Autore: Stephen King
Casa editrice: Bompiani
Prezzo: 13 €
N° di pagine: 592
Trama: L'Overlook, uno strano e imponente albergo che domina le alte montagne del Colorado, è stato teatro di numerosi delitti e suicidi e sembra aver assorbito forze maligne che vanno al di là di ogni comprensione umana e si manifestano soprattutto d'inverno, quando l'albergo chiude e resta isolato per la neve. Uno scrittore fallito, Jack Torrance, con la moglie Wendy e il figlio Danny di cinque anni, accetta di fare il guardiano invernale all'Overlook, ed è allora che le forze del male si scatenano con rinnovato impeto: la famiglia si trova avvolta ben presto in un'atmosfera sinistra. Dinanzi a Danny - che è dotato di un potere extrasensoriale, lo “shine” - si materializzano gli orribili fatti accaduti nelle stanze dell'albergo, ma se il bambino si oppone con forza a insidie e presenze, il padre ne rimane vittima.
La recensione:
Quando accolsi la storia di Jack nel mio cantuccio personale, di questo Overlook ne sapevo poco. Molto poco. Folgorata dalla trasformazione che avrebbe fagocitato al suo interno, secondo la logica kinghiana, era uno stile di vita cui molti personaggi sono abituati. Ma c’era da aspettarselo, tutto sommato, e quasi incapace di intendere e di volere l’ho seguito come se animata da volontà propria. No, animata dallo stesso Jack. Si, perché pur quanto si aspiri all’eternità, alla veridicità assoluta, al Bene, c’è qualcosa che spinge sempre un po' più in là. Del resto si compiono a volte azioni di cui non ne siamo pienamente consapevoli. Come quando, due anni fa, lussò il braccio al suo piccolo Danny… ma si è trattato di un incidente, no?
Sanguinante, puzzolente, deformato, non riuscendo a porre lo sguardo per più di qualche minuto per concepire il fatto, comprendere l’assetto, raccapezzarsi su ciò che è appena stato compiuto. John lentamente sconterà una pena il cui fardello si trascinerà per il resto dei suoi giorni. Sulla scia di forme di incomprensibile follia frantumano l’anima in minuscoli pezzettini. Si, l’anima. Quella forma evanescente, invisibile al tatto e all’occhio che abita in ognuno di noi, e che si rivela lucente e non a seconda di ciò che ci mette in relazione col prossimo. Qualunque assetto positivo o negativo che occupano uno spazio particolare.
La prima volta che mi approcciai a questo romanzo non credevo che, una volta giunta qui, potessi sopportare che un uomo come Jack convivesse con i suoi demoni del passato, e sua moglie, la sua dolce metà, costretta a decidere di abbandonare tutto come soluzione migliore. Shining infatti è un lungo e indefinibile pellegrinaggio nella psiche, ma anche nell’assetto etico e sociale in relazioni fra gli esseri umani che puzza di crudeltà, sangue copioso, ricordi che lacerano la mente e che non riescono a portare via le impurità, con sangue continuamente riverso che è assetto passionale di un folle che ripudia la moralità, la dedizione di certi dogmi spirituali e individuali. Perseguita Jack e la sua creatività, trasformandolo in un cadavere quasi privo di vita che vaga lungo la riva dell’assurdo, in un luogo al di là di ogni speranza di salvezza, a poco a poco ostinato a sbarazzarsi di qualunque cosa rotta, di qualunque forma malvagia, da qualunque riscatto dalla sporcizia e dal disordine, che lo hanno scoperto nel modo più crudele potesse mai vedersi, che quello che all’inizio sembrava una semplice vendetta personale è in realtà uno squallore onnipresente e inalterabile che logora da dentro nel suo lento abbandono, di cui lo stesso Jack sopporterà con ostinazione, diligenza, imparando a coprire quei difetti che avevano macchiato la sua anima, giungendo pian piano ad apprezzarsi così com’è. Il silenzio, il gelo, la freddezza, l’inconsistenza che attanagliano i sensi, attutiscono i suoni, sono abissi insondabili che non hanno una loro specifica collocazione ma dai quali si intravedono sprazzi stretti e melmosi di anima, il braccio argenteo che separa la perdita dalla felicità sgretolarsi l’uno con l’altra.
