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domenica, luglio 07, 2024

Gocce d'inchiostro: Where the dark stands still. La foresta dell'amore eterno - A B Poranek

I romanzi non studiati, nemmeno in minima parte, e nemmeno tanto bene, che si mostrano più baldanzosi di quel che si crede, a me non piacciono. In realtà, non mi piace dover ‘implorare‘ in un cambiamento. Da lettrice accanita e appassionata non mi tiro mai indietro, dinanzi a una sfida, qualunque essa sia, cosa che poi ha le sue conseguenze. Ma ciò che non avevo ponderato fu il fatto che la mia anima non si sentiva appagata. Per niente emozionata o esaltata, malgrado le logiche dimostrazioni dell’autrice e delle necessità che inducono la sua protagonista a vivere fra la vita e la morte, di nuovo, vi fu in verità un elemento di precipitazione in questo caso, come mi apparve alquanto evidente dopo un centinaio di pagine. Avrei potuto amare moltissimo Where the dark stands still. La foresta dell'amore eterno, ma forse i miei sentimenti al riguardo erano troppo ideali e fantastici che non si sono sposati per nulla all’aura insulsa, banalotta, ridicola. Così credetti che, a una vita travagliata, ricca di sfarzo e ricchezza, potessi trovare dietro le quinte un fascino come quello osservato in questa creatura che avrebbe potuto essere idilliaca. 

La mia visione di folklore letterario è stata dunque molto lontana da quella della sua autrice e la lettura di questo volume mi ha fatto prendere consapevolezza che considerare questo esordio un capolavoro è una blasfema. Il segreto sta in quel pizzico di solidità metaletteraria mancata di questo romanzo, il suo wordbulding, la tattilità di personaggi che sembrano solo macchiette, lo stile lento e ripetitivo, e un accozzaglia di situazioni che hanno del ridicolo che non poche volte mi hanno strappato una risata, sorprendendomi poco coinvolta. Un puzzle che quando sembra trovare il suo pezzo mancante si frantuma nuovamente in mille pezzi.


Titolo: Where the dark stands still. La foresta dell'amore eterno

Autore: A B Poranek

Casa editrice: Il Castoro

Prezzo: 24 €

N° di pagine: 408

Trama: Liska sa che è la magia è mostruosa e che chi la pratica è malvagio. Ha fatto di tutto per sopprimere il potere che le sboccia nel petto, con conseguenze disastrose. Così, per liberarsene, fugge dal suo villaggio e si inoltra nella Driada, il pericoloso bosco-vivo, per rubare il mitico fiore di felce, che le permetterà di esprimere il desiderio di una vita senza magia. Oltre al fiore, però, nella foresta Liska trova il Leszy, il demone guardiano del bosco, che invece di ucciderla le offre un patto: un anno di servitù in cambio del desiderio del fiore di felce. Costretta ad accettare per non morire, la ragazza viene portata dal mostro nel suo fatiscente maniero divorato dal bosco, e qui comincia a intravedere il groviglio di segreti e fantasmi che avviluppano il suo ospite. Eppure, intrecciati al dubbio, iniziano a germogliare in lei sentimenti nuovi. Ma qualcosa si sta svegliando nella Driada, qualcosa di letale e senza pietà. Qualcosa che spaventa persino il Leszy. Qualcosa che non può essere sconfitto, se Liska non abbraccia il mostro che ha sempre temuto di diventare…

La recensione:

Anche questa storia, esattamente come le altre in questo ultimo periodo, non è la migliore che possa annoverarsi fra i fantasy che ho deciso di affiancare, in questo sesto mese dell’anno. Di fantasy tuttavia non ne leggo più con la medesima frequenza, non mi considero più del <<target >>, eppure a volte mi piace discostarmi dalla mia comfort zone per varcare i cancelli celesti di una storia che so potrebbe non rivelarsi la migliore dei fantasy che gironzolano in questi ultimi tempi quanto poggiavano su un sistema magico deboluccio ma nel complesso soddisfacente. Tutto quello che posso dire, alla fine, è che poi questi romanzi finisco per mangiarli come se si trattassero di classici o romanzi di narrativa contemporanea: vari tipi di leccornie, che non sempre soddisfano i nostri palati. Ma si tratta di scelte, ed io scelgo di leggere questa tipologia di testi: constatare solo alla fine, se la sua lettura si sia rivelata soddisfacente o l’ennesima ciofeca, da cui attingo dall’esperienza del passato, che si scontra contro gli oscuri echi del presente, e che mandano all’aria qualunque intento o proposito. Con Where the dark stands still la scelta non fu casuale, quanto premeditata in quanto facente parte di una sfida, l’ennesima, cui ho partecipato e che, nel bene e nel male, costituiscono un corollario di letture che senza alcun tipo di motivazione avrei letto. Poco dopo le sensazioni riscontrate, la consapevolezza ci catapulta dritti dritti dinanzi alla realtà: se non l’avessi letto, ora non sarei qui a parlarne.

E’ raro leggere romanzi fantasy, dedichi ad un pubblico per ragazzi, che non caschino nel banale, nel ridicolo, nell’insulso; di che cosa si ciba il lettore moderno, impossibilitato a saper scegliere o distinguere un testo accettabile da inutili accozzaglie di sogni e speranze vane? Eppure a volte queste << accozzaglie >> stilistiche si rivelano piacevoli. Non prendetemi sul serio quando scrivo piacevoli. Per usare un eufemismo, non mi infastidiscono o innervosiscono come credevo. Mi fanno storcere il naso, sorridere meramente, ma anche sognare ad occhi aperti, rievocando la ragazzina di sedici anni fa che, fra i banchi di scuola, sognava l’avvento del suo principe azzurro. Quella ragazzina che, a seconda di ciò che legge o vede o sente, vive, pulsa, e divora le mie viscere quando meno me lo aspetto. Razionalmente parlando, in maniera del tutto vana. Emotivamente scrivendo, con l’anima poi completamente in frantumi.

La varietà nel panorama fantasy per ragazzi, dunque, è vasta, e nonostante mi intestardisco a non farmi coinvolgere, né a vacillare dietro alla rappresentazione di un vestito editoriale di tutto rispetto, alla fine, la verità, è che ci casco anche io come una pera cotta. La varietà è talmente grande, i generi sfornati come pagnotte ancora calde innumerevoli, il modo di prepararli, sfornarli, perdonate, scriverli, altrettanto, poiché lo stile di scrittura avrebbe fatto inorridire gli antichi poeti romantici, autori così sensibili e romantici come Proust, le “gioie” irraggiungibili del cuore hardyano, perche il diletto che si nutre nel momento in cui si legge è impagabile. In un modo o nell’altro la gioia, che abbia a che fare con gli odori e i sapori della storia di cui si adorna il testo, o il semplice atto di leggere qualcosa che possa strapparci una risata fa parte di tutto il pacchetto. Fa parte della mia decisione imprescindibile di leggere l’ennesimo fantasy, poiché come un piatto succulento ha poi quel suo speciale sapore, quel valore magico che rende l’atto del mangiare, più attraente, più allettante. Una cosa che fa bene al cuore, ma fa male al fegato. Un’altra che fa bene alla circolazione sanguigna, danneggia le nostre vie respiratorie. Un frutto riscalda, uno raffredda, ma nell’insieme donano qualcosa. Qualcosa che effettivamente non ha un suo perchè ma, alla fine del viaggio, non si rivelano così immangiabili di quel che credevamo.

Questa è una delle mie tante ossessioni comuni che, da qualche tempo a questa parte ho maturato, nel semplice atto di respirare ogni tanto anche aria << moderna >> e non solo classica, i cui testi che avrebbero dominato la piccola cittadella del mio spirito, in maniera divertente e priva di alcuna importanza, in un certo senso mi avrebbero dilettata ma anche tenuta all’erta. La delusione sarebbe comunque stata alla porta, e purché non ci rimanessi male dovevo essere preparata.

