Da una finestra
virtuale dall’aria luminosa ma vaporosa Sandro Veronese comparve come un
fantasma, si presentò con un piccolo e breve romanzo e per qualche giorno mi
condusse nel magico luogo dove tutto ciò che accadde accadrà per un motivo. Leggere
la società circostante. In tutta sincerità, di libri attuali e realistici ne
leggo a bizzeffe, e ciò che espugna Il
colibrì a mio avviso non possiede nulla di nuovo, sorprendente o
sconcertante che si discosta da altri romanzi. Cornici che ho visto trovarsi
all’altezza delle mie aspettative, della mia personalissima visione, che senza
alcun intervento o disturbo, il meccanismo che si aziona è un guadagno per
comprendere meglio e affondo ciò che ci circonda.
Il pregio di questo
romanzo è certamente lo stile; intorno a una storia il cui lirismo, la cui
poesia ricorda quella di Siddharta si
dipanano le vicende di un uomo comune, un po’ solitario e sfortunato la cui
vita prese un giorno una svolta decisiva.
Senza fare troppi
spoiler, il risultato è un sufficiente modo di interpretazioni di una realtà
attualissima ma distorta, che per certi versi resta attaccata a chi legge, ma
poi ci scivola addosso come niente fosse. E da qui, il mio parere non
propriamente entusiasta ma rubato da pensieri frastagliati di ciò che ha
significato più per me la sua lettura. La gente che l’ha letto prima di me è
stata davvero entusiasta. Io non proprio, ma tutto sommato soddisfatta per la
sua utilità, che solo a quel punto mi ha staccato dal mondo e portato via.
Titolo: Il colibrì
Autore: Sandro
Veronesi
Casa editrice: La
Nave di Teseo
Prezzo: 20 €
N° di pagine: 368
Trama: Il colibrì è
tra gli uccelli più piccoli al mondo; ha la capacità di rimanere quasi
immobile, a mezz’aria, grazie a un frenetico e rapidissimo battito alare ( dai
12 agli 80 battiti al secondo ). La sua apparente immobilità è frutto piuttosto
di un lavoro vorticoso, che gli consente anche, oltre alla stasi assoluta,
prodezze di volo inimmaginabili per altri uccelli come volare all’indietro…
marco Carrera, il protagonista del nuovo romanzo di Sandro Veronesi, è il
colibrì. La sua è una vita di perdite e di dolore; il suo passato sembra
trtascinarlo sempre più a fondo come un mulinello d’acqua. Eppure Marco Carrera
non precipita: il suo è un movimento frenetico per rimanere saldo, fermo e,
anzi, risalire, capace di straordinarie acrobazie esistenziali.
La
recensione:
Una
parola che è veleno e cura per la ferita del futuro quando ci manca; e che
quindi in un certo senso non serve a nulla. Perché in realtà, anche se cura “una”
ferita, la vera accanita speranza di tutti gli esseri umani quando sono onesti
con loro stessi è che la ferita non capiti mai.
Sandro Veronese scrive piuttosto bene e in
un romanzo di meno quattrocento pagine ci dice esattamente ciò che qualche anno
fa sentì, o meglio, vide con i suoi stessi occhi, credendo che da quel momento
un pezzo di quell’anima persa si fosse attaccata alla sua. Per forza. Veronese
è alquanto acclamato nella letteratura italiana odiena, che spesso è caldamente
ricordato mediante altri lavori precedenti, pionere nella grande lotta contro
la << repressione >>. Sotto certi versi, dovrei essere fiera che un
mio nazionale e compatriota fa dei suoi romanzi degli squarci politici e
sociali. Specchi su cui riflette la sua personalissima visione, checchè essa
sia positiva o negativa, ed intrappolando il pensiero astratto su carta formula
la sua “protesta” nell’unico modo per cui si destreggia meglio, alla testa di
quei poveri poeti o artisti italiani che fecero le loro opere una denuncia sulla
realtà circostante. La sua punta di lancia della resistenza politica a un
governo che impedisce qualunque forma di libertà o espressione e alla sua
terroristica repressione fu la letteratura. Il
colibrì, infatti, esplica ciò che ha reso Veronesi un uomo che sa
destreggiarsi con le parole, facendolo un opinionista, un critico, pronto a
compiere passi sorprendenti pur di mantenere salda l’iniqua distribuzione della
ricchezza individuale e difendere le oppressive istituzioni delle classi
dominanti. Disobbedire alle leggi, a chi
ci sovrasta, è sinonimo di forza, di ribellione, è una cosa che ho imparato
ampiamente a vedere nei romanzi di Philip Roth, e che quando mi imbatto in
questo tipo di storie mi premuro a combattere unanimamente.
Quello di Veronesi non è stato un atto
memorabile ne criminoso, ma un atto liberatorio e di denuncia nella lotta fra l’individuo
e la sua libertà spirituale: che si tratti di pittura, scultura, o la stessa
letteratura, si tratta di forme d’espressioni da cui ci si può sentire liberi,
sebbene non a tutti gli effetti. E Veronesi non avrebbe dovuto propinarci il
concetto di ricordi, strettamente legato all’individuo, se nonostante la loro
potenza è imprigionato in una certa immobilità. Chiama alcune forme
spiritistiche di libertà, ma non rovescia questo suo sentirsi immobile,
imprigionato nemmeno con un certo corredo di ricordi. Forse sembro presuntuosa
a scrivere tutto questo, ma uno scrittore come Veronese, se tiene così tanto
alla salvaguardia dell’individuo, non dovrebbe temere per la sua incolumità? Dopotutto
non è solo; è un essere imperfetto esattamente come tutti gli altri, fa parte
di un piccolo grande esercito che giorno dopo giorno combatte guerriglie, lotte
che forse non avranno mai fine. Tutto questo non è stato altro che un grande e
terribile fiasco. Non era necessario giungere sino a qui pur di assistere ai
miei occhi ad una volontaria reclusione, che è persino in disaccordo con le
necessità e le aspirazioni della sua persona.
Eppure, ho voluto continuare ad ascoltare. Ben
o male, ciò che narra Il colibrì non
è nulla di inventato o fantasioso, ed è stato qui che ho potuto finalmente
cogliere la sua importanza, quasi annoiata di essere continuamente
sballottolata da un posto ad un altro, da un ricordo ad un altro, per la
ragione che mi ha così impedito di andarmene quando mi imbattei in questo stato
di fastidiosa immobilità, in quanto impossibilitata a riconoscere e spiegare le
motivazioni per cui ogni cosa è avvolta in tale atmosfera.
In letteratura, ma così come in
antropologia, l’uomo si è sempre interrogato sulla natura infruttuosa del suo
essere. Da sempre è angosciato dall’incertezza della risposta, domande che
derivano certamente da un certo numero di esperienze che caratterizzano il
nostro bagaglio culturale. L’uomo, infatti, è come un essere animale superiore
e potente, e guardandosi attorno, vede il mondo e fa alcune ponderazioni. Il
mondo appare così indistinto, lontano a se, come qualcosa a cui è stato
costretto a separare. In questa percezione, Veronesi ritrae l’uomo come
conoscitore di qualcosa a lui sconosciuto, ma nella quale è radicata la
perpetua insoddisfazione dell’uomo. E anziché metterlo alla ricerca di un
Creatore, un Dio, anche qualcosa di necessariamente fuori di sé, resta sospeso
nella sua improduttività.
Questo è il temibile concetto per cui non
ho amato Il colibrì, che sebbene l’avessi
visto inizialmente come un nuovo squarcio sul mondo, ben presto l’insoddisfazione
è sedimentata nel mio animo. Tanto meno ho considerato questo libro quello
strumento in cui si cerca la conoscenza di sé, la conoscenza dell’IO.
Così come in Siddharta, i cui temi sono parecchi cari a quelli dell’autore
tedesco, l’uomo resta in una dimensione alquanto limitata in cui l’atto dell’agire
è errrore o deviazione. Il << problema >> in questo romanzo sta nel
modo in cui lo si percepisce, che per quanto mi riguarda ha recato grande
insoddisfazione: l’insoddisfazione di non aver potuto vedere questo piccolo
uccellino spiccare il volo. Abbandonarsi ad una realtà infruttuosa, insana,
impossibilitato a muoversi o agire come avrebbe dovuto essere: una figura
impregnata di luce. Opaco, vacuo, per l’appunto, mi è parso così questo
colibrì, che a dispetto già di quello bellissimo della Tartt non mi ha permesso
di fuggire da una realtà completamente diversa da quella attuale, pausa
tormentosa del mio spirito. E dunque la sua meravigliosa essenza è stata
tralasciata, impossibilitata ad oltrepassare una trama apparentemente semplice.
Nonostante abbia una struttura, questo
romanzo è un contenitore di ricordi e squarci di delicati pensieri che prendono
vita, mediante una serie di ragionamenti che nascono dall’esperienza di se
stessi e del mondo. Ma riflettore di un vuoto raccapricciante che fa riscontro
del terribile cosmo dell’anima di chi legge, è una storia che alla fine si è
rivelata infinitamente lontana dai miei presupposti, dai miei concetti
individuali, da qualunque forma di miracolo che presto o tardi dovremmo andare
incontro.
Valutazione
d’inchiostro: 2 e mezzo
Non ho mai letto niente di Veronesi; questo sembra carino; grazie per la recensione
RispondiEliminaGrazie a te! ☺️☺️☺️
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