Non ci sarebbe
niente da dire ma l’essere qui mi procurò immediatamente un’esperienza di
lettura talmente bella e incredibile che non credevo possibile. Alla fine mi
sono trovata a sdraiarmi sulla mia poltrona preferita, aprire il kobo, e
leggere un breve trafiletto di quello che sarebbe stato il mio compagno di
viaggio per qualche giorno. Anche queste sono esperienze: quel momento in cui è
l’autore a chiamarti è praticamente identico a quando si ha la predisposizione
ad approcciarsi, moderna e avventuroso, con una certa dose di carattere, zeppo
di ricordi o momenti estrapolati dal tempo. La cultura del re dell’horror non
ha mai cessato di esistere, anche se io lo sto scoprendo a poco a poco, come
sul finire dell’anno accadde con La meta oscura e ora con Mucchio d’ossa.
Nei giorni che
seguirono ho dedicato gran parte del mio tempo a Stephen King, e il tema su cui
si poggia o ruota mi frulla ancora per la testa: quanto effettivamente
conosciamo la persona che amiamo, fino a quando non esalerà l’ultimo respiro?
Michael, il protagonista, dovrà tenere conto di queste conversazioni. La scrittura
però ci aiuta a catapultarci e a catapultarlo in un sogno. Essere scollegati, susseguirsi
di eventi devastanti dal nostro IO. Un clamore nei confronti della vita quasi essa
stessa sembra prendersi gioco di noi. Il quadro che se ne ottiene è stato abbastanza
spettacolare, straordinario. Incuriosita dall’innumerevoli intenti del protagonista
di rafforzare la sua identità quasi come stesse per far uscire il genio dalla lampada
di Aladino. Una volta libero, crebbe assieme a noi non corrispondendo necessariamente
a quella che avrei voluto maggiormente ma estremamente concreto all’idea iniziale
propinati nelle prime battiture. Alla fine non ci resta che scostare il velo delle
incertezze, scovare quella giusta strada che ci rende liberi, influenzata da una
cultura che sino a qualche tempo fa non avrei mai creduto fosse mia, strumento per
comprendere il mondo e chi ci circonda.
Autore: Stephen King
Casa editrice: Sperling & Kupfer
Prezzo: 12, 90 €
N° di pagine: 624
Trama: Mike Noonan – quarant’anni, autore di best – seller – è un privilegiato: un discreto successo, un buon conto in banca, la consapevolezza di sentirsi arrivato; tutte cose che ovviamente non hanno alcun senso se l’unica persona a cui tieni un giorno esce di casa e non ritorna più, folgorata per strada dalla morte. Quattro anni dopo è uno scrittore finito, afflitto da un’esistenza vuota. È alla resa dei conti ma è anche angosciato dalla sensazione che “qualcos’altro”, oltre a lui, non sappia rassegnarsi all’ineluttabile di un’esistenza troncata, qualcosa che si fa strada nella sua mente insinuando dubbi tormentosi, procurando incubi che travalicano i limiti del reale…
La recensione:
Dopo quasi una settimana
passata a inseguire gli innumerevoli tentativi di un uomo problematico e i suoi
affanni a comprendere il mondo, incominciò a delinearsi un quadro estremamente
straordinario. Quello ritratto in queste pagine, e che ebbe la sua sede in uno
degli scenari più interessanti avessi mai visto, a quanto pare era famoso
davvero, o almeno lo era sino a quando non divenne importante anche per me, e
non ci fu bisogno nemmeno di fingere fosse così prezioso: era destino che
mettessi piede in questa scintillante e luminosa baia. Concluso Mucchio d’ossa
mi è venuta ancora più voglia di esplorare il mondo kinghiano e mi chiedo fra
me e me cosa io abbia aspettato per tutto questo tempo.
Mi chiedo se la curiosità che accrebbe durante la lettura di questa storia era legata alla mia << ossessione >> di accaparrarmi al più presto di una copia di It o se anche io stessi per scivolare nel limbo kinghiano. Se non avessi fatto attenzione, non credo avrei potuto gioire di certi momenti: c’è da avvelenarsi la vita, con quest’incertezza via via appagata da parole o pensieri vaghi di qualcuno. C’è del buono a scoprire che tua moglie sia stata strappata alla vita con violenza e brutalità? C’è un motivo per cui ci si è sentiti perennemente insoddisfatti? Non ci sono risposte certe che non soddisfano completamente, e alla fine intraprendi una strada che giustifica la tua credulità, la tua ingenuità, la tua ignoranza magari credendo che alcuni di questi momenti possano afferrarti e stringerti rabbiosamente.
