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sabato, agosto 22, 2020

Gocce d'inchiostro: Non è colpa della luna - M. L. Rio

Osservo, mentre scrivo, la copertina di un romanzo che in precedenza non mi attirava affatto; l’estate si avvicina lentamente al suo epilogo, e con ogni probabilità il periodo più caldo ci sia mai stato, da quant’è che sono in vita ma pieno di speranze e buoni propositi. Come una figura quasi evanescente, posta ai bordi di questa storia, come l’inclinazione di un angelo posto di profilo, il romanzo della Rio mostrava una parvenza intensa e culturale di straordinaria magnificenza letteraria – l’arte che imita la vita. Enormi paure, enormi controlli, ho avuto come l’impressione di trovarmi dinanzi un palcoscenico, recitare una parte, osservare con sguardo costernato il senso di colpa che aleggia e grava sulle nostre coscienze come un fardello troppo pesante. Unica nota dolente, la piattezza di alcune situazioni che hanno rallentato il ritmo della lettura, una sfera luminosa in un mare di cupezza e ombrosità,  lo sciorinare vicende abituali di ragazzi comuni che in una manciata di pagine divennero anche i miei amici. Un romanzo cesellato su un unico fronte, quello della tragedia shakesperiana, che è stato spalato con semplicità, uno stile ricco di metafore, un linguaggio stilizzato, che perfettamente conforme alle rappresentazioni del poeta inglese, è un opera che insegna a come sopravvivere dinanzi agli effetti collaterali della vita. Ci si domanda a come si sopravvivrebbe dinanzi alle avversità, e a come uscirne forti e invincibili.
Titolo: Non è colpa della luna
Autore: M. L. Rio
Casa editrice: Frassinelli
Prezzo: 18, 90 €
N° di pagine:324
Trama: Oliver Marks è in carcere da dieci anni, accusato dell’omicidio di Richard, suo compagno di college al prestigioso istituto Dellecher, una delle migliori scuole di arte drammatica d’America, dove si studia e si recita continuamente Shakespeare. Sono studenti – attori, destinati a diventare grandi protagonisti del teatro americano. Sono giovani, belli, ambiziosi, loro due e i loro cinque inseparabili amici, con cui dividono il tempo tra prove, performance, e feste in cui abbondano l’alcol, la droga e il sesso; James, Alexander, Wren, Filippa e Meredith. Sono ormai al quarto anno, l’ultimo. Sono i più grandi, le star della scuola. Ma qualcosa nel gruppo si incrina. I ruoli dei drammi che i giovani attori mettono in scena prendono sempre più spazio nella loro vita reale, ed mergono gelosie sopite, invidie, rancori. È Richard, più di tutti, a perdere il controllo: follemente geloso di Meredith, esattamente egocentrico, comincia a isolarsi e a diventare sempre più minaccioso e violento. Fino a quando, un freddo mattino di novembre, all’alba, dopo una delle tante feste, Richard non viene trovato morto, annegato nel lago del college, col volto sfigurato. Le indagini porteranno all’arresto e alla condanna di Oliver, anche se il primo a non essere del tutto convinto della colpevolezza del ragazzo è il detective Colborne, lo stesso che dieci anni dopo, quando Oliver esce con la condizionale, lo attende fuori dal carcere per sapere finalmente la verità.

La recensione:


Gli attori sono per natura instabili: creature alchemiche composte di elementi incendiari, emozione ed ego e invidia. Surriscaldali, rimestali insieme, e a volte otterrai l’oro. Altri un disastro.

