Scrivo per domare quel bisogno impellente di confidarmi
con qualcuno. Scrivo quando sono in balia di sensazioni altalenanti e
confusionarie. Scrivo semplicemente perché mi piace, sebbene impresa ardua e
impegnativa. Miss Mary Shelley ed io ci eravamo appena salutati, ma io avevo
ancora un compito da assolvere; dovevo urlare al mondo tutto quello che avevo
appreso. Dovevo dar sfogo a me stessa, ripercorrendo mentalmente il cammino
insidioso del cuore umano, entrando nel cielo di questa bella e graziosa
giovane e trovarlo pieno di nubi, nebbia. Trasportata dalla corrente del tempo,
desiderosa di esplorare una parte di un mondo che ho esplorato solo quest’anno,
tracciando i confini di un luogo dove già mucchi di lettori - anime accomunate
dalla mia stessa passione - hanno lasciato la sua impronta.
Vivendo nell'immaginazione la vita di una ragazza, a cui affida i suoi pensieri
alla carta, adoperando il linguaggio del cuore, che possa dar sfogo ed espressione
al bruciante ardore della sua anima, ho tentato di porre rimedio alla
limitatezza della mia esistenza, trovando un margine di libertà in cui spesso
vi ho cercato rifugio.
La brama di possedere qualcosa che è sempre stato mio danzava fra le pareti
stracolme della mia libreria, solleticando la mia pelle, dipingendo figure di
carta grigia nel vuoto. Mi sono affiancata a una ragazza i cui tentativi di
raddrizzare l'equilibrio cinico e distaccato del macchinoso ingranaggio del
tempo, come uno straordinario film, mi indusse a guardarmi dentro e comprendere
come non bisogna giudicare ma comprendere di ognuno di noi, non farsi
soppiantare dalle credenze e dalle vedute del secolo, che incautamente spingono
verso un abisso di voli pindarici.
Autore: Anne Eekhout
Casa editrice: Neri Pozza
Prezzo: 19 €
N° di pagine: 366
Trama: Ginevra, maggio 1816. Una giovane donna si sveglia nel cuore della notte, assediata dagli incubi del suo passato e dalla gelosia per la sorellastra, Claire, che sembra cogliere qualsiasi occasione per insidiare suo marito Percy. Lei è Mary Shelley, née Wollstonecraft, e suo marito è Percy Shelley, poeta inglese celebrato e amatissimo, che Mary ha seguito per tutta Europa fino a giungere, insieme a Claire, in quel luogo di villeggiatura sulle sponde del lago di Ginevra. Sono in cinque in vacanza a Villa Diodati, compresi John Polidori e Lord Byron detto Albe, e il 1816 è l’«anno senza estate», quando l’eruzione di un vulcano in Indonesia ha oscurato il cielo in tutto il mondo e impedito al calore del sole di allietare le loro giornate. Così, la compagnia trascorre tutte le sere di pioggia di fronte al fuoco, a bere vino e laudano e a raccontarsi storie di fantasmi. Ma i fantasmi dei racconti non sono gli unici ad abitare quella grande casa. Mary ha solo diciannove anni ma alle spalle tutta una vita vissuta, di sentimenti e avventure. E, nonostante il piccolo William sia la sua gioia, non riesce a dimenticare la figlioletta morta che ogni notte, all’ora delle streghe, la sveglia con l’eco remota di un pianto disperato. Ma soprattutto Mary non riesce a dimenticare gli eventi di quattro anni prima, in Scozia, quando a Dundee ha conosciuto Isabella Baxter e l’affascinante ma sinistro Mr Booth. Isabella, riccioli scuri e pelle chiarissima, un’adorabile fossetta sul mento, è per Mary una creatura di irresistibile fascino; Mr Booth è untuoso, e dei pomeriggi passati in casa sua con Isabella spesso Mary non ha alcuna memoria. Quegli enigmatici eventi monteranno nell’immaginazione della futura scrittrice, fino a esplodere in un vortice in cui verità e finzione si mescolano senza soluzione di continuità. Ed è da quei ricordi misteriosi che, nelle lunghe sere ginevrine, Mary partorisce un incubo che abiterà le notti del mondo per i secoli a venire: il mostro di Frankenstein.