Mucchio d’ossa mi ha insegnato a osservare il mondo anche dal punto di vista di chi è stato strappato dalla vita terrena. Naturalmente ci si immedesima nel protagonista, nei panni di Michael, convivendo col dolore insopprimibile che niente e nessuno potrà darti ciò per cui non hai potuto godere. Che potere questo! Chiudo gli occhi e per un istante sono ancora lì: scostare il velo delle incertezze e non capirci più niente. Se uno non fosse rispettoso dell’umanità altrui, ci sarebbe da divertirsi a sperimentare tale << potere >>. Perciò bisogna sempre stare attenti a chi incontriamo, le relazioni che instauriamo per evitare la disgrazia, scherzi del destino che non avremmo mai pensato di poter compiere.
Mucchio d’ossa non è impregnato di una minaccia, nel vero e proprio senso letterario del termine, quanto di entità che rende la minaccia verosimile e non poco angosciante. Molto di più della notizia di poter vincere ed estrarre la moglie di Michael da morte certa. Il male entra nel bene. Il male lascia dubbi striscianti, angoscianti, un’inquietudine sorda; perché la paura è il fondo della condizione umana.
Stephen King, a distanza di quasi un anno, approdò nel mio cantuccio personale con un concetto di scrittura assolutamente devastante e fuorviante sotto la direzione del mio personalissimo istinto, un evento che ritengo oramai usuale perché ogniqualvolta decido di approcciarmi a un romanzo dell’autore accade questo. Unosquarcio sull’anima irradiato in tutto il mio corpo. Nei giorni che hanno preceduto questa recensione, ho vagato fra le sue pagine come uno spettro che ha perso completamente il senso del tempo. Compiuto un viaggio temporale in cui la vita è una malattia da cui bisogna guarire, lasciandosi andare diventando nient’altro che il fantasma di te stesso. Un mucchio d’ossa praticamente. Osservazione accurata della vita e di chi ci circonda, ogni tanto nascosta, e che anche nel momento in cui trapela il mero dolore dell’abbandono, dell’insoddisfazione, che innegabilmente l’ho trovato irresistibile, straordinario, prolisso, ma parecchio introspettivo. Diretto, distinto, assediato di eventi o situazioni irriverenti, sbalorditive che qualunque aspetto difettoso avrebbe colmato i buchi con le sue forti digressioni stilistiche e letterarie, e un venerdì pomeriggio mi vide immergermi in questo straordinario folle mondo con l’anima che sprigionava una certa luce.
Mi sono trovata a vagare lungo la riva dell’assurdo durante un momento a dir poco perfetto, quello in cui gli spiriti dei morti avrebbero albergato dinanzi a noi, e quindi predispostissima ad un ennesimo incontro con Stephen King, cosa che abbattè qualunque effetto concernente la constatazione dell’ennesima mera delusione dietro l’angolo, impedendomi perfino di credere che gli scaffali della mia libreria avrebbero presto ospitato qualche altra sua opera. E non credo tarderò a realizzare questo mio proposito – già impegnata ad raggiungere svariati obiettivi letterari, ragioni per cui mi reputo una novellina che si appresta a conoscere i meandri kinghiani. Fantasia illusoria che si dimena alla luce morente di un crepuscolo – più reale del mio irresistibile desiderio di mangiare non ingrassando, in sostanza.
Il contrasto, fra ciò a cui sono abituata a leggere e ciò a cui mi ci approccio per la prima volta, fu abbastanza chiaro. Una rigida separazione tra ciò che voglio e ciò che desidero, la voluttuosa consapevolezza di leggere qualcosa che andrebbe necessariamente letto e il cui incontro rimando continuamente fin quando non se ne presenta l’occasione, l’impossibile contro il possibile, le fantasie di una lettrice semplice contro le realtà quotidiane, l’amore da una parte, il desiderio di conoscenza dall’altra. Tutto così preciso e inequivocabile che alla fine mi aiutano a comprendere come questa invisibile linea di confine non sia così netta come credo, e che l’amore che nutro per la letteratura esiste anche grazie a questo.
