La prosa della Harkness è senza alcun dubbio una delle più potenti
e importanti che si può calorosamente annoverare nella lista di quegli autori
che occupano un posto speciale nel mio cuore. A giudicare dalla pubblicazione
di questo nuovo romanzo e del poco polverone che ha sollevato, doveva trattarsi
di un tassello non completamente utile nel comporre e riempire l’universo
avviato con Diana e Matthew. Nonostante questo, nel mio Kobo la lettura
de Il figlio del tempo fu immancabile, e, come una creatura
antica, che osanna continuamente il sacro e il profano, si mosse con grazia nel
mio cerchio persino con una certa delicatezza sessuale. Lanciando dunque
bagliori iridescenti, quasi folgoranti, non ho potuto provare un certo gusto
per riuscire a reperire qualcosa che mi impedisse di amare questa storia, che
fortunatamente per me non è accaduto, stringendo le mie viscere in una stretta
solida e ferrea.
La Harkness ha
compiuto l’ennesima magia; ha sradicato la magia dal passato, ancora una volta,
ha atteso in silenzio che qualcuno la notasse, e una volta estrapolata una
storia come questa dal nulla ha svelato il suo asso nella manica in attesa che
la sua modulata voce risuonasse nella mia testa a lungo.
Titolo: Il figlio
del tempo
Autore: Debora
Harkness
Casa editrice:
Piemme
Prezzo: 19, 90 €
N° di pagine: 528
Trama: Si può, per
amore, rinnegare la propria natura? Restare giovani per sempre, sfuggire alla
tirannia del tempo; essere un vampiro vuol dire anche questo, e quando Matthew
de Clermont fa la sua bizzarra e inquietante proposta al giovane Marcus –
diventare, come lui, un non – morto – sta facendo molto più che salvargli la
vita sul campo di battaglia. Gli sta offrendo l’opportunità di sconfiggere il
tempo. È la fine del Settecento, e Matthew incontra il giovane chirurgo. Marcus
in piena Rivoluzione americana. Da quell’incontro provvidenziale comincia il
suo viaggio nella storia e ne l’eternità, sotto lo sguardo amorevole di Matthew
e Diana, sua moglie e strega immortale, che lo considerano un figlio: è stato
Matthew, in fondo, ad averlo fatto “rinascere”. Ma diventare un vampiro vuol
dire lasciarsi indietro una parte di sé, e liberarsi dalla moralità significa
rinunciare a ciò che, in fondo, ci rende umani. Due secoli dopo, a Parigi, sarà
questo il tormento di Phoebe: umana, innamorata perdutamente di Marcus, dovrà
decidere se accettare la meravigliosa e dolorosa transizione, e diventare
vampira per seguire il suo cuore. Perché l’eternità è il dono più
straordinario, ma anche più difficile, che si possa ricevere.
La recensione:
Le regole ti
insegnano a obbedire ciecamente, ma non sono una vera protezione del mondo,
perché arriva sempre il giorno in cui ti ci scontri e le infrangi, e in quel
momento non ci sarà più nulla a proteggerti e a impedirti di sprofondare nel
baratro.