Shining si pone come quello spettacolo cruento, violento e distruttivo attraverso il quale si pone una certa differenza fra essere umano libero da azioni impure e l’essere umano macchiato da gesti o azioni irrimediabili proiettato su un paesaggio spoglio, maledetto, scevro dalla paura e dal terrore, all’ombra delle gerarchie sociali e delle umiliazioni razziali. Una tranquillità distorta dell’animo che permise al mio essere di comprendere l’anima effettiva di questa opera, il suo voluto isolamento, il suo ostinato e perpetuo avvicendarsi in situazioni che tornano allo stato selvaggio, primitivo, straziano specialmente nel momento in cui si accarezza l’idea che bisogna comprendere la vita al di là delle sue apparenze intessuta con i fili di una seta nata dalla propria carne in cui la bestia che riposa silenziosamente altro non è che lui stesso. Descritto mediante gli occhi di svariati <<personaggi >> penitente, smarrito, forma finita in uno spazio infinito in cui il cielo è stato capovolto e lo spazio azzurro del cielo è nero.
Valutazione d’inchiostro: 5
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Autore: Stephen King
Casa editrice: Bompiani
Prezzo: 18,50 €
N° di pagine: 516
Trama: Danny Torrance è cresciuto. E anche i suoi demoni. Perseguitato dalle visioni provocate dallo shining, la luccicanza, il dono maledetto con il quale è nato, e dai fantasmi dei vecchi ospiti dell'Overlook Hotel dove ha trascorso un terribile inverno da bambino, Dan ha continuato a vagabondare per decenni. Una disperata vita on the road per liberarsi da un'eredità paterna fatta di alcolismo, violenza e depressione. Oggi, finalmente, è riuscito a mettere radici in una piccola città del New Hampshire, dove ha trovato un gruppo di amici in grado di aiutarlo e un lavoro nell'ospizio in cui quel che resta della sua luccicanza regala agli anziani pazienti l'indispensabile conforto finale. Aiutato da un gatto capace di prevedere il futuro, Torrance diventa Doctor Sleep, il Dottor Sonno. Poi Dan incontra l'evanescente Abra Stone, il cui incredibile dono, la luccicanza più abbagliante di tutti i tempi, riporta in vita i demoni di Dan e lo spinge a ingaggiare una poderosa battaglia per salvare l'esistenza e l'anima della ragazza. Sulle superstrade d'America, infatti, i membri del Vero Nodo viaggiano in cerca di cibo. Hanno un aspetto inoffensivo: non più giovani, indossano abiti dimessi e sono perennemente in viaggio sui loro camper scassati. Ma come intuisce Dan Torrance, e come imparerà presto a sue spese la piccola Abra Stone, si tratta in realtà di esseri quasi immortali che si nutrono proprio del calore dello shining. Uno scontro epico tra il bene e il male, una storia agghiacciante, un ritorno al fantastico e all'horror dei primi lavori di King. "Doctor Sleep" inquieta e fa paura, ma soprattutto commuove ed emoziona. La storia di Shining ha un nuovo capitolo.
La recensione:
L’argomento che ritrae Doctor Sleep è parecchio simile a quello ritratto in Shining e la curiosità e l’interesse riservato a queste pagine furono l’espediente per risanare i lembi di una storia che di per se era affascinante ma che galleggiava in una piscina di dubbi e perplessità, sbattendoci fuori quando meno ce lo saremmo aspettati per fare posto a quello che avrei poi definito come un nuovo modo di << vedere >> le cose. Il rumore assordante che perforava la mia testa, scontri fra entità ingovernabili e indomiti, l’imponenza contro un disordine emotivo che scombussola ogni cosa, avevano condotto la lettrice curiosa e appassionante che riposa in me in un luogo che ha destato il mio fascino ma non ammaliato come nell’albergo dell’Overlook. Fuori dunque da queste fatiscenti mura, ma non migliore perché calibrato in assetti di vita quotidiana che intrecciano uomini che entrano nella lotteria della vita scoprendosi dotati di capacità che in un certo senso li rendono diversi. Altro modo per dire peggiori o inaccettabili, arrendendosi così alle maglie di una storia che è la resa di una sconfitta per il futuro di questi poveri disgraziati, il cui risultato sarebbe stato forse più disastroso di quel che pensavano.
