo. È stata un’esperienza irripetibile. A quanto pare, dovevo leggerlo per comprenderlo. Ma sono sempre travolta da pensieri che sovrastano, soffocano ogni cosa. Ecco perché incasso, procrastino. E alla fine non cambia nulla. Mi è stata raccontata una storia che non ha potuto subentrare nelle stanze polverose della mia coscienza con la consapevolezza di aiutarmi. Non che si tratti di una storia nociva ma nemmeno quel genere di romanzo che acquieta o infervora l’animo. Bensì così ripetitivo, monotono, soporifero che ti distrugge dentro, ti induce a domandarti se fosse valsa la pena. La distinzione di razza, di sesso, il ceto sociale, sono cose di poco conto ma in questo romanzo avrebbero dovuto avere un’importanza tutta sua. Perché è nel fango che si cresce. È nel passato che bisogna fare esperienza.
Quella di leggere la saga dei Bastardi Gentiluomini non è stata la scelta più ottimale che potessi compiere. Cosa avrei dovuto fare, una volta avviato questo viaggio? Ed è così che ho preso parte a combattimenti, lotte per la sopravvivenza, stupidamente speranzosa nel poter dipanare una nebbia di misteri, cruenza e oscurità. Il popolo suddiviso in etnie, gruppi, fazioni, ma solo accennati, non spiccano per forza, certezza e vigore. Un attacco a sorpresa che non ha sorprendentemente avuto una sua efficacia. Spade che scintillano, potenziali poteri alchimistici che sorprendono, eventi inaspettati che piombano nel bel mezzo del nulla come una pioggia di pallini di piombo, un pozzo di crudele sfinimento, nei giorni di nebbia che mi hanno distaccata dal mondo di qua con quello di là, emotivamente distrutta. L’opposto puro della vita di romanzi che non hanno niente di puro, semplice, paternalistico. Forze sconosciute, ignobili entità che impediscono di trovare la pace, la libertà, spiccare fra masse di carne deboli e insane. In un vuoto così vasto e incredibile che avrebbe dovuto impedire la natura devastante, la caduta o la rottura di esseri risucchiati in una tenebra affamata. E l’unica soluzione è racchiusa nel combattimento, in una discesa negli inferi fatta di schiavitù, uomini potenti, distruzione, ogni convivenza civile.
Romanzo fantasy per giovani adulti ma concerne anche ad un pubblico adulto, una lettura che non spicca per tante cose ma soprattutto per la caratterizzazione dei protagonisti, il loro essere forti, figure divenute di carne e ossa che non hanno nè un’importanza simbolica nè metaforica. Quel forte senso di vendetta, la sensazione di essere avvolti e fagocitati in un’atmosfera densa, oscura, cupa dove predominano la malvagità, il desiderio di sopraffare il prossimo, la vendetta, la lealtà, rappresentano il guizzo di una storia che avrebbe potuto emettere un vagito all’inizio di una nuova era. E, ad accrescere questa fievole voce, lo stile semplice ma di forte impatto che avrebbe potuto appannare la trasparenza di questa situazione. Condizionando ogni gesto, ogni scelta fatta, ogni tentativo per rendere questa lettura perlomeno godibile ma lenta, tediosa, monotona, lunga, sballottolata da un posto ad un altro, da un momento ad un altro, non avendo alcun’opportunità se non di fuggire.
Valutazione d’inchiostro: 2
Ahia, se metti due é andata decisamente male! Grazie comunque per la recensione
RispondiEliminaNo, non è data propriamente bene XD
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