Cominciò stranamente, inaspettatamente. Cosa dovevo aspettarmi da un romanzo in cui il tragico, il dramma erano miscelati nella perenne lotta per il potere, l’amore, le passioni, sopite dal tempo, che come in tutte le tragedie shakesperiane cominciò << stranamente >> e finì << stranamente >> ed in effetti è stato strano; l’esordio di M L Rio è una rosa perfetta << strana >>, proprio come una rosa imperfetta, e come la rosa di normalissimo colore e gradevolezza che cresce nel giardino del vicino. Ho letto romanzi in cui la prospettiva del conoscere qualcosa di terrificante e misterioso riflettevano la normalità, considerando l’eternità come intrappolata nell’oscuro limbo dell’oblio, qualcosa che nell’insieme costituisce un portento. Eppure, con assoluta umiltà scrivo, che sebbene quello dell’autrice sia un esordio non esente di difetti la sua è stata una lettura straordinaria che nel suo piccolo spicca in mezzo a tante altre.
Esordisce stranamente, in una stanza fredda e angusta di un tetro carcere. I n questa stanza, un colloquio in atto in cui un ragazzo come tanti altri, Oliver, fu sottoposto ad un esame attento e accurato poiché indagato per omicidio. Con riluttanza, la sua autrice ha ignorato la cosa. Amante della prosa shakesperiana, avrebbe combinato ad attimi di vita quotidiana, variazioni stilistiche in cui l’individuo si rivela come un essere ragionevole, ma che si nasconde dietro falsi miti, inutili paure da cui non riesce più a tenere a bada. Nonostante l’atroce presagio di un omicidio, mi sono approcciata a questa lettura con un certo scetticismo. Ogni pagina era una fida compagna di dolore, paralisi, che raggiunsero il mio cuore senza che io me ne accorgessi. Erano i primi atti di una tragedia  che, come i tanti eroi shakesperiani, contempla il sentiero insidioso della vita con sentimenti profondi, scene di vita dal carattere illusorio in cui la fugacità della vita, la precarietà dell’esistenza, la presunzione di sensazioni costanti coincidono con la forza d’animo, una lotta perpetua alla sopravvivenza e all’autoconservazione.
La struttura del romanzo, condita da elementi passionali che è stato davvero difficile farsi contagiare, mi vide muovermi attraverso il mio corpo ma come se animata da volontà propria. Obiettivamente, seppur echeggiante al bellissimo Dio di illusioni di Donna Tartt, non mi attraversò come un piacere forte e appagante che qualche mese fa riscontrai con la sua lettura, bensì un piacere semplice, puramente meccanico ma non intenso. Ne riconosco la bellezza, la sua originalità, ma Non è colpa della luna certamente non mi ha resa prigioniera delle stesse colpe inferte ai suoi protagonisti. Coinvolta, ma non contagiata, interessata ma non destabilizzata, sebbene di temi o aspetti interessanti ce ne siano stati. L’espressione umana di stati emotivi non estremi che non hanno campeggiato nel mio animo al di là del suo processo di lettura. La voglia di comprendere il prossimo, però, di scrutarne qualunque aspetto, sia esso buono sia esso cattivo, nulla se non desideri repressi di individui quando si imbattono nel male, la Rio ha scritto un romanzo che non valica l’impossibile ma plana sull’apice del necessario.
Entrando nei meandri più torbidi della mente umana, osservando ciò che ci circonda sotto una nuova luce, in attesa di qualcosa che resta tuttavia in sospeso. Qualcosa che non potrà mai giungere, poiché restio alla luce, ai colori, alla nitidezza. Le innumerevoli possibilità con il quale l’individuo può elevarsi al mondo è un tema caro al poeta inglese. La Rio lo manipola al fine di sfruttare qualunque possibilità d’interpretazione all’errore, alle perplessità, inducendo chi legge ad abbracciare la storia di ragazzi comuni disarmando le coriacee membra, stagliandosi sullo sfondo con poca chiarezza ma efficacia.
Non è colpa della luna ci pone dinanzi a questioni individuali ed esistenziali che non mi hanno particolarmente colpito come le vicende ritratte nel romanzo di Donna Tartt, ma spicca per l’amore che l’autrice riserva a William Shakespeare, con un marasma di frasi o dialoghi ricavati da famose tragedie che in parte ne indeboliscono il tono. Immerso in sfaccettature diverse della menzogna, del senso di colpa, delle passioni umane che coinvolgono direttamente e non, una rincorsa a ciò che ci affascina e ci allontana, allo stesso tempo, dai postumi di una vita grigia e piatta. Non il tipo di lettura cui mi aspettavo di leggere, ma un opera in cui l’individuo non è propriamente se stesso, spegne il cervello, anche se per un breve attimo. Esulando dallo stereotipo di << già letto >>, e che come un dipinto tragico apparentemente semplice ma non banale riporta le vicende di Oliver e dei suoi amici in cui sono colti tratti in cui ognuno di noi può riconoscersi, rispecchiarsi, per la solitudine in cui sono immersi, il tempo che resta sospeso ma che così non si può definire, intrappolati nel cono di una luce da cui tuttavia non ci dà via di scampo.
Valutazione d’inchiostro: 3 e mezzo

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