Sono stati i continui cambi di voce, i pochi momenti di lucidità a incuriosirmi. Non le ferite ancora sanguinanti che bruciano sulla pelle di donne sole, tormentate, benchè ogni tanto ancora dolessero. Ma il forte senso di malessere che aleggia tuttorno. Come falene lucenti e svolazzanti intrappolate in un barattolo. Nessuna responsabilità, nessun ricordo di ciò che è veramente accaduto, nessuna idea riguardo a ciò che è stato. E nessuna risposta in proposito. A quel punto mi sono ritrovata stretta nella morsa di dubbi, perplessità, questioni illogiche. E' stato questo il mio stato mentale, quando arrivai quasi in sordina fra le pagine di questo caso letterario. Fu così che mi ritrovai unanime al resto dei lettori, che avevano letto e giudicato prima di me questa opera, completamente sconcertata, diffidente, con la testimonianza vivida di gruppi di anime che con le loro osservazioni sconvolgeranno ogni cosa.
Romanzo che tratta tematiche relative alla diversità e all’individualità, il mio spirito però non ha potuto rifocillarsi come credeva; questa storia non possiede niente di così spaventoso o sconcertante che resterà saldamente legato alla mia memoria. Celebrato con grande fervore il suo apparire nel mondo, apparire "normali" in un luogo che di normalità ha ben poco, è stato uno dei punti forti dell'intero romanzo. Rappresentato oggi in tutte le salse, ha corroso e annientato lo spirito di molti uomini che, come valorosi guerrieri, dominano sulla scena come figure invisibili a cui però è sottoposto un trattamento speciale.
Conducendomi fra le vecchie mura di un ospedale psichiatrico, di un manicomio, in case umili ma fatiscenti, in un mondo squilibrato e bellissimo come l'irregolare tic tac di un orologio, una storia che lentamente avanza verso un muro di distruzione. Disperazione, follia. Fra gesti sconsiderati e folli, e il flusso lento della storia che scorre silenziosamente in un paesaggio famigliare, una favola dark inzuppata di sofferenze e atrocità in cui la figura individuale cammina incompresa e sola, senza fermarsi, lungo il tragitto della morte.
Valutazione d’inchiostro: 4 e mezzo
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Titolo: Scrittori e amanti
Autore: Lily King
Casa editrice: Fazi
Prezzo: 18, 50 €
N° di pagine: 330
Trama: Casey è una ragazza di trent’anni che ha fatto un patto con se stessa: non pensare ai soldi e al sesso, almeno al mattino. Appassionata di letteratura e aspirante scrittrice, si è indebitata pesantemente per pagarsi gli studi, e ora si ritrova a vivere in una sorta di capanno degli attrezzi nel giardino di un amico e a lavorare come cameriera all’Harvard Social Club. Di recente ha perso la madre, con la quale aveva un rapporto di confidenza profonda e che rappresentava, sebbene vivesse dall’altra parte del paese, la sua unica ancora affettiva. E infine, gli uomini: reduce dall’ennesima relazione fallita in maniera inspiegabile, girovagando per librerie e happening letterari Casey incontra due scrittori che cambieranno le cose. Da una parte c’è Silas, giovane poeta gentile e sognatore spiantato quanto lei, e dall’altra Oscar, maturo padre di famiglia in lutto per la perdita della moglie, autore affermato prigioniero del proprio talento. Incapace di scegliere tra i due, Casey condurrà un ménage à trois facendo infine trionfare la scrittura e con essa la propria maturità come persona e artista.
La recensione:
Ho visto questa storia sfilare dinanzi ai miei occhi come una forma di espressione letteraria che avrei potuto applaudire, dall’inizio alla fine, disposta a riconoscere gli errori che si compiono quando si è giovani e insoddisfatti, speranzosi di scovare un riscatto morale e sociale, condannata a distruggere qualunque parvenza di possibile. Voglio dire, che Scrittori e amanti avrebbe potuto inghiottirmi come desideravo da un marasma di sensazioni altalenanti ma bellissime in cui l’amore per la parola scritta avrebbe suscitato tremori, sconvolgimenti, fraintendimenti vari che, ballonzolando da una parte a un’altra, non hanno incendiato il mio animo con estrema cura. Urlava << indimenticabile >>, ma sgradevolmente ho constatato come non è stato così. Dopo aver letto le vicende che si intrecciano fra quelle della protagonista, Casey, e il suo gruppo di << amici >> che quasi immolarono una protesta silenziosa contro la vita stessa. Un’eruzione di assetti di vita insoddisfatta, il piattume che generalmente sorge da assetti in cui sembra non esserci alcuna via d’uscita. Avevo ragione, quando compresi la sua anima. Scrittori e amanti era scritto bene, ma privo di emozioni. Troppo freddo e distaccato per esprimere forme di amore forti e quasi inconcepibili per la stessa protagonista.