Ed ecco dunque come, a inizio agosto, ho lasciato il mio santuario magico per recarmi in un altro posto, in un luogo che ha sortito in me un certo effetto, sin dal principio, per trascorrere qualche giorno in compagnia di Michael, marito amorevole, scrittore di successo e ammirazione. Stavolta nei cuori algidi di personaggi il cui temperamento genera una certa confusione ma arricchiscono un quadro già di per se ricco. Il tutto immerso in una gigantesca piscina di misteri e paure, che galleggiano in un mare di dubbi e perplessità. In una tensione crescente e costante di ansia e paura, con la fuorviante sensazione di volersi rifugiare dietro a falsi miti o pareti impossibili da abattere che affiorano qualunque paura, qualunque parte oscura che alberga nell’individuo. Poiché non è possibile sconfiggere qualcosa, se poi esso ci si rivolta contro continuamente. Il tutto avvolto in una patina di nebbia, che ho tentato di diradare inutilmente in un chiaro/ scuro che si era addensato sopra di me e colorò il mio cerchio personale di scuro. Nessuno potrà eguagliare la scrittura di Stephen King, nessuno potrà eguagliare il suo inarrestabile talento, nessuno più ammirevole di un autore di questo calibro che mi hanno indotto a riflettere su quanto domina il bene ma anche il male in ogni individuo. Mucchio d’ossa mi è piaciuto molto, mi è piaciuto sin dal primo momento in cui vi ho messo piede, e sono certa che lo sarà anche in futuro, perché il legame fra me e Stephen King è divampato come una fiamma, e continuerà ad esistere perché d’ora in avanti soddisferò qualunque desiderio di leggere qualcos’altro di suo.
Mi chiedo se la curiosità che accrebbe durante la lettura di questa storia era legata alla mia << ossessione >> di accaparrarmi al più presto di una copia di It o se anche io stessi per scivolare nel limbo kinghiano. Se non avessi fatto attenzione, non credo avrei potuto gioire di certi momenti: c’è da avvelenarsi la vita, con quest’incertezza via via appagata da parole o pensieri vaghi di qualcuno. C’è del buono a scoprire che tua moglie sia stata strappata alla vita con violenza e brutalità? C’è un motivo per cui ci si è sentiti perennemente insoddisfatti? Non ci sono risposte certe che non soddisfano completamente, e alla fine intraprendi una strada che giustifica la tua credulità, la tua ingenuità, la tua ignoranza magari credendo che alcuni di questi momenti possano afferrarti e stringerti rabbiosamente.
Mucchio d’ossa mi ha insegnato a osservare il mondo anche dal punto di vista di chi è stato strappato dalla vita terrena. Naturalmente ci si immedesima nel protagonista, nei panni di Michael, convivendo col dolore insopprimibile che niente e nessuno potrà darti ciò per cui non hai potuto godere. Che potere questo! Chiudo gli occhi e per un istante sono ancora lì: scostare il velo delle incertezze e non capirci più niente. Se uno non fosse rispettoso dell’umanità altrui, ci sarebbe da divertirsi a sperimentare tale << potere >>. Perciò bisogna sempre stare attenti a chi incontriamo, le relazioni che instauriamo per evitare la disgrazia, scherzi del destino che non avremmo mai pensato di poter compiere.
Mucchio d’ossa non è impregnato di una minaccia, nel vero e proprio senso letterario del termine, quanto di entità che rende la minaccia verosimile e non poco angosciante. Molto di più della notizia di poter vincere ed estrarre la moglie di Michael da morte certa. Il male entra nel bene. Il male lascia dubbi striscianti, angoscianti, un’inquietudine sorda; perché la paura è il fondo della condizione umana.
Stephen King, a distanza di quasi un anno, approdò nel mio cantuccio personale con un concetto di scrittura assolutamente devastante e fuorviante sotto la direzione del mio personalissimo istinto, un evento che ritengo oramai usuale perché ogniqualvolta decido di approcciarmi a un romanzo dell’autore accade questo. Unosquarcio sull’anima irradiato in tutto il mio corpo. Nei giorni che hanno preceduto questa recensione, ho vagato fra le sue pagine come uno spettro che ha perso completamente il senso del tempo. Compiuto un viaggio temporale in cui la vita è una malattia da cui bisogna guarire, lasciandosi andare diventando nient’altro che il fantasma di te stesso. Un mucchio d’ossa praticamente. Osservazione accurata della vita e di chi ci circonda, ogni tanto nascosta, e che anche nel momento in cui trapela il mero dolore dell’abbandono, dell’insoddisfazione, che innegabilmente l’ho trovato irresistibile, straordinario, prolisso, ma parecchio introspettivo. Diretto, distinto, assediato di eventi o situazioni irriverenti, sbalorditive che qualunque aspetto difettoso avrebbe colmato i buchi con le sue forti digressioni stilistiche e letterarie, e un venerdì pomeriggio mi vide immergermi in questo straordinario folle mondo con l’anima che sprigionava una certa luce.