Ero preparata quando lessi Where the dark stands still. Ero consapevole che l’insoddisfazione, la delusione, ciò insomma di cui vi facevo cenno prima, avrebbero travolto il mio spirito in maniera completamente spontanea. Nell’immediato, dopo aver calcato il suolo di una nuda terra. O, successivamente, alla << presentazione >> dei personaggi, dotati di corna o, in questo caso, in dolce attesa che qualcuno, qualche bel principe dall’aria maliziosa e dotato di corna, potesse cogliere il suo fiore. Il fiore dell’innocenza che sarebbe poi stato << nutrito >> dalla magia, non solo dall’amore riversato, proveniente chissà da dove, ma così avvenenti e valorosi che avrebbero fatto perdere il senso, la lucidità.

A B Poranek firma un esordio che strizza l’occhio a Il castello errante di Howl e La bella e la bestia, il cui paragone, mi dispiace per i fan accaniti, è davvero una blasfema. Non così brutto o indimenticabile come l’ultimo testo orrorifico letterario letto - ahimè Divoratori di libri, chi me lo ha fatto fare?!? - ma che mi ha intrappolata in un mondo che sin dal principio puzza di irrealistico, che in un fantasy è un aggettivo appropriato, non c’è che dire, ma così irrealistico da non poter rinunciare alla logica, alla coscienza. L’irreale, generalmente in questa tipologia di testi, ha un suo fondamento, naturalmente se ben fatto, ma se poggia su un sistema metaletterario in cui il folklore polacco non fa testo a una trama sostanziosa, soddisfacente anche in minima parte, quanto costellato da situazioni o elementi che hanno del ridicolo, non coinvolge, non accresce interesse, mi mettono davanti ad un mondo che a me non piace viverci, mi annoia, non omogeneizzato, di gente che vive a modo suo, concepita senza un vero e proprio perchè, con aspirazioni e preoccupazioni diverse da quelle di trasmettere una semplice storia d’amore. Il modo in cui l’autrice ci narra di Liska e Leszy forse mi avrebbe fatto vomitare farfalle, quando ero ragazzina, ma in età adulta, questo vomito di cui faccio cenno è provocato da altro. Perlomeno da qualcosa che, fra difetti e qualità varie, sia di per sé un piacere; guarirci poi con una piacevole avventura pur di cibarsi nuovamente di realtà. Ma questo testo, così infido sin dal principio, e poi contestualizzato dopo una cinquantina di pagine, è una mistura di leggende folkloristiche, altre storie, altri mondi, una miscela disomogenea dunque, che mi ha fatto sorridere, tanto, ma non conquistata. Con la sua struttura così deboluccia, i suoi personaggi così ridicoli, alla fine, non mi ha fatto splendere, nonostante lo scenario sia intrappolato in una brughiera splendida, in cui il sole picchia perennemente sulle nostre teste, quanto colpevolizzante e fuorviante.

Eppure, a distanza di qualche giorno dalla sua lettura, a mente lucida mi chiedo se la delusione riscontrata, questa volta, sia stata parecchio simile a quella che altri testi, in passato, mi trasmisero… Se così fosse queste parole sarebbero state più amare, ve lo garantisco! Ebbene, non sono un’esperta di fantasy, perlomeno non più, e mi dispiace denigrare una storia che così orribile o illeggibile non è. Solo lenta, ridicola, banalotta, insulsa ma dotato di una voce tutta sua. Quale? Quella della sua protagonista, che tra una scorribanda amorosa e l’altra, mostra una certa forza, un certo coraggio, una certa << potenza >> da cui dovrà fare i conti pur di ritrovare se stessa, liberare la sua famiglia da un’antica maledizione, combattere irrimediabilmente le tempeste della vita, pur di non addensarsi irrimediabilmente.

Valutazione d’inchiostro: 2 e mezzo

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