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domenica, luglio 23, 2023

Gocce d'inchiostro: L'enigma dell'arrivo. Un romanzo in cinque parti - Vidiadhar S. Naipaul

Da due o tre minuti, osservo questa pagina bianca in attesa che qualcosa o qualcuno di magari più coscienzioso della sottoscritta bussino alla mia porta in attesa …. In attesa di qualcosa. Si, perché per scrivere delle volte c’è bisogno di qualche miracolo, e da quant’è l’ho abbracciata ho compreso come delle volte ce ne sia bisogno. Perché nonostante sia vero che scrivere è un’arte solitaria, ci induce a rinchiuderci in un isolamento forzato, bisogna saperne cogliere ogni sua straordinaria essenza. In questo caso, nei riguardi della lettura di un romanzo che ho concluso da qualche giorno, la risposta fu immediata: come si sarà sentito il suo autore?
Non c’è niente da fare. Avrei dovuto sapere, che quel silenzio oppressivo che attanagliò persino le mie viscere e che mi confinò ai bordi di una storia che si presenta come una commedia in cinque atti ma che in realtà, priva di trama, è una biografia di chi la scrisse, mi legò in qualche modo al personalissimo mondo dell’autore. Per me completamente sconosciuto, ma in futuro da attenzionare perché desiderosa di leggere altro di suo. Ed ecco che, mediante lunghe descrizioni sul luogo eletto come casa, in un flusso di pensieri che impediscono di far notare come ci sia un’assenza della stessa, da uno stato di abbandono sarà possibile scorgere la creazione, frutto delle stesse origini dell’autore che donano una certa insicurezza.
Appiccicatosi mediante una patina di staticità, un forte inadempimento che ci invita ad apprendere e intraprendere questo viaggio con una certa consapevolezza, quasi una promessa d’avventura, una ricompensa non proprio lontana dal futuro.

Titolo: L’enigma dell’arrivo. Un romanzo in cinque parti
Autore: Vidiadhar S. Naipaul
Casa editrice: Adelphi
Prezzo: 24 €
N° di pagine: 412
Trama: «Un addio di famiglia la mattina, a migliaia di chilometri di ditanza: un addio al mio passato, al mio passato coloniale e al mio passato asiatico e contadino. Subito dopo, l'esaltazione: la vista di campi e di montagne che non avevo mai veduto; il mare increspato che sembrava strisciare; poi le nuvole viste dall'alto; e pensieri sull'inizio del mondo, pensieri di tempo senza inizio né fine; l'intensa percezione della bellezza. Un lieve panico, poi; in parte perfino simulato; quindi una perdita d'identità. Un diario censurato, vero solo per metà, ma anche per metà intensamente vero, scritto in una stanzetta buia dell'Hotel Wellington a New York. E già l'impressione di essermi perduto, l'impressione di una verità non del tutto affrontata, di un mondo che avevo visto così grande e che la notte era ritornato piccolo un'altra volta.»

La recensione:

Avrei potuto fregarmene, avrei potuto ignorare quella vocina interiore che mi spedì dritto dritto fra le pagine della realizzazione di un sogno della gloria che coincise, in un momento particolare della sua vita, unito a un pessimismo di fondo, la volontà di sperare in un insieme di incertezze legate però alla speranza. Solo così sarebbe stato possibile conoscere bene e a fondo, scavando nel nostro animo quella parte saldamente legata e nascosta. Se e quando avrei dovuto intervenire, avrei dovuto ricordarmi che trattasi di un romanzo, non un tentativo di parlare, di scuotere l’anima di chi lo scrisse, ricorrendo a qualunque espediente per ritrovarsi ancora una volta imbrigliata in una storia che, come una visione quasi illogica, benedetta e profusa, deriva un forte istinto di far risplendere l’anima nel bel mezzo del nulla.
Niente di così straordinario che non abbia mai letto in così tanti anni di letture di svariato tipo, e nemmeno così sbalorditivo. Ma quella de L’enigma dell’arrivo è un tipo di storia che mi aiutò a guardarmi dentro, comprendermi a fondo, perché nell’immobilità in cui mi aveva trascinata il suo autore io mi sono completamente vista. È impossibile descrivere a parole tutto questo. Tenterò di farlo realizzando qualche frase che abbia un senso compiuto, ma non potendo escluderlo, mi sono trovata intrappolata e a dibattermi in un mondo immobile che tuttavia stona col paesaggio circostante, paesaggio tendenzialmente tranquillo e luminoso, in cui il frettoloso svanisce nel tempo, la vita svanisce in posti e luoghi appartati che cozzano con i mutamenti della stessa. Un disegno frastagliato, insomma, di colori e sfumature in cui si avverte un forte senso di estraneità, l’insicurezza razziale e sociale che pone fine alla distorsione della personalità. Un viaggio che è immersione di altri viaggi in cui l’anima si immerge a tal punto da restare sospesa nell’aria, quasi il suo autore fosse quel funambolo che cammina in questa landa desolata senza altra scelta.
L’enigma dell’arrivo fu quella sorta di omaggio che Naipaul prese atto dalla morte, dalla perdita di una persona cara, affrontandola persino in ogni rimasuglio di colore, dolore. Rifugio nascosto di un mancato giardino, così straordinariamente inavvicinabile. Perché nonostante si parli di uomini quasi indifferenti alle crudeltà subite dal prossimo e a cui sembra impensabile concepire l’idea possano esserci forze di sovrimposizione che contrastino ogni cosa, già il titolo avrebbe donato un’idea piuttosto chiara. La visione di un quadro che esprime elementi surrealisti, ma soprattutto la potenza del ricordo come mutamento nel futuro.
Per una lettrice coriacea come me il problema nel leggere un romanzo intenso, come questo è abbastante rivelante – tutti vedono qualcosa che io francamente non vedo -, ma alla fine non ha relativamente importanza perché ciò che più conta e scoprire cosa quel determinato romanzo voglia trasmettermi. Nel caso de L’enigma dell’arrivo ha contato maggiormente le sensazioni riscontrate, la vita stessa che trasuda in forme silenziose e sottili e che coincidono con sentimenti aridi ma forti, ed il tempo in cui ci sono rimasta, ciò che le sue pagine mi hanno trasmesso così bene, ha instaurato un certo legame fra me e il suo autore.
Dicendo di essere folle a fuggire da questa realtà ossessivo e agonizzante, mi avvicinai a questa lettura con una certa diffidenza. Ero ancora una delle poche a non aver vagliato i cieli celesti – o opulenti, quel che si voglia – che in un certo senso hanno dovuto salvare nel momento del bisogno, pronta a riprendere qualunque cosa avessi a portata per riacchiapparlo, legarlo e buttarlo in un mucchio a cui avrei riversato parole e frasi. Si, c’era anche questa questione da valutare perché, quando leggo questa tipologia di romanzi, non riesco a non lasciarmi coinvolgere dall’emozioni. Anche se volessi, non ci riuscirei. Non so cosa farci. Ma è importante credere che anche per me sia così, senza però dire che alla fine ciò si rivela un buco nell’acqua. Vuol dire che non mi lascio influenzare da niente e nessuno. Nemmeno dai romanzi con varie religioni, teorie, e non solo in questo caso.
Questa tipologia d’amore, forma distorta di legame fra l’anima dell’autore e le sue origini, spesso ci induce a voler amare irrevocabilmente una persona in cui l’anima dell’uno è incastrato perfettamente dell’altro – in modo così cristallino, sincero, coerente, completo. Guardarsi dentro senza avere nulla in sospeso, raggiungere una meta affinché ci si senta amati, compresi, proiettati in una società a cui si sono emancipati grazie alla cultura, all’intelligenza, nonché ancora di salvezza nel ripristinare sogni, ricordi che si credevano perduti dovrebbero essere un riparo dai vizi, i mali del mondo che possa abolire qualunque forma di creatività. Non basta essere cristiani. Infondere il Bene, nonostante ci si sia staccati da quella sfera gravosa, tendenzialmente troppo pesante. Guardarsi dentro senza avere nulla in sospeso, ripensamenti o rimorsi, ma non è essenzialmente così! Un amore, se intenso, tende alla fine a rivelarsi indimenticabile. Quasi straordinario. Aver fatto parte di una storia in cui l’amore che esplicano queste pagine, quello per la patria, sia stato confinato in situazioni quotidiane in cui è possibile ritrovarsi mi ha concesso l’opportunità di far parte di qualcosa che si è rivelato essenzialmente drammatico sin dal principio. La vicinanza come negazione alla solitudine e la vittoria a una brama elementare, dionisiaca, che ha mutato il mio animo durante il corso della sua lettura. Ho visto districarsi i nodi di una matassa ancora ingarbugliata, profonda e intima che è stato davvero impossibile non fare a meno di osservare. Rimasugli di pensieri connessi e disconnessi che tuttavia cozzano con la sua anima.
Leggere la storia di quest’uomo, autobiografia dello stesso, mi ha permesso di comprendere quanto la vita sia essenziale nella sua essenza, e che quello dell’amore specialmente delle nostre origini è un sentimento bellissimo che talvolta è un bisogno primordiale di appartenenza in cui si diventa un tutt’uno. Il tutto immerso in un chè di serioso ma sciorinato con dell’humor nero, reale contrapposizione che può sorgere fra l’amore spontaneo, appassionato ma non del tutto libero.
Scrivere romanzi di questo tipo, e, in particolare, una recensione, non è stato per niente semplice. Le parole, al riguardo, servono ben poco. Perché, seppur talvolta possano essere potenti ed enfatiche, non riescono a guarire piccole ferite che sono state inferte, al cuore di chi scrive o chi ha scritto. A questo povero disgraziato, che da anni cela un dolore insopprimibile e insopportabile come questo.

Valutazione d’inchiostro: 4 e mezzo

4 commenti: