Di storie famigliari incasinate, caotiche e catastrofiche, la letteratura, quella odierna ma anche classica, ci dona un corrolario di informazioni infinitesimali. In un modo o nell’altro, come diceva il buon Tolstoj, “ tutte le famiglie felici sono uguali, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo", e pur quanto passi il tempo, cambino i luoghi o le tempistiche, quando ci si imbatte nuovamente in una storia che avevo vissuto, parecchio tempo fa, in veste cinematografica, ora letteraria, mi indusse a pormi una serie di riflessioni sul concetto di vita e destino. Ogni cosa, qualuncue cosa, ha un suo perchè, una sua importanza, e quando certe storie sortiscono certe riflessioni è bene accettarsi della loro validità. Ho letto questo piccolo gioiellino della letteratura per ragazzi con San Valentino alle porte, e in cui ho potuto soggiornare, per non più di due soli giorni, a dire il vero, nel mondo di una ragazzina che aveva le fattezze di un piccolo elfo ma il cui visto nel mondo dei normali era come un invito per un altro giro di giostra.
Quale giro? Quello attorno al cerchio ottenebrato da una spessa coltre di ansie o dubbi di una ragazzina, desiderosa di scoprire la sua identità, il suo perchè, il suo stare sul mondo, in un processo di anestesia in cui non saranno ottenebrati solo i sensi ma anche i sentimenti, quelli che forti e indomabili ci indurranno a valicare verità scomode, a vivere avventure non sempre avvincenti e piacevoli, a valicare i confini celesti di un mondo in cui la pace, la felicità è solo rappresentazione, forma d’arte cui molti suoi coetanei, prima di lei, hanno rincorso.
Titolo: Papà Gambalunga
Autore: Jean Webster
Casa editrice: Caravaggio
Prezzo: 15, 50€
N° di pagine:264
Trama: Jerusha Abbott (Judy) è un’orfana dell’Istituto John Grier, una ragazza sola e senza speranze. Un “deprimente” mercoledì, la sua vita cambia radicalmente e in modo inaspettato: grazie alle sue ottime potenzialità, in particolare nella scrittura, un misterioso benefattore decide di pagarle gli studi presso un prestigioso college, in modo da permetterle di conquistare istruzione e indipendenza; ciò a due condizioni: Judy dovrà scrivere regolarmente all’ignoto filantropo, che ribattezzerà Papà Gambalunga (avendone visto solo la lunga ombra proiettata su un muro), per aggiornarlo sui suoi progressi, e il benefattore stesso dovrà restare sempre nell’anonimato. Inizierà così questo splendido romanzo epistolare “a senso unico”, ma capace – grazie alla simpatia, al senso dell’umorismo e alla sfrontatezza di Judy – di coinvolgere fino all’imprevedibile finale.
La recensione:
Non si rimpiange quello che non si è mai avuto, mentre è terribilmente difficile dover rinunciare a certe cose dopo che si sono considerate proprie per diritto naturale.
Questo incontro fu fatale perché ha comportato diversi sfasamenti. Una strana anestesia dalla quale mi sono svegliata, solo dopo due giorni, senza però ricordare niente del viaggio che avevo vissuto quando ero solo un’adolescente. Per questo fu indispensabile che qualcuno mi accompagnasse. Di nuovo toccava all'energica Judy.
Ci incontrammo, dopo un lasso di tempo a dir poco lungo e infinito, un pomeriggio di metà febbraio, decidendo così di affiancarla in questa sua avventura letteraria, che tuttavia avevo vissuto sullo schermo, facendo però questa volta rotta nel suo cuore. Io ero desiderosa di farle visita che era rintanata in una scuola facoltosa, ricca, in una zona remota degli Stati Uniti e, prima di seguirla, avrei potuto rituffarmi nel mare delle vecchie trasposizioni cinematografiche pur di essere preparata. Di Judy, in effetti, della sua storia, ricordavo molto poco, e se ora sono qui a parlarvene, a riporre in queste poche righe ciò che hanno suscitato le sue pagine, evidentemente perchè esse poterono confinarsi in un angolo remoto del mio cuore, rimpiazzati da altre distrazioni, altre tentazioni, ritrovandoci in uno di quei momenti spinosi che avrei tanto voluto evitare: quel momento in cui Judy comprende di essere sola al mondo.
JUdy non la si poteva definire come particolarmente bella, con quelle lentiggini che contornano il suo viso, le codine incrociate dietro la testa, un sorriso grande e quasi sempre smagliante e la corporatura esile come un giunco, quanto quel genere di compagnia che conquista per il suo temperamento. Vivace, gaio, inconsapevole di scovare quella pace che solo l’amore di due genitori può donarti, e a cui si aggrappa o si affida alla scrittura pur di esorcizzare ogni paura, ogni ansia o preoccupazione. La scrittura infatti era l’unica compagna con cui plasma tutta se stessa, un angosciante collocazione di sentimenti o emozioni in cui la vita si trascinava nel suo lento declino, portandosi però i resti di una qualche esistenza altrove e col quale, quando sarebbe stata pronta, a ripartire, rimettendo dentro quel poco che sarebbe rimasto della sua esistenza.
Queste pagine di diario in forma epistolare, che la sua autrice ci ha propinato mediante la lettura di un classico per ragazzi che nel tempo è divenuto celebre, divenne anche per me simbolo della filialità, gesti o slanci di tenerezza improvvisi che rivelano la condizione, il disagio di una ragazza a non poter vivere in pace nel posto in cui nasce e poi morirà dove è vissuta, senza una figura maestra, materna o paterna, in cui tutti sono indipendenti del proprio destino, sconosciuti di forme astruse coi quali per un breve periodo di tempo giocano ad essere in relazione con la sua intimità. Il costante e inquieto porre delle frasi a uomo che forse non esiste, una figura che alberga sentimentalmente anziché razionalmente, e il suo sentirsi piccolina in un mondo di giganti conferisce tuttavia un forte senso di libertà che è alla base della scrittura. Quella intima, personale in cui il dialogo che si instaura, fra chi scrive e chi legge, è incessante ed efficace. Quasi una piccola oasi felice in cui Jude può rintanarsi, nascondersi e che diviene troppo stretto nel momento in cui qualcuno tenta di osservarlo da una piccola fessura, portando dietro con sé i resti di ogni momento in cui il fallimento, i suoi libri, i suoi vestiti, le sue amicizie non bastano per lavare ogni bruttura subita.
Le letture di crescita personale rivolte a un pubblico giovane non garantiscono mai niente di certo, tranne la possibilità che io possa restarne scottata. Nel bene e nel male, certe storie, alla fine, lasciano un segno del loro passaggio a cui quest’oggi mi affido, nel porre queste poche righe. In cui la differenza fra il mondo reale e quello della fantasia non è così netta, e la corsa alla felicità, al benessere non così astrusa da qualunque concetto o periodo storico. Perché chi ama cibarsi di questo tipo di storie traggono orgoglio, sicurezza dall’essere radicati, spesso, in generazioni di donne o uomini che condividono qualcosa a cui ci si aggrappa. Qualcosa che la sua autrice, Jean Webster, avrà subito in prima persona e mediante cui la scrittura, l’amore per la parola scritta avrebbe confluito e influito in forme di << mobilità >> e << flessibilità >> utili per smascherare ogni emozione, ogni condizione, specialmente di giovani che non hanno un posto fisso o una figura famigliare, al fianco. Alcuna possibilità di scelta, poichè qualche altro aveva già scelto, al loro posto. L’insicurezza diviene quindi forma da esorcizzare e a cui ci si rivolta mediante forme di libertà. Una falsa libertà che Judy, pur quanto dotata di una certa tempra, sarà costretta a dover acchiappare quasi sempre, poiché figlia di un passato in cui l’incertezza su qualunque fronte, sui rapporti umani, sul suo passato, ma anche sul suo presente e futuro, giorno dopo giorno diventano instabili se non interpretati dalla stessa. Affinché quella lunga strada deserta che aveva creduto di vedere, quando non era consapevole di ciò che le avrebbe riservato la vita, andrà come un nastro ondulato verso l’orizzonte, superando qualunque prospettiva, qualunque idea di possibilità che andrà poi a sposarsi con i desideri del suo cuore. Un mantello poggiato sulle sue spalle che l’ha fatta sperare d’aver incontrato il suo << papà >> immaginario, tanto magico quanto reale.
Valutazione d’inchiostro: 4
Ciao Gresi, ho letto questo romanzo tantissimi anni fa, anche perchè da bambina adoravo il cartone animato, ma lo ricordo ancora con molto piacere... buona domenica :-)
RispondiEliminaLa storia di Judy è una culla di splendidi ricordi :)
EliminaMai letto; ottima recensione, grazie
RispondiEliminaA te! :)
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