La
recensione:
Guarda
la nostra passione, guarda le nostre dita intrecciate, guarda come noi due
insieme, senza gli altri, senza il resto del mondo, solo noi due, noi due siamo
tutte.
Ho cincischiato un po' prima di inerpicarmi fra le pagine di questo romanzo, l’ennesimo, che parlasse di Mary Shelley e, forse, con un po' di fortuna, persino della sua produzione letteraria e del momento in cui concepì il Prometeo moderno che conosciamo così bene. Il mio umore, in questi casi, migliora nettamente quando, entrando a contatto con qualcosa che fa parte di un altro mondo, trovo stimoli, spunti di riflessione che, nel silenzio delle mie riflessioni, convergono poi in un’unica direzione: la conoscenza di me stessa. Può essere ridicolo, forse impensato, ma, dico fra me, se non leggessi storie che rievocano altre storie, non nutrissi questo fascino per qualcosa che sussiste e alimenta il mio spirito, puntualmente non sarei soddisfatta. La lettura però in un certo senso mette in assetto tutto questo: è solo questione di pratica!
Leggere Mary, dunque, mi diede l’opportunità di rievocare la storia di questa donna coraggiosa e determinata, il cui spirito però risiede intrappolato fra queste pagine. Si, perché pur quanto questo romanzo non dica niente di più di ciò che sapevo, ho avvertito fra le sue pagine una certa placidità, un certo senso di tranquillità i cui pensieri sono derivati di una mente annacquata, che ci trascinano in superficie, affinché sia possibile scovare storie – storie che tuttavia non fanno parte di questo mondo – ma ebbero origine da fonti inestimabili, incomprensibili. Nulla di ciò che accade è certo, ma così vago e appiccicoso che conferisce un senso di pace mai trovata prima. Il desiderio di essere amati stona un po' con quello di avere un figlio o legarsi all’altro sesso, interrogandosi invece su ciò che siamo e come saremmo stati prima. Così la sua autrice accarezzò l’idea che questa storia non poteva distaccarsi dalla realtà, ma personalmente resa fin troppo romanzata affinché il pagamento nei suo confronti fosse per me soddisfacente. E dunque impossibile a consolidare il tutto in qualcosa che nonostante abbia una sua identità, in cui i sentimenti forti quali la paura di ciò che non è mai esistito, i ricordi che trapelano e vengono a galla quando meno se li aspetta il cui unico mondo per liberarsene è necessario ridurli in racconti, idee, forme e una serie di avvenimenti che si riflettono in un paesaggio anonimo in cui la paura e l’amore, scrittura e creazione convergono lungo una corrente di un fiume, qualunque cosa possa portare a crescita, maturazione ma che possa esistere.
Le pagine scorrono come se animate di volontà propria, ma le cose che avevo scorto con un certo disordine, sin dal principio, non si sono mai rassestate nuovamente secondo la più piatta delle storie su Mary Shelley. Mary scrive, legge, esce e osserva il mondo circostante giudicandolo e comprendendo come quella dicotomia fra ciò che siamo e ciò che vorremo essere sta alla base della sua identità. L’uomo non è mai completamente libero, né solo di poter scegliere o agire e in un certo senso, come il Frankenstein di cui ogni tanto mi piace rievocare, non compie grandi << sacrifici >> per crescere e osservarsi con gli occhi degli altri, quanto la sua visione si rovescia a quella di una realtà illusoria, appiccicosa, densa, in cui i sentimenti che prevalgono non sono sufficienti a rievocare alcune situazioni che avrebbero potuto essere epiche e non romanzate. Forse l’impossibilità di amare ed essere amati, la paura di essere perennemente giudicati, di perdersi e poi non ritrovarsi più, restare soli e non nutrire più alcun fascino, alcun sentimento di tenerezza che possa alimentare la nostra vena creativa. E disgraziatamente Mary contrarrà un tipo di malattia la cui cura sconosciuta riflette la sua condizione di donna pragmatica ma consapevole a non poter raggiungere ciò che più desidera. E gli elementi snocciolati, fin troppo romanzati, proiettati in una lenta scissione fra sogno e realtà, fra ciò che è possibile e ciò che non lo è, non le impediranno tuttavia di costruire una sua identità né di dare forma e respiro a qualcosa di cui il tempo è un sano custode.
