Come? Impelagata nelle vicende di un giovane rampollo
meritevole, scalcinato e dall’anima tremante che irruppe nella scenografia
della sua vita nel momento in cui meno se lo sarebbe aspettato.
Ero venuta qui, a Vienna, con l’intenzione di
risiederci per qualche tempo, invece il suo autore mi ha strappata a piccoli
pezzi: chi l’avrebbe mai detto! Frieda viene armoniosamente e poeticamente
rievocata con una prosa artificiosa ma coinvolgente, che mi ha indotta a
rifuggire da altre storie citati in un contesto banale e intatto il cui
messaggio è nascosto, lì, non fra le sue pagine, bensì nella sua stessa anima. Così
evanescente al tatto e all’occhio nudo, affisso alla bacheca del mio cuore dove
lì è rimasto e credo resterà per un bel po' di tempo.
Titolo: Frieda
Autore: Christophe Palomar
Casa editrice: Ponte delle Grazie
Prezzo: 18 €
N° di pagine: 306
Trama: La Frieda che dà il
titolo a questo sorprendente romanzo è Frieda von Richthofen, figlia di un alto
ufficiale tedesco, cugina del Barone Russo e musa di D. H. Lawrence, il
chiacchierato e geniale autore dell’ << Amante di Lady Chatterley
>>. Donna dalla personalità eccezionale, è lei la grande fonte d’ispirazione
e di passione del protagonista e voce narrante del romanzo, Joachim von Tilly. Questi,
rampollo di una famiglia di conti tedeschi, sembra destinato a seguire le orme
paterne a capo delle acciaierie di famiglia. Nella bellezza della Capri del
primo Novecento, Joachim avverte tuttavia la possibilità di un’altra vita. Inizia
allora per lui una fuga senza fine, costellata d’incontri, amori, speranze e
tradimenti. Una fuga che lo porta da Vienna e Berlino fino a Buenos Aires, dove
lo attendono le risposte alle tante domande lasciate in sospeso.
La recensione:
Non si impara a vivere come
si impara una lingua o una scienza. È un dono che si ha o non si ha.
Per mettere a tacere la vocina
della mia coscienza, ho impiegato una manciata di giorni per leggere e
completare un romanzo la cui lettura non credevo potesse essere così ammaliante,
che ha alleviato la monotonia, il tedio che imperversa particolarmente in
questo periodo, rispecchiando perfettamente quel tipo d lettura di cui avevo
particolarmente bisogno. Christope Palomar non ebbe nient’altro che carta e
inchiostro, e il suo è un tipo di tentativo che affannosamente sfoga nella
ricerca di un tipo di bellezza che possa avvolgerci, sedurci, allo stesso tempo
persino inquietare, nell’ottenere un benessere effimero che disgraziatamente non
si otterrà mai.
Una sfida fra amici indotta
dall’autore oltre vent’anni fa fu la goccia che fece traboccare il vaso. Palomar,
in definitiva, creò dal nulla le vicende del rampollo Joachim e del suo
rapporto conturbante con Frieda, nel quale per tutta la durata della lettura si
crede si tratti dell’elemento più forte dell’intera narrazione mentre ai miei
occhi fu l’elemento di gran lunga più debole; era la sua atmosfera, il suo
essere avvolti in qualcosa di magico, sontuoso, uno spirito frenetico che è lo
stesso di quello tedesco, le sue smisurate ambizioni, la sua arroganza, il suo
sentirsi forte più di quel che è a spiccare in mezzo a carcasse fallite e
nostalgiche, uomini o donne agonizzanti ma desiderosi di scovare una felicità
meritevole ma che non raggiungeranno mai, destinatari però di tante cose:
qualunque richiesta fosse loro rivolta, non potevano non aderire. L’unico modo,
secondo il mio modesto parere, attraverso il quale l’uomo poteva essere un
uomo, soprattutto << fortunati >> a solcare terre fredde e
innevate. Fin dai primi albori soggettati da delusioni, dilaniamenti,
preoccupazioni, che in parte li hanno privati di se stessi.
Per l’autore le mezze misure
non bastarono. I suoi sforzi di voler raggiungere ciò che più si desidera, ciò
che più aggrava fu sempre più difficile; i suoi personaggi, i suoi figli di
carta furono sprovvisti di tranquillità spirituale. Nemmeno quando uno squarcio
di luce sbucò dietro una coltre di tetraggine e drammaticità, nemmeno quando si
sopportarono le scocciature di una famiglia bigotta e per nulla progressista. Un
uso impersonale dei suoi stessi figli di carta che a mio avviso ha reso gli
stessi logoranti, che non ci pensano due volte a calpestare o valicare
qualunque barriera gli si presentava dinanzi. Qualcosa insomma di transitorio e
inafferrabile.
È stata questa una delle
ragioni per cui Frieda non mi ha
convinta pienamente, un idea abbozzata, un corpo senza voce, che ha saltellato
fra un epoca e un'altra, un ricordo e un altro, non riuscendo tuttavia a
scrollarsi definitivamente di dosso ciò che lo attanagliò. Joachim era un anima
inquieta, vagabonda, errante che ha sempre anelato ad allontanarsi da quel
lungo baratro in cui è inevitabilmente sprofondato, affinchè qualcosa dentro di
lui andasse al suo posto. Emulando la concetrazione di quei grandi poeti d’epoca,
appassionato artista e seduttore, in pace con se stesso di sentirsi alleato in
imprese comuni, rocambolesche, facendo così intravedere come avrebbe potuto
aspirare a qualcosa di grande: si, l’uomo sereno e tranquillo, appagato e
appagante che un giorno sarebbe diventato.
Freida
però resta saldamente ancorata alla mia anima con qualcosa che ha invaso ogni
minuscola particella del mio corpo. È stato qualcosa che ha avuto a che fare
con le modalità con la quale questa storia è stata raccontata, un eco, per
meglio dire, un collegamento, una vera e propria rappresentazione per questo
progetto di rievocare una delle figure più importanti della storia francese,
che credo sia derivato dall’importanza della sua stessa anima, così
dannatamente conturbante, intricata, intrinseca, malinconica, quasi tragica,
che in parte mi ha spiazzato in parte mi ha fatto storcere il naso, ma spazzato
via qualunque remora o pregiudizio che avevo riposto alle sue pagine. Palomar aveva
tirato al bersaglio, ma a mio avviso non l’ha centrato.
Nella trama di Freida, infatti, non c’è una storia
lineare, scandagliata fra presente e passato come un gioco di parole, bensì una
radura di rimorsi, turbamenti, segreti, luoghi perduti e poi ritrovati, figure
di diverso tipo che scendono a picco coprendo qua e là i cuori di chi legge
prima che acquistano la consapevolezza di cosa accade e chi li circonda. Un’inattesa
privilegiata da cui l’autore mi ha concesso l’opportunità di osservare ciò che
si districava ai miei occhi: il filo di una matassa che tuttavia resterà sempre
aggrovigliato.
Lo scenario però è stato
alquanto suggestivo. La seduzione più forte dello stesso timore, la persuasione
più fruttuosa dell’assoggettamento, vicende che si sono intersecate fra di loro
conferendo però un chè di inquieto e sofferto. Restano solo amori altalenanti e
illusori, la pittura, la letteratura, il tempo nella sua natura quasi distorta,
che certamente non saranno quegli elementi più adatti per rievocare Frieda nel migliore dei modi ma un mondo
che mostra molto più di come appare.
L’aspetto positivo e
straordinario del romanzo, è stato certamente dovuto dal modo in cui esso è
stato raccontato. Attraverso uno spazio temporale discontinuo, cambi continui
di narrazione, salti nel vuoto, sagaciamente pronta a raccogliere ciò che l’autore
aveva seminato strada facendo. Cogliere cioè le tonalità evanescenti di un
dipinto, catturare su tela l’anima di una donna comune ma bellissima, lo
sguardo concentrato e fissato su un paesaggio devastato dalle due Guerre in cui
l’anima con difficoltà è scivolata beata,
A tratti lento a tratti
sincopato, racconto di donne forti e allo stesso tempo fragili, Frieda è un affresco carino e attraente
per gli amanti del romanzo vittoriano, ma che estrapolato dalle soglie del
tempo avrebbe potuto lenire la mia anima con una certa dolcezza. Attribuendo così
un certo valore a ciò che disgraziatamente non ha avuto valore, non tanto per
la compagnia di chi mi sono circondata quanto il potere stimolante della
narrazione,
Valutazione d’inchiostro: 3 e mezzo
Non conosco; ottima recensione, grazie
RispondiEliminaGrazie a te ☺️☺️
EliminaSeems good review, can try to read!!thanks.
RispondiEliminaThank you ☺️
EliminaYine harika bir inceleme olmuş Gresi 😊 güzel bir gün seninle olsun 😊
RispondiElimina❤️☺️
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