Il viaggio fra la ricchezza di
parole, la maestosità con cui è stato scritto questo romanzo porta con sé un
gelido eco degli anni ’40, un sentore di precauzioni e austerità. Sprofondata
come in un’isola sotto l’effetto di uno strambo incantesimo, come se ci fossi
sempre stata, ne Il cardellino
apparentemente ho rifugito da un epoca, un tiepido alone di speranza, un
generico molle sentore di cose antiche, che poi splende nella nitidezza, nel
colore, nella luce, come un retaggio che oscilla continuamente fra la vita e la
morte, in un gioco di luci e ombre che strascica sui piedi, palco immerso nella
penombra.
Quando si odono voci smorzate
di anime curiose dalla vita, ma avvolti da una certa aura di tristezza e
drammaticità, che sedimenta nell’animo come un male incurabile, coloro che non
ne riconoscono la provenienza sono affascinati, incuriositi, affamati nel
conoscere qualcosa di cui se ne ignorava completamente l’esistenza più di
quanto lo si credeva.
Con l’imminente uscita della
trasposizione cinematogtafica, ho così accolto Il cardellino nel mio cantuccio personale partecipando nient’altro
che a una parata di affetti, legami trovati e poi perduti, mancati o troncati
che tuttavia niente e nessuno potrà mai colmare ed in cui il significato
intrinseco di queste parole avrà una certa valenza. Ebbene si, poiché quella
narrata è una certa grandezza che è stata proiettata nel mondo e non che appartiene al mondo in quanto incomprensibile
ma vivo, dotato di un suo cuore bel magrado. Donna Tartt, a questo proposito,
ha riconosciuto negli strascichi e nel linguaggio indecifrabile ma di ampio
spazio dell’arte, i reduci di un piccolo capolavoro a sé, che conta su
commettenti importanti quanto indispensabili. E, come nella stessa arte, ha messo
in mostra un piccolo gioiellino che è stato esposto sotto un cielo perennemente
grigio e fosco.
Titolo: Il cardellino
Autore: Donna Tartt
Casa editrice: Bur
Prezzo: 17€
N° di pagine: 900
Trama: La storia di
Theo Decker, sopravvissuto, appena tredicenne, all’attentato terroristico che in
un istante manda in pezzi la sua vita. Solo a New York, senza parenti né un posto
dove stare, viene accolto dalla ricca famiglia di un suo compagno di scuola. A disagio
nella sua nuova casa di Park Avenue, isolato dagli amici e tormentato dalla nostalgia
per la madre, l’unica cosa che riesce a consolarlo è un piccolo quadro dal fascino
singolare. E da lì, il suo futuro diventa una rocambolesca giravolta tra salotti
chic, amori e criminalità, guidato da una pulsione autodistruttiva, impossibile
da controllare.
La
recensione:
<<
La gente muore, questo è un dato di fatto. Ma il modo in cui perdiamo le cose,è
insensato e terribile. Per incuria, per incendi, guerre … >>
Opulento. La parola perfetta per descrivere
ogni rimasuglio di idea o riflessione per descrivere cosa è stato per me Il cardellino. Essendo ciò che giudicavo
impossibile, ma che invece è stato possibile, penso, ciò che ho ritenuto
estremamente dovizioso da Dio solo sa quale dei basilari principi artistici e
morali, questo splendido romanzo mi ha insegnato ed esulato il <<
comportamento >> più appropriato di un ragazzo di soli tredici anni nella
tragedia, in un lutto famigliare che sconvolgerà e drammatizzerà del tutto il
suo universo personale, come un piccolo pezzo di anima a cui dovremo fare i
conti nel momento in cui cadrà, così irrimediabile e senza alcun fine. Il marchio
architettonico su cui poggia la sua struttura eclettica, un dipinto
apparentemente semplice e banale in cui tuttavia vi sono riportati le vicende, coglie
i tratti dello stesso protagonista, il suo minuscolo battito e la sua
solitudine, il tempo che resta sospeso ma che così non si può definire,
intrappolati nel cono di una luce, e che dovrebbero enunciare una libertà senza
limiti da cui è possibile fuggire o scomparire da qualunque cosa.
Suonava mezzogiorno quando mi sedetti nella
mia poltrona preferita, con un plaid sulle gambe e il romanzo posto a mò di
leggio, che iniziai, anche se con una certa fatica, questo magnifico viaggio di
ben novecento pagine che, con calma e una certa dedizione, mi avrebbe
accompagnata e tenuta in buona compagnia per qualche giorno. Sulla
straordinaria importanza che dietro ogni finzione, ogni illusione non vi è
alcuna verità, sebbene da essa dipende una certa magia che io stessa ho
avvertito così intensamente è stato difficile anche per me, già dopo le prime
cento pagine, interpretare questa visione distorta delle cose, credere alla
resistenza e alla sua interpretazione in qualcosa di assolutamentre sublime,
nella misura in cui un quadro diviene e resta immortale. Parte di un tutto
luminoso, immutabile, immobile, con una certa continuità nella sua esistenza,
come l’amore che riserviamo alle cose specialmente quando li disperdiamo e poi
ritroviamo, li salviamo e li preserviamo, chiamandole ed estrapolandole dalle
radune del tempo. Niente che non avevo visto o immaginato sin dal principio,
impulso dirompente, folle e imprevedibile che altri non è che un sussurro
velenoso nel mondo, doloroso, nocivo, che non ci abbandonerà mai del tutto,
nemmeno per un istante, e che ha indugiato ai margini della mia coscienza
ruggendo fuori dal mio controllo sotto una specie di violenta furia visionaria,
autodistruzione innescato da un tragico evento che inevitabilmente mi ha
investito, sconvolto. Segreti celati sotto strati e strati di polvere e colori,
la ricerca vana di svelare ciò che è celato e non il volto che mostriamo, la
pittura e l’arte e il suo significato più recondito che si elevano al di sopra della superficie
dell’esistenza e di conoscenza di quel che è, sono tutti aspetti che ho
considerato assolutamente cinguettanti.
Il mondo che raccontiamo è spesso trasfigurato, ricco di luci e frastuoni, ma
con un guazzabuglio di proiezioni di cartapesta. Ci si aggrappa agli oggetti,
alle cose, agli affetti, quando sopratuttto si è tristi, affinchè i ricordi
innescati non sfumino, non restino immutati nel tempo. La stessa vita è spesso
crudele, e Theo conoscerà per sempre il bruciore di una ferita ancora aperta,
che lo riporta sempre nello stesso punto senza speranza. La briglia che il
decoro è per la pubblica interpretazione, l’ispirazione che fornisce agli
esseri umani il semplice atto di osservare qualcosa, la persistenza, la
resistenza, quasi osannata continuamente, di questo svirilizzante << perbenismo
>> di non lasciarsi andare, non farsi trasportare dagli eventi. Donna
Tartt ha identificato mediante il concetto di bellezza un tipo di depressione,
di dolore che ti scava dentro e che, pur di colmarlo, ci si aggrappa a
qualunque cosa, pur di uscirne vivi: l’alcol, la droga, il fumo. Come forza,
tale concetto ne è di per se dotato in minima parte, ma è un dominatore in
mille travestimenti, che s’infiltra, se necessario, persino nei momenti, nelle
situazioni più assurde, come civica responsabilità, nell’estorsione dei diritti
di Theodore, il suo orgoglio, la sua fedeltà alla madre perduta. È qualcosa che
non è lasciato al caso, ma che ci si affanna a scovare in qualunque posto vi
sia felicità, oblio, esistenze più ricche e congeniali.
Nella mia coscienza ha provocato un certo
turbamento, non fosse stato a un livello nettamente minore di quel che credevo.
La parola scritta a questo proposito diviene oggetto di sfogo, sia per Theodore
sia per me,ponte di passaggio che ha collegato il mondo di qua con quello di là
e che in qualche modo lo hanno tenuto in vita dal mondo ombreggiante ed oscuro
in cui è rinchiuso.
Tutto questo dopo due settimane trascorse a
contemplare il frammento di un dipinto perduto e impossibile da recuperare in
cui la morte affiora dal buio come da un vasto fondale.
L’atmosfera onirica e ovattata, i colori
vellutati ma color ruggine, lo sfarzo e quel sentore di quiete che aleggia
tutt’intorno, il concetto di bellezza che evidenzia come dietro ad essa si
nasconde ogni inimmaginabile bruttezza, che ti inducono a vivere in un tipo di
illusione che ti sconvolge in quanto la percezione di desiderare ciò che è bene
per noi stessi non coincide con il processo crudele e meccanico della vita
determinano il tipo di persona che siamo.
Massima della letteratura moderna ed
inglese, che rientra nel sentimentalismo di quelle opere i cui protagonisti
sono anime alla deriva che si trascinano quasi sempre nel fango, nella
crudeltà, nell’innocenza, è uno squarcio di luce che ne risalta le tenebre. La
Tartt, a questo proposito, ha dipinto un quadro bellissimo ma non perfetto che
non si discosta dall’idea di tristezza o rammarico che suscitano le sue pagine,
in quanto ogni forma di gioia o contentezza è un soffio di vento che a malapena
si riesce ad avvertire. E un po’ di felicità è ciò che tutti noi bramiamo, come
se in attesa di un miracolo.
Qualunque
cosa ci insegni a parlare con noio stessi è importante: qualunque cosa ci
insegni a cullarci fino a uscire dalla disperazione.
Valutazione
d’inchiostro: 5
Ottima recensione
RispondiElimina🥰
EliminaDevo assolutamente leggerlo, ma mi spaventano le troppe pagine. Lo metto tra i buoni propositi del 2020!
RispondiEliminaTi assicuro che le pagine scorrono in niente. Davvero una bellissima lettura! 🥰
Eliminache bella recensione, questo prima o poi voglio leggerlo
RispondiEliminaGrazie mille! Spero allora lo leggerai :)
Eliminami incanti sempre con il tuo modo di scrivere Gresi! sempre bellissime le tue recensioni! ricordo questo libro come una piacevole lettura e nelle tue parole ho ritrovato le stesse emozioni e impressioni di quando l'ho letto la prima volta :)
RispondiEliminaFrancesca
M grazie mille, Francesca ☺️❤️ ha colpito parecchio anche me 😊😊
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