Mi sono trovata a vagare lungo la riva dell’assurdo durante un momento a dir poco perfetto, quello in cui gli spiriti dei morti avrebbero albergato dinanzi a noi, e quindi predispostissima ad un ennesimo incontro con Stephen King, cosa che abbattè qualunque effetto concernente la constatazione dell’ennesima mera delusione dietro l’angolo, impedendomi perfino di credere che gli scaffali della mia libreria avrebbero presto ospitato qualche altra sua opera. E non credo tarderò a realizzare questo mio proposito – già impegnata ad raggiungere svariati obiettivi letterari, ragioni per cui mi reputo una novellina che si appresta a conoscere i meandri kinghiani. Fantasia illusoria che si dimena alla luce morente di un crepuscolo – più reale del mio irresistibile desiderio di mangiare non ingrassando, in sostanza.
Il contrasto, fra ciò a cui sono abituata a leggere e ciò a cui mi ci approccio per la prima volta, fu abbastanza chiaro. Una rigida separazione tra ciò che voglio e ciò che desidero, la voluttuosa consapevolezza di leggere qualcosa che andrebbe necessariamente letto e il cui incontro rimando continuamente fin quando non se ne presenta l’occasione, l’impossibile contro il possibile, le fantasie di una lettrice semplice contro le realtà quotidiane, l’amore da una parte, il desiderio di conoscenza dall’altra. Tutto così preciso e inequivocabile che alla fine mi aiutano a comprendere come questa invisibile linea di confine non sia così netta come credo, e che l’amore che nutro per la letteratura esiste anche grazie a questo.
Ed ecco dunque come, a inizio agosto, ho lasciato il mio santuario magico per recarmi in un altro posto, in un luogo che ha sortito in me un certo effetto, sin dal principio, per trascorrere qualche giorno in compagnia di Michael, marito amorevole, scrittore di successo e ammirazione. Stavolta nei cuori algidi di personaggi il cui temperamento genera una certa confusione ma arricchiscono un quadro già di per se ricco. Il tutto immerso in una gigantesca piscina di misteri e paure, che galleggiano in un mare di dubbi e perplessità. In una tensione crescente e costante di ansia e paura, con la fuorviante sensazione di volersi rifugiare dietro a falsi miti o pareti impossibili da abattere che affiorano qualunque paura, qualunque parte oscura che alberga nell’individuo. Poiché non è possibile sconfiggere qualcosa, se poi esso ci si rivolta contro continuamente. Il tutto avvolto in una patina di nebbia, che ho tentato di diradare inutilmente in un chiaro/ scuro che si era addensato sopra di me e colorò il mio cerchio personale di scuro. Nessuno potrà eguagliare la scrittura di Stephen King, nessuno potrà eguagliare il suo inarrestabile talento, nessuno più ammirevole di un autore di questo calibro che mi hanno indotto a riflettere su quanto domina il bene ma anche il male in ogni individuo. Mucchio d’ossa mi è piaciuto molto, mi è piaciuto sin dal primo momento in cui vi ho messo piede, e sono certa che lo sarà anche in futuro, perché il legame fra me e Stephen King è divampato come una fiamma, e continuerà ad esistere perché d’ora in avanti soddisferò qualunque desiderio di leggere qualcos’altro di suo.
Ahi; mi spiace non sia andata tanto bene; ottima recensione; grazie
RispondiEliminaE' andata piuttosto bene, invece :D
EliminaCiao Gresi, di King ho letto solo un romanzo anni fa, ma è un autore che mi piacerebbe conoscere meglio :-)
RispondiEliminaAnche a me :)
EliminaNon il mio preferito del Re, però affascinante.
RispondiEliminaIl mio percorso con King è ancora agli albori. Pian pianino leggerò altro :)
EliminaA King non mi riesco proprio ad approcciarmi, nemmeno se ci metto tutta la mia volontà 🙈!
RispondiEliminaMi spiace ❤️❤️
EliminaBoa noite. Um autor maravilhoso e que escreve de uma forma intrigante. Grande abraço carioca.
RispondiEliminaConfermo 🤗
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