Se un libro ha il potere di essere considerato un classico della letteratura, ricordato dai più come il capolavoro per eccellenza, il fondamento su cui ruota l’intera letteratura – per meglio dire, le basi per cui sono consolidate l’arte della scrittura -, se un romanzo è tutto questo, alla mente e al cuore, alla mente e ai sentimenti più profondi sul mondo, allo scrivere alla fine un parere – soggettivo o non -, che abbia un senso comune è un’impresa davvero ardua. Forse questa recensione non avrà un senso compiuto, perché niente e nessuno mi dà quelle particolari competenze utili a parlare di un gigante della letteratura come Proust.
Ma, in qualche modo, ci tenevo a parlarne perché, nonostante sia trascorso qualche giorno dalla sua intensissima lettura, l’abitudine di affiancare un uomo come Swann è divenuta, in quasi un mese, una malattia che mi ha indotta a farmi soffrire perché così intrappolato in una volta celeste che mi ha risucchiata, e con difficoltà lasciato andare. Poiché rappresa in una muta attenzione che non turba alcun fattore esterno. Nonostante la complessità dei temi trattati, c’è un sentimento così vero, e il rispetto e la semplicità dell’interpretazione, la bellezza e la delicatezza di certi suoni in cui la stessa parola scritta acquisisce magia. Con garbo, cura e attenzione mi sono così trovata ad affrontare questo bellissimo viaggio, una continua ricerca della Verità e del piacere di scrivere, quasi con una certa inclinazione alla vita, che smorza qualunque tentativo negativo, qualunque intento crudele donando dolcezza alla bontà, malinconia alla tenerezza.
Ristorarsi dalle fatiche di una lettura così bella, così intensa ma difficilissima non è stato per niente facile, in cui l’emozioni per l’ambiente circostante si sono mescolati alla stessa natura, accompagnato da profonda riflessione sulla tecnica e sulla poetica e nel rapporto fra verità oggettiva e verità dell’immagine. Pagine che hanno la parvenza di una fiaba i cui echi sono oscuri, antichi, e come un valoroso guerriero ho riposto una certa stima, un certo rispetto.Dibattuta fra le maglie di un sogno in cui ho camminato più lentamente del solito, nel bel mezzo del silenzio, in mezzo a cuori feriti seguendo i passi, le vicissitudini di un folle i cui desideri sono formulati durante certe passeggiate e che possono essere condivisi da altri, e non creano più quegli slanci che potrebbero essere condivisi da qualche altra creatura vera al di fuori dello stesso autore. Agli albori di un mondo chiuso in sé stesso, costruito sulla logica di un Creatore dove ogni cosa è coordinata al suo animo. Alla sua essenza, che conferisce quella gioia di sentirsi quasi colpevoli, così meravigliosamente conquistati, anche quando sopraggiunge la caducità della vita stessa. Ogni cosa sembra perdere la sua bellezza, conferendo una certa nostalgia. Il sottinteso era che l’amore per l’arte e la concezione di IO come motivo tipico dell’esistenzialismo e la ricerca del Male come rappresentazione di tentazioni di piaceri che degradano e abbruttiscono ogni oggetto, erano parecchio lontani dalla concezione del Narratore ma in cui si imbocca la via della redenzione come unica e fraterna unione fra dolore, smascheramento dell’IO egoista, decifrazione del reale e del possibile. Il tempo e la memoria rifletteranno così uno stile individuale che definisce verità esistenziali. Un preambolo, insomma, di ciò che sarà il suo capolavoro.
E quasi in uno stato di bella atemporalità, il ricordo si eleva rispetto al susseguirsi del tempo in divenire, rivivendo nello spazio interiore non come rifugio in un luogo abitabile in cui si volgono alcune delle risonanze e i veri significati delle cose, stabilendo impalpabili equivalenze fra percezione oggettiva e soggettiva, quanto in relazione col mondo circostante non schiva interrogativi alla base della vita umana. La vita non sarebbe così piacevole senza alcun stimolo, senza alcun scuotimento dell’anima, sorretta da certe estenuanti movenze che non mancano di bellezza o di nobiltà. Confidando che si progredisca dalla decadenza, non nascondendo niente e nessuno affinché si venga etichettati come detrattori, denigratori verso il prossimo e dunque allontanandosi dal mondo circostante. Smorzando i sentimenti, l’emozioni dominandoli al punto che ogni assetto negativo sia annullato.
Proust, delicato come un fiore e reso sensibilissimo, si chiese come l’esistenza potesse essere così intellegibile e come la spiritualizzazione della realtà attraverso l’arte potesse dare un senso alla vita liberando l’essere che è in noi per sottrarlo dal mondo casuale. Come Noè e la sua arca, da cui comprese come la concezione moderna spazio tempo dell’IO si collega a quella neoplatonica per la quale l’oggetto, trovandosi già nell’anima dell’artista, non può assolutamente distaccarsi dall’osservatore. L’immagine del mondo era contenuta dietro il diluvio universale e la distanza che si interpose fra soggetto e oggetto sarebbe stato utile per leggere la realtà nella sua verità. Dissolvendo le delusioni della vita, la sua malinconia, la sua amarezza nella continua ricerca del contatto col prossimo.




0 commenti:
Posta un commento