Le parole della
Harkness risuonano ancora nella mia testa, come un incantesimo che lasciò i
presenti immersi in un silenzio rapito. A me bastò dare una rapida occhiata
intorno per verificare che l'emozionante storia raccontata nei volumi
precedenti, indubbiamente in chiave storica, forse col proposito di addolcire o
arricchire un frammento di secolo con la durezza e gli atteggiamenti di certe
orribilanti e pericolose creature della notte, risvegliando nei presenti e
nella sottoscritta un certo interesse per la Storia e le battaglie a cui avrei
assistito. La Harkness ha inoltre ridestato una certa simpatia per il
malinconico ma romantico Shakespeare e perfino per quel genere di romanzi che
ancora non ho letto, ma in questo caso non sapevo se l’autrice volesse
umanizzarlo a tal punto da renderla una coincidenza fortuita. In ogni
caso, Il figlio del tempo ha una cadenza tutta sua. Ha un
aspetto romantico, come una profonda emozione apparsa sul viso, che denota un
tocco spiccatamente femminile, facendo si che questo nuovo volume mostrasse un
nuovo aspetto, sebbene gli avvenimenti e gli episodi che si rincorrono fra un
capitolo e un altro ci permettono di rievocare e rivedere il passato. Io stessa
non ho potuto fare a meno di lasciarmi andare al magnetismo di qualcosa che non
ha ancora una sua collocazione precisa ma con un silenzio che tartassa le
orecchie. La devastazione di una Parigi lontanissima o la minuziosa e
dettagliata ricerca di dettagli storici che l’autrice mescola mediante elementi
che oscillano continuamente fra vecchio e nuovo, l’antico e il moderno, ciò che
mi colpì realmente fu la determinazione di Marcus, ma anche Matthew, Diana o
Phoebe a combattere per tenere in vita valori radicati che si pensava fossero
estinti. La Harkness a questo proposito ha confezionato un manipolo di creature
fameliche ma avvenenti con scarti dei romanzi precedenti e ha ridato speranza a
queste povere ‘vittime’, per non parlare del fatto che sono sopravvissuti alla
loro stessa morte. Chissà da dove avrà estrapolato una trama così!
In un accozzaglia
di eventi, feci il mio ingresso nel lussuoso interno della dimora di Diana e
Matthew. La loro casa, che mi ha ospitato per qualche giorno qualche tempo fa,
è foderata di sangue, macchie e impurità che nemmeno il tempo potrà scalfire,
ma attrezzato con potenti creature il cui destino, le loro sorti, erano legati
ad un unico filo, conferendo alla narrazione qualcosa di luminoso ma tremulo in
un paesaggio oscuro e perennemente ombroso. Diana e Matthew occupano una
posizione particolare nel mondo ideato dalla Harkness, tra generazioni e stirpe
di vampiri, e un paio di bellimbusti mezzo sangue imberbi e ingenui, mandati da
poco in una nuova realtà che presto sarebbe diventata la loro con l’intenzione
di acquisire una maggiore prospettiva sulla vita. Mentre ogni cosa acquistava
una sua forma, l’autrice abbellì questo disegno con particolari dettagli, ai
quali ho risposto con un certo fascino.
Deborah Harkness ha
usato la sua immaginazione per perpetuare il ricordo e l’importanza dei vampiri
mediante un dettagliato esame storico/letterario. Questa frase risuona ancora
nella mia testa mentre osservo chiudersi una finestra che ha avuto tutta l’aria
e essere vaporosa e luminosa, e che ha disegnato dei contorni così netti e
precisi che hanno abbacinato un frammento di storia.
Non tutti gli
autori che si apprestano a scrivere fantasy riescono a sfruttare al meglio
certe potenzialità, non riferendomi a come utilizzano la figura del vampiro,
bensì al contorno in cui esso è collocato, ma con la Harkness questo non è
opportuno sottolinearlo o fargli notare alcun errore, e ancor meno mi sembra
opportuno farlo adesso. Il figlio del tempo a questo riguardo
respira ritmicamente senza avere bisogno di alcuna spinta per acquisire una certa
importanza, recuperando quello slancio un pó selvaggio e ribelle dei primi
volumi, al cui epilogo avevo assistito con una certa rassegnata malinconia di
chi sa fin troppo bene che sebbene quella dell’eternità è una prospettiva
piuttosto allettante certe passioni letterarie non durano per sempre,
semplicemente perpetuano nella mente di chi legge. Ma a quanto pare non era
scritto da nessuna parte che i vampiri della Harkness non potessero tornare,
grazie a qualche soffio d’aria inatteso, e scoperte che lasciano un sorriso di
gratitudine un pó idiota che da molto tempo non vedevo sul mio volto. E tutto
ciò si è visto al desiderio di un vecchio amico di data, Marcus, di diventare
immortale. Una svolta decisiva che ha fatto brillare gli occhi e che non è stato
possibile dimenticare o scacciare, perché ha funto da ponte che ha collegato
questa scena con l’ultima apparizione di Diana e della sua famiglia.
