Quando si parla di malattia ci sarebbe da fare un discorso un po più ampio. Non mi riferisco, naturalmente, a qualcosa che inevitabilmente si contrae, in un dato momento della nostra vita, quanto a una specie di condizione o condanna a cui ci si lascia andare, oppure tentiamo di domare o cavalcare come un’onda, che si fa strada nella nostra coscienza.
Non mi vergogno a dirlo, ma quando si parla di malattia io sono una di quelle pazienti meno avvezze a lamentarsi. Silenziosa e riservata per natura, mi lascio andare ad inutili piagnistei e lamenti solo quando necessari, solo quando sopraggiungono o toccano il limite, e in letteratura, nei romanzi che leggo e che mi piace leggere, non poche volte mi è capitato di incontrare figure, dilaniate dal passato o da un presente peccaminoso che, in un dato momento della loro vita, contraggono malattie incurabili a cui ci si lascia andare con rammarico o, con, rassegnazione, fin quando non sopraggiunge la morte. Nel bene o nel male, alla fine, queste storie, tracciano un segno del loro passaggio da cui io stessa posso osservare tante cose. Faccio testo di nozioni, paradigmi, vivo esperienze, altre vite, altre coscienze, che effettivamente non mi appartengono ma sono il fulcro della mia intere esistenza. Suddiviso quindi in due parti, ecco questo primo post in cui la malattia è al centro di certe narrazioni, certi classici, che, nel tempo, ho compreso, amato, lambiccato il cervello affinché qualcosa, quel qualcosa di malato che pulsava all’interno del loro piccolo cuore, non solo mi aveva fagocitato ma espulso una cura mediante cui ho interpretato il mondo.
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La piccola Ruth, la protagonista di queste pagine, vivrà stuazioni talmente rischiose in cui mi sono trovata invischiata, che lascia poco spazio all’immaginazione, specie per la ricerca spirituale. La letteratura, i libri, nel tempo, diverranno medicina per l’anima. Non solo per la sua, ma anche di chi legge.
Titolo: Storia della pioggia
Autore: Niall Williams
Casa editrice: Neri Pozza
Prezzo: 9,00 €
N° di pagine: 367
Trama: Ruth Swain, viso affilato, labbra sottili, pelle pallida incapace di abbronzarsi, lettrice di quasi tutti i romanzi del diciannovesimo secolo, figlia di poeta giace a letto, in una mansarda sotto la pioggia, "al margine tra questo e l'altro mondo". Un giorno è svenuta al college, e da allora, malata, trascorre le sue ore in compagnia dei libri ereditati dal padre. Romanzi, racconti e versi attraverso i quali si avventura su sentieri sconosciuti, apprende cose che pochi sanno: che Dickens, ad esempio, soffriva d'insonnia e di notte passeggiava per i cimiteri; o, ancora, che da giovane Stevenson aveva attraversato la Francia dormendo sotto le stelle, in compagnia di un'asina. Mentre la pioggia batte sul tetto della mansarda, Ruth rovista così tra i libri e legge e raduna attorno a sé tutto quello che può: la vecchia edizione arancione di Moby Dick della Penguin, la copia di Ragione e sentimento con il ritratto di Jane con la cuffietta in testa, le memorie del Reverendo, il bisnonno che nella sua mente assomiglia al vecchio Gruffandgrim di Grandi speranze, gli appunti di Abraham, il nonno, che anziché abbracciare la chiamata del Signore abbracciò quella della pesca al salmone, i quaderni da bambino su cui Virgil, figlio di Abraham e suo amato genitore, annotava con la matita le sue poesie. Storie che, come tutte le storie, si raccontano e si leggono per scacciare il male di vivere o, come nel caso di Ruth, per mantenersi ancora "al margine tra questo e l'altro mondo".