Mi ci è voluto tempo affinchè il suono di una voce così familiare e cara all'orecchio sia mutato in silenzio, e non la si udirà più per un tempo indefinibile. Queste sono state le mie riflessioni riguardo a Mary; e quando ebbi l’occasione di leggere un romanzo proiettato sulla sua autrice allora cominciai a nutrire del fascino misto a una buona dose di ammaliamento, quasi un invito a varcare la soglia di un mondo straordinario in cui l’abbandono, la dimenticanza vertevano su ogni cosa.
Ma questa storia non è stata come quella di vivere Frankenstein, poiché non ho avvertito il bisogno di tormentare senza posa il mio spirito. Qualche giorno di distanza dalla sua lettura mi ha indotta a comprendere come l’esigenza creativa non coincise con quella relativa all’anima della sua autrice, e dunque fece della scrittura – questo contenitore imperfetto -, più una debolezza che una necessità poiché della Mary scrittrice serberò un ricordo speciale, di quella romanzata un po' meno. Poiché non era stata data una visione completa di sé stessa, non era entrata nel mio personalissimo cielo percorrendo il terreno insidioso di questa storia quanto trovandolo pieno di nuvoloni grigi e ingombranti.
Trasportata dalla corrente del tempo, desiderosa di esplorare una parte di quello che fu il mondo personale dell’autrice, tracciando i confini di un luogo dove mai piede umano ha lasciato la sua impronta.
Vivendo nell'immaginazione la vita di una donna sola e incompresa, a cui affida i suoi pensieri alla carta, adoperando il linguaggio del cuore, che possa dar sfogo ed espressione al bruciante ardore della sua anima, l’autrice ha tentato di porre rimedio alla limitezza della sua esistenza, trovando un margine di libertà in cui spesso vi ho cercato rifugio, ispirazione. Ma impedita a vedere le cose come effettivamente erano poiché impregnate di una patina appiccicosa di illusioni e irrealtà.
Questo mese, l’occasione di leggere un romanzo come questo danzò fra le pareti stracolme della mia stanza, solleticando la mia pelle, dipingendo figure di carta grigia nel vuoto. La brama ardente di esser affiancato da una donna capace di un'intesa profonda, i cui occhi e la cui anima corrispondano - un amico che non disprezza sogni o illusioni romantiche, ma che affettuosamente non riesce a mettere in ordine i pensieri, impossibilitata a raddrizzare l'equilibrio incerto della vita, non dunque lambendo il mio cuore di una dolcezza ardente. Con la triste storia di una malinconia senza confini, la serenità di un cuore che avrebbe dovuto indurre a guardare il passato con soddisfazione, soppiantata dal rimorso e dal senso di colpa, che incauti ci spingono verso un abisso di torture infernali, quale nessuna voce può spiegare. Frankenstein e il mostro. Frankenstein e la sua autrice. Due entità avvolte da una nube di angoscia e tormenti che nessuna influenza benefica può penetrare. Confinati ognuno nel proprio spazio, senza la possibilità di redimere la propria anima dal dolore.
L'uomo non completamente libero perché mosso da ogni spirare dei venti; spaventose ossessioni e possessioni; promesse ad una nascita che verrà messa a dura prova hanno dato forma a un suggestivo disegno a tinte fosche, ma poco arricchente e soddisfacente da non poter lasciare una cicatrice sul petto, causando una grande infelicità da cui ho riscontrato solamente un vuoto cieco in cui è impossibile scorgere qualcosa.
Racconto quasi toccante che è un omaggio a Mary Shelley e che ha il sentimento delle storie gotiche e misteriose, ci parla di anime inquiete e insoddisfatte che vagano inconsapevolmente senza alcuna meta. Un quadro raffinato che non illustra niente di speciale o di interessante che esula la semplice figura di una donna come la Shelley che altro non è che una storia di pena eterna. Tormenti, flagelli del cuore, nella quale – nonostante gli innumerevoli tentativi – non si ottiene alcuna redenzione dei peccati.
Valutazione d’inchiostro: 3
Ottima recensione, grazie
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