Un’opera facilmente dimenticabile che, in una traversata solitaria di parole labirintiche in cui battersi per la parola scritta è una concezione idealista a cui si aggrappa la stessa protagonista, non ha macchiato la mia anima irrimediabilmente e irrecuperabilmente. La letteratura, protagonista assoluta, non possiede un’importanza superiore ne lo fa imitando il verismo col quale scrittori russi e inglesi hanno impregnato i loro romanzi, in oscure favole in cui si sarebbe potuto cogliere un certo messaggio, fra anime semplici ma appassionate il cui spirito è molto simile a quello di tanti altri.
Avvolta da un sudario di malinconia e dramma, non ho potuto fare a meno di farmi contagiare dal tono sofferente, quasi tragico, in cui il mondo non aveva acquistato quella struttura irreale in cui le cose che prima non avevano senso ora avevano acquistato una certa importanza. Tutto era famigliare ma insopportabilmente insofferente.
Non è stato poi così difficile carpire e scrutare l’anima di questa storia, effetto scatenante che ha imperversato sulla realtà.
Lento, freddo e distaccato sotto molti punti di vista, speziato con qualche nozione di letteratura, Scrittori e amanti non è nient’altro che un espediente per guardarsi dentro e… non trovare assolutamente niente! Un tentativo per scovare verità irraggiungibili, fuggendo da se stessi e da ogni cosa in cui inevitabilmente si prova rammarico, delusione, insoddisfazione che altri non è che lo specchio di coloro che lo formano inghiottiti dal suo lento e devastante frastagliare.
Valutazione d’inchiostro: 3
La recensione:
Mi venne la tentazione di accettare l’offerta di leggere un romanzo di Nesvo, e di non partire dal celeberrimo Tre piani, mostrando una certa pazienza e una certa curiosità, non esaltandomi così tanto al punto di divorarne ogni opera, ma accrescendo quel minimo di curiosità che presto o tardi mi indurrà a convolare nuovamente a nozze col suo autore. Perché sebbene quella raccontata in Le vie dell’Eden è una storia parecchio semplice, merita un’attenzione particolare, diventata nel corso della lettura importante, impedendomi di tralasciare il tutto se non quando fossi giunto alla fine dell’epilogo, e poco alla volta nella mia testa cominciò a delinearsi un quadro che esplicato mediante versi di glorie liriche, li ammirai tanto profondamente per non dare tutto ciò che avevo visto. Non ero sicura dove volesse andare a parare l’autore, ma valeva la pena fare uno sforzo per scoprirlo, dato che questa storia mi attrasse sin dalla copertina, ed entrandone a far parte avrei potuto allearmi col protagonista, comprenderlo fino a fondo – o forse no? – senza mai pentirmi un solo istante di dove fossi.
Le vie dell’Eden ritraggono quella fetta di società, quella cerchia di popolazione in cui ognuno di noi può specchiarsi, simbolo dell’anima umana. A parte l’assenza di un paesaggio che avrebbe potuto rivelarsi bellissimo e suggestivo, ammaliante e affascinante, c’erano nozioni bibliche o religiose che l’autore mi aveva invitato a comprendere in cui il sacro si mescola al profano, ogni uomo è un essere senziente dotato da istinti forti e talvolta indomabili, che osserva e giudica il mondo circostante su ciò che può essere decente o su come un buon elemento non potesse mutare in qualcosa di assolutamente insopportabile.
Se osservo attentamente questo romanzo, effettivamente noto come il romanzo esula tematiche relative alla Genesi, in quanto va alla base dell’origini umane e ad una particolare ed incessante lotta fra uomo contro uomo, rievocando ricordi di famiglie, esplorando antiche reliquie che scavano nella psicologia famigliare. Capace di improvvisare qualunque cosa, inventando di continuo nuovi mondi per fare vecchia cosa, per fare meglio e in fretta. Sopportare le grandezze diurne a denti stretti confidando in una redenzione mi indusse ad immaginare quante più mani avrei avuto da stringere quando sarebbe giunto quel momento in cui non si sarebbe sopportato più niente. Tollerato alcunchè.
Proiettato in un mondo attrezzato e completo di amicizie create, inimicizie sancite, provato da spacconi, codardi, uomini umili e cordiali in cui il grembo famigliare è l’unico luogo in cui rifugiarsi nel momento in cui la riservatezza, il diritto di far sentire la propria voce, violano la nostra sfera personale.
Espugna tematiche attualissime che si mantiene nel tempo poiché è insidiato nella modernità, nell’inospitalità di un luogo nel quale i conflitti non si ricompongono. Ma ci si orienta nel mondo affinchè la realtà la comprenderemo maggiormente. Perché il dovere dello scrittore è di essere ovunque e di saper raccontare. In una visione puritana e fondamentalista, invito al mondo poiché fonte inesauribile di riflessioni e meraviglia.
Specchio in cui potersi riflettere in cui l’individuo è quella massa informe, compatta, solidificata in un unico recipiente: siamo uguali come tutti gli altri ma le azioni che abbiamo compiuto nel percorso insidioso della vita sono state buone o cattive? Essere uniti, compatti, avrebbe tenuto lontano dalla solida barriera della solitudine. Come se emersa da un luogo lontano, ma allo stesso tempo vicino, da un epoca classica, rappresentazione letteraria e diretta e urgente di una condizione storica e sociale precisa che evoca una condizione umana attualissima. Mediante uno stile semplice ma intimistico, descrive quell’Inferno, quel tugurio, a cui è stato impossibile sfuggire, ritraendo una storia che su quell’orizzonte avrebbe visto la luce. Allineato in disgrazie e disgrazie, messo assieme a quello che è il vero obiettivo dell’autore: evidenziare la << disgrazia >> del secolo, dell’umanità, l’appello all’indignazione in cui la convinzione dell’esistenza spirituale ma attiva unisca.
Valutazione d’inchiostro: 4
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Titolo: I miei giorni alla libreria MisokiAutore: Satoshi Yagisawa
Casa editrice: Feltrinelli
Prezzo: 16 €
N° di pagine: 160
Trama: Jinbōchō, Tōkyō: il quartiere delle librerie, paradiso dei lettori. Benché si trovi a pochi passi dalla metropolitana e dai grandi palazzi moderni, è un angolo tranquillo, un po' fuori dal tempo, con file di vetrine stipate di volumi, nuovi e di seconda mano. Non tutti lo conoscono, i più vengono attratti dalle mille luci di Shibuya o dal lusso di Ginza, e neppure Takako – venticinquenne dalla vita piuttosto incolore – lo frequenta, anche se proprio a Jinbōchō si trova la libreria Morisaki, che appartiene alla sua famiglia da tre generazioni: un negozio di appena otto tatami in un vecchio edificio di legno, con una stanza adibita a magazzino al piano superiore. È il regno dello zio Satoru, che ai libri e alla Morisaki ha dedicato la vita, soprattutto da quando la moglie lo ha lasciato. Entusiasta e un po' squinternato, Satoru è l'opposto di Takako, che non esce di casa da quando l'uomo di cui era innamorata le ha annunciato che sposerà un'altra. Ed è proprio lui, l'eccentrico zio, a lanciarle un'imprevista ancora di salvezza proponendole di trasferirsi al piano di sopra della libreria in cambio di qualche ora di lavoro. Takako non è certo una gran lettrice ma, quasi suo malgrado, si lascia sorprendere e conquistare dal piccolo mondo di Jinbōchō. Tra discussioni sempre più appassionate sulla letteratura moderna giapponese, un incontro in un caffè con uno sconosciuto ossessionato da un misterioso romanzo e rivelazioni sulla storia d'amore di Satoru, scoprirà pian piano un modo di comunicare e di relazionarsi che parte dai libri per arrivare al cuore. Un modo di vivere più intimo e autentico, senza paura del confronto e di lasciarsi andare.
La recensione:
Uscire da questa storia non mi ha trasformata o cambiata. Ma è stato come vivere una specie di fiaba, molto carina ma non indimenticabile, che ho seguito con ogni mossa, vivendo e respirando. Un timido scrittore giapponese scrisse dei versi ispirandosi alla sua esperienza personale di letteratura, componendo una musica semplice che non vanno al di là della concretezza, ma in un certo senso trovano un posto dentro di lui. Non dentro di me, che non si è sentita legata all’anima della sua storia, ma coinvolta da ciò che Takako dovrà affrontare, che solo alla fine darà sfogo all’emozioni che inconsapevolmente ha cercato, ha rincorso. Un assetto romantico di comprendere se stessi. Si fluttua in una piscina di incertezza, al confine della nostra coscienza, con in sottofondo l’inesorabile fragore del mondo. Rappresentazione di due realtà opposte: luce e ombra, speranza e disperazione, riso e tristezza, fiducia e solitudine, opera che evoca qualcosa di speciale. Un altro tempo, un altro luogo, o una particolare dimensione della mente in cui io mi sono persa completamente. Piacevolissima compagnia che altri non è che un esame della sua coscienza in cui si arriverà a un punto in cui non si sa più cosa sia vero o sbagliato. Ci si perderà nel labirinto del tempo, dei ricordi di cui è prigioniera e, vagando in una grande casa che è una specie di labirinto, cercherà quella stanza particolare dove passato e futuro formano una corda ininterrotta e infinita. Uno spazio in cui è sospeso un codice che nessuno ha mai saputo decifrare, un accordo che nessuno ha mai ascoltato.
Valutazione d’inchiostro: 3 e mezzo
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Titolo: Jacu
Autore: Paolo Pintacuda
Casa editrice: Fazi
Prezzo: 16 €
N° di pagine: 152
Trama: Negli ultimi giorni del 1899, la misera quiete di Scurovalle, un grumo di case su di un anonimo monte siciliano, è turbata da un incredibile evento: Vittoria, ventidue anni e già vedova, partorisce l’ultimo settimino del secolo, un bambino che, secondo le credenze popolari, avrà poteri magici e curativi e sarà in grado di assistere qualsiasi sventurato. Sebbene Vittoria tenti di assicurare un’infanzia normale al figlio, sin dalla tenera età il piccolo Jacu dimostra di possedere questo dono prodigioso, diventando un punto di riferimento irrinunciabile per tutti i compaesani. Anni dopo, però, gli effetti della guerra raggiungono perfino la sperduta comunità di Scurovalle, riempiendo i cuori di paura, diffidenza e rancore. Jacu, che per un errore dell’anagrafe non viene spedito al fronte insieme ai suoi coetanei, vede il proprio paese natale voltargli le spalle e sprofonda così in un periodo di grande tristezza cui decide di mettere fine arruolandosi volontario. Ma la guerra non risparmia nessuno e da quel momento né Jacu né la sua amata Scurovalle saranno più gli stessi. Una storia potente e visionaria che intreccia le sorti di un eroe dal cuore puro con quelle di una comunità arcaica, raccontando con una lingua nuova e incalzante le vicende di un protagonista luminoso oscurato dal buio della Grande guerra. Una realtà appartata, quella dell’immaginario paese presente nel libro, con una manciata di anime in cui si ritrovano tutte le sfumature dell’indole dell’uomo: la superstizione, l’invidia, il rancore, ma anche la generosità e la speranza.
La recensione:
Jacu ha usufruito della mia compagnia per una manciata di giorni. Così vicino al mio cerchio personale, ma allo stesso tempo lontano, trovando fra le sue pagine la costruzione di un mondo fedele al nostro ma ben calibrato ai fatti e agli elementi storici che imperversarono sulla Sicilia, sul finire del 1800. Le idee malsane, bigotte, un popolo che si lascia intimidire da leggende, superstizioni, rituali in cui il vecchio si mescola al nuovo sono alcuni di quegli assetti che resero il romanzo ai miei occhi più gradevole di quel che credevo, con un qualcosa in più che lo fece distinguere dalle migliaia di altre facce letterarie che gironzolano ai giorni nostri. Ed io non ho potuto non esserne più che soddisfatta, perché in cuor mio non credevo fosse possibile. Malauguratamente, mi approccio alla narrativa italiana con qualche pregiudizio. Il passato annovera esperienze non propriamente positive con autori nostrani conosciuti nella narrativa contemporanea, ma guardandolo prima da lontano poi sempre più vicina ho visto in Jacu del potenziale che fortunatamente ha confermato il suo essere originale, semplice ma ricco di simbolismi che catturano il ricordo mediante uno stile sotto certi aspetti classici. Sottraendosi dalle grinfie spietate della Morte mettendo in pericolo niente e nessuno, combattendo contro qualunque pettegolezzo, definendo la verità mediante gesti improbabili che hanno del miracoloso. Ci si lascia trascinare da questo miracolo compiacendosi dell’urgenza di esserne completamente travolti, radicati in usanze antidiluviane che li schiavizzano in forme utopiche ma neglette.
Quando decisi di circondarmi da fantasmi prigionieri, ho rovesciato ogni singola parola di questo romanzo con il suo autore, avvolta da un nero velo di fuliggine e fumo, come un ombra indefinita che mi ha impedito di concepire completamente l'idea di insoddisfazione che provavo quando vedevo gruppi di gente annientata dalle superstizioni, il pregiudizio, mi si coagularono attorno. Avevo alzato gli occhi vero un cielo ricoperto di stelle, polvere di resti umili che per quel loro continuo scintillare su rustici oggetti, mi avevano sospinta fra le braccia di questa storia. Su un fronte completamente diverso da ciò da cui provengo, in compagnia di un ragazzino come tanti che era stato considerato come uno strumento di rinascita, stimolo per avidi parenti, giocattolo con un cuore meccanico con cui passare il tempo quando non c'era alcuna spiegazione plausibile.
E' una storia in cui pervade una generale malinconia, ma nel mio inconscio aspettavo che la luce di un mero sprazzo di luce rischiarasse le tenebre dell' animo di questo fantasma. Non fu quel genere di eroe che mi ero aspettata, ma un giovane sognatore pieno di ambizioni che mi narrò la sua storia quasi come una lunga e profonda meditazione sul senso della vita. Scritte in quelle che non sono altro che pagine della sua memoria, che si trascineranno fino a quando metterà il punto finale, per poter così mettere a nudo una parte della sua anima per noi completamente estranea. Derivati trascurati di una vita carica di sofferenze mentali, dolori, mancanze di speranze che, come un fastidiosissimo incubo, popolarono i suoi sogni. Gettando una spettrale aria di malinconia e pervadendo i sensi in una lenta agonia.
Valutazione d’inchiostro: 4 e mezzo
Autore: Ken Kesey
Casa editrice: Bur
Prezzo: 12 €
N° di pagine: 400
Trama: Nel reparto di un ospedale psichiatrico dell'Oregon, malati inguaribili sono segregati tra pareti impietose e diretti con pugno di ferro da Miss Ratched, la "Grande Infermiera". Tutti ne sono succubi. Ma un giorno arriva McMurphy, un irlandese cocciuto, spavaldo, allegro e ribelle. Con l'aiuto di Bromden, risveglierà i pazienti ormai avviliti dalle "terapie" e riuscirà a portare una ventata di umanità e di calore... Un grande Kesey, le cui pagine, di volta in volta satiriche e burlesche, tragiche e terribili, lasciano un segno profondo e suonano come una denuncia tremenda e necessaria.
La recensione:
Dopo una serie di letture particolarmente soddisfacenti, in questo periodo di caldo intenso e fervido, il mio stato d’animo si può definire accondiscente. Abbraccio qualunque sfida, qualunque opportunità, e solo alla fine ne giudico l’esperienza portando con me una caterva di ricordi, nozioni del tempo vissuti al presente, quasi un’armonia proveniente dall’anima che ogni tanto ha cozzato con quella del suo autore. Così, naturalmente, ho abbracciato quella di un uomo di cui francamente non conoscevo nemmeno l’esistenza ma che, fuso all’ennesima sfida di lettura, per progredire in un percorso personalissimo che giorno dopo giorno mi induce a crescere, maturare sempre più. Decidendo così di affiancarlo per una manciata di giorni, mi è bastato guardarmi dentro per comprendere che quella che avevo davanti era una storia che criticava l’istituzione psichiatrica e più in generale un sistema fondato su metodi impositivi e punitivi che reprimono ogni forma di individualità e diversità. Spedizioni spericolate e pericolose in una clinica psichiatrica in cui l’individuo è intaccato da forme di rabbia, durezza, che criticano le istituzioni e il trattamento delle malattie mentali. Abusi di sostanze stupefacenti, droghe, avrebbero funto da collegamento a un mondo in cui la comprensione umana era abolita? Non sono sicura di quel che scrivo, si tratta di nient’altro che di supposizioni a caldo di una giovane lettrice, sebbene questo romanzo, nonostante l’abbia concluso qualche ora fa, resta ancora avvolto nel mistero, ma sta di fatto che non considerandolo fra le mie letture preferite è quel genere di opera che a mio avviso bisognerebbe leggere almeno una volta nella vita. Perché da certe letture è davvero impossibile non trarne << beneficio >>, nel senso che il mio sesto senso mi aveva avvisato che non mi sarei entusiasmata fra le sue pagine ma sorrido soddisfatta nell’aver raggiunto l’ennesimo traguardo personale. Capitano anche questi momenti. A volte così estranea dalla mia sfera personale, isolata in una misura tutta mia da farmi perdere coscienza della mia identità. La solitudine mi avvolse e mi recluse, accompagnandomi fra le solide mura di una cella luminosa e biancastra che mi costrinsero a trascorrere molto più tempo di quel che credevo, facendo la spola da una situazione ad un’altra senza sapere se ciò che leggessi fosse vero o falso.
Man mano che i giorni passavano senza distrarmi un secondo, la certezza che questa lettura si tramutasse in lenta e non incline alla mia anima fu repentina. Ma questo è nulla in confronto di ciò che vissi, con estrema lentezza, perché il tutto accade fra le mura di questo ospedale psichiatrico ma pian pianino che, devo dire la verità, hanno recato il peso di una lenta sofferenza. Perché non succede nient’altro al di fuori di esso, se non nella testa del protagonista. Se il ritmo fosse stato un po' più veloce, in altri casi l’avrei giudicato un caso interessante. Però, qui, disgraziatamente, è andata così. E da ciò il mio lungo periodo di permanenza.
La lettura proseguì su questo tono per le quattrocento pagine che compongono questo quadro crudo e irruento, senza però mai sfiorare soggettivamente le angosce e i tormenti del protagonista quanto riflettendo quelle individuali, che si sentono traditi dall’uomo che è stato per lui creatore ma anche distruttore del nulla più assoluto. Ma come riemergere dalle tenebre, da questo scheletro così duro, impenetrabile, più tetro del previsto, di cui lo stesso mondo è una massa putrida e schifosa? Non c’è alcun lato positivo da osservare. Ed è già questo Male del secolo che intacca la nostra anima, quella di chiunque, in cui ci si dispera, a lungo, ma a mio avviso inutilmente. Si è soggiogati da un sistema che non lascia scampo, né via di fuga. Cosa fare se non riflettere bene e porsi diversamente dal mondo?
Ispirato da fatti prettamente autobiografici, il romanzo è una disamina della società contemporanea nonché un nuovo approccio nel saper giudicare la diversità individuale specialmente se essa è sorretta da qualcosa di più grande e minaccioso di quel che crediamo. Leggerlo non mi ha entusiasmato come credevo, solo represso quegli istinti di colmare l’ennesima lacuna letteraria. Non propriamente una delusione, ma nemmeno quel genere di esperienza che desidero ripetere. Perlomeno non adesso. Quanto la situazione non mi assorbì a dovere tanto maggiore è stato il mio desiderio di fuga. E ad accrescere questo mio giudizio non tanto il mancato coinvolgimento quanto il mio atteggiamento di distacco nei suoi riguardi: poco coinvolgimento emotivo, tanta freddezza, che mi hanno sottratto tempo e fatica. Perché la lettura mi rende libera, contenta, felice di amare così intensamente i libri e la letteratura. Qui, indirizzata in tutt’altra direzione, fremente di nobili pensieri sulla dignità umana.
Valutazione d’inchiostro: 3
Hai letto parecchio! Belle recensioni, grazie
RispondiEliminaA te :D
EliminaCiao, il tuo blog è molto piacevole ed istruttivo, davvero brava! Adoro questo genere di spazi web, mi sembra di tornare piacevolmente indietro nel tempo, quando il web era un po' più " lento" e meditato. In caro saluto ed alla prossima..
RispondiEliminaCiao!! Grazie mille 🤗
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