Il figlio del tempo è quella tela
di mezzo che rievoca un altro luogo, un altro tempo, in cui si ha la continua
impressione di vivere nel passato, leggere non un romanzo per giovani lettori
bensì un trattato storico. Un piccolo tassello che compone l’universo
harknessiano in cui vi ho viaggiato per qualche giorno, riversando in quel
contenitore imperfetto che è la scrittura l’importanza di non poter rinnegare
la nostra natura, sebbene disumana e orribilante, ma accettarla esattamente
così com’è.
Esattamente come la
trilogia de Il libro della vita e della morte, questo libro è stato
raccontato mediante più voci, ma il vero movente da cui si dipartiranno le
vicende sarà la studiosa Diana, amante della storia e della letteratura, amica
affezionata che pose su di me il suo caldo sguardo. Uno sguardo acceso, che
infuse calore e conforto, e dipinse il mondo creato dall’autrice con una
tonalità inebriante, sensuale e confortante. Restare ammaliati dai segreti e
dai riti alchemico, alla concezione del Tempo come sovrano supremo a cui ci si
aggrappa per migliorarsi e migliorare, nonostante cambiare le sorti del passato
è impossibile ma non per il futuro, sono alcuni degli elementi da cui dipartono
le vicende di questo nuovo romanzo, rappresentandolo con una tonalità più
dolce, meno ingrigita, più intrigante a cui mi sono avvicinata silenziosamente
ignara di ciò che avrei visto.
La decisione del
cocciuto Marcus sarà irremovibile. Matthew non potrà non esaudire il volere di
questo suo figlio del tempo. Sentimenti forti come l’amore, la vendetta, il
possesso, la gelosia, il rimpianto, che restano sempre intatti, sono un sentiero
spianato che subito sarà attraversato.
Ho accolto questa
nuova straordinaria storia vivendo nell’immaginazione tante vite, tentando di
porre rimedio alla limitezza della mia esistenza, trovando nei romanzi un
margine di libertà in cui spesso vi trovo rifugio. Così come la trilogia che la
rese famosa, Deborah Harkness tesse una storia che ha dell’intensità, della
dolcezza, nell’affascinante e affannosa ricerca di scovare la propria
naturaaartificiosa e trovare la pace. Dotato di una forza devastante con la
quale è stato costruito niente di memorabile, ma che fa scivolare impunemente
nei cuori degli algidi protagonisti. Inebriandoci della loro essenza, del loro
aspetto, dei loro modi gentili in cui il Tempo è una costante. Un tentativo di
cucire due lembi rossi che strisciano verso l’alto, come una lama incandescente
e infuocata che recide un segno nella sabbia del tempo.
Bisogna scegliere
la vita – la propria, non quella di un altro – ancora e ancora, giorno dopo
giorno, anteporla al sonno, alla pace, alla sofferenza, alla morte. Alla fine è
la nostra irrefrenabile spinta a vivere che ci definisce: senza quella, non
siamo altro che un incubo, un fantasma, l’ombra degli umani che siamo stati.
Valutazione
d’inchiostro: 4+
Serie che ispira, anche se sperimenterò la serie TV per comodità, per vedere se fa per me. :)
RispondiEliminaIo invece ho deciso di leggere i romanzi, e poi guarderò la serie TV, ☺️ ho il buon presentimento potrebbe piacermi ☺️☺️
EliminaAutrice che ancora non conosco, anche se Il libro della vita e della morte l'ho comprato da parecchio. Prima o poi ce la farò. Questo mi incuriosisce proprio
RispondiEliminaAnche a me incuriosiva, e infatti non ho proprio potuto tere a meno di leggerlo subito ☺️
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