sabato, ottobre 30, 2021

Brividi e sussurri: la paura travestita di bianco e nero 2°

Per questo mese di ottobre, di letture a tema ne ho vissute non poche. È stata una scelta più che azzeccata, quella di schernirmi dagli assalti esterni del mondo rifugiandomi in mondi inquieti e spaventosi che non poche volte mi hanno tenuta col fiato sospeso. Estremo godimento, romanzi letti per il semplice fatto di voler cibarmi di qualcosa che per me era ancora sconosciuto. Ogni giorno preda di eventi che in un modo o nell’altro hanno rendirizzato la mia vita. Mi hanno indotta ad imboccare sentieri, guardarmi alle spalle senza dovermi perdere nei dettagli del quotidiano. La letteratura gotica e del mistero mi affascina moltissimo, quasi di pari passo ai classici, che mi proietta quasi sempre fuori dal mondo, ai limiti di una realtà che presto divenne anche mia. E lasciandomi andare alle onde del desiderio, è così che in questo giorno di particolare culto popolare, mi appresto a consigliare dieci libri a tema. Dieci romanzi apparentemente diversi fra loro, ma accumunati dalla presenza di figure ingombranti, spaventose e insopportabili che costruiscono un museo di nicchia per illustrare ai visitare i meccanismi di questi inspiegabili orrori.


Una storia che altri non è che la storia di un deterioramento graduale dello spirito di un mondo, da un mondo a un altro, dalla presa di coscienza di una nuova realtà del tutto sconosciuta, radicata nel profondo di noi stessi che come foglie secche si libra e si rigira nell'aria e scende sprofondando al suolo.


Titolo: Il ritratto di Dorian Gray
Autore: Oscar Wilde
Casa editrice: Feltrinelli
Prezzo: 7,50 €
N° di pagine: 261
Trama: Dorian Gray, un giovane di straordinaria bellezza, si è fatto fare un ritratto da un pittore. Ossessionato dalla paura della vecchiaia, ottiene, con un sortilegio, che ogni segno che il tempo dovrebbe lasciare sul suo viso, compaia invece solo sul ritratto. Avido di piacere, si abbandona agli eccessi più sfrenati, mantenendo intatta la freschezza e la perfezione del suo viso. Poiché Hallward il pittore, gli rimprovera tanta vergogna, lo uccide. A questo punto il ritratto diventa per Dorian un atto d’accusa e un impeto di disperazione lo squarcia con una pugnalata. Ma è lui a cadere morto: il ritratto torna a raffigurare il giovane bello e puro di un tempo e a terra giace un vecchio segnato dal vizio.

giovedì, ottobre 28, 2021

Una porta tra le parole: Rebecca la prima moglie e Rebecca

Succede che, quando un’opera mi appassiona finisco sempre per restare a bocca aperta. Con una limitata visione del romanzo, del testo in sé, appunto perché da essere consenziente ma umano prendo atto della mia effimera visione, fuori dall’Io, realtà discutibili e non fra quella percezione di ciò che conosco e non conosco. Esattamente come ciò che mi trasmise la lettura del romanzo di Daphne Du Maurier, che dopo una recensione sentita e appassionata, mi indusse a divorarne la trasposizione cinematografica. Vedere come registri di calibro come Hitchock ed altri avessero visto in quest’opera un piccolo tesoro di inestimabile bellezza, la cui anima avrebbe preservato nel cuore di molti per tanto tempo. E per l’appunto nella mia, che sapevo ben poco di ciò che vi avrebbe trovato fra le sue pagine, fatte di inchiostro e parole ma inondate di quel forte senso di inadeguatezza, di separazione che tuttavia non è svanito.
Così, come con tanti altri romanzi, una situazione del genere mi indusse a tornare in questo posto vedendolo però con i miei stessi occhi. Non appena scocca la scintilla si innesca in me un sentimento in cui l’ammirazione, il fascino mi inducono a guardarmi dentro per accorgermi che quella dei libri non è esattamente quel genere di esperienza separata che la si vive, come sostengono molti, ma pura e sofisticata realtà poiché niente esiste senza la sua totalità. Ma è un meccanismo che si innesca grazie a me. Comprenderne già la sua natura è già di per se una liberazione: la liberazione dell’illusione che tutto ciò non sia vero, non sia mai accaduto, poiché elemento a se stante,, per prendere coscienza della sua perfetta unità col tutto. Individualità significa anche limitazione. L’elemento essenziale però è che quando il richiamo di una storia è davvero impellente lasciarla andare diviene alquanto difficile. Non c’è bisogno di eventi o situazioni eclatanti per diventare qualcosa, perlomeno è ciò cui aspira la protagonista di questa storia. Una donna senza nome avvolta nella nebbia del mistero di una prima moglie il cui ricordo è difficilissimo da scacciare, al punto tale da divenire ossessivo e onnipresente. Si, perché è quello che è. Un ‘ossessione, una rincorsa alla sopravvivenza, alla comprensione. Non c’è niente da fare. Preservare il ricordo di una persona amata e cara a volte non basta. C’è semplicemente da capire il perché.

E questo fu l’interrogatorio che mi divorò le viscere. Nonostante siano trascorse una manciata di settimane, il ricordo di questa storia si riconosce nella sua splendida Totalità. Il suo ricordo è ancora forte e insito in me, e non farò niente affinchè svanisca. La letteratura però è anche questa. Saper prendere la giusta strada senza aver bisogno di una guida. Da qui la necessità di uno spirito, un guru che rompa l’oscurità dell’ignoranza, la classica storia con cui da secoli lettori di ogni sesso e razza vi hanno soggiornato. Dovevo solo comprenderla anche io questa necessità. Non importava quando, né come.
In Rebecca la prima moglie ci sono stanze dai lunghi corridoi, fantasmi che si aggirano come ospiti indesiderati, cameriere e maggiordomi diffidenti di abbracciare una mentalità diversa da quella del passato. Ma qua contava la somma dell’emozioni, di ciò che la protagonista di questa storia dovrà subire per riscattarsi. Appropriarsi di ciò che non ha mai avuto. Quasi un lungo pellegrinaggio dinanzi al lungo e lento cammino della Redenzione.
La trasposizione cinematografica degli anni quaranta e quella moderna del 2020 rendono giustizia a pagine di << diario >> attraverso cui non seguiremo esclusivamente le vicissitudini di questa esile ed anonima figura ma ci induce a guardarsi dentro, a conoscersi senza un adeguato strumento di conoscenza. Nient’altro che non sia celato dai sensi capaci di vedere, sentire, toccare, annusare il mondo della materia, il mondo dei sensi, e quello nella sua totalità. 

martedì, ottobre 26, 2021

Gocce d'inchiostro: Racconti gotici - Mary Shelley

Per comprendere il presente, spesso dico fra me e me, bisogna comprendere il passato. Capire la visione di quella donna, quell’uomo così doversa, distinta fra di noi, senza alcuna netta distinzione fra oggetti inanimati ed esseri viventi, uomini o animali che siano. Per gran parte degli autori la letteratura non esplica solo forme di arte ma talvolta può persino prendere vita. Ogni romanzo ha un anima, come diceva il mio amato Zafon, e così come ogni storia che si rispetti dietro che un gigantesco lavoro di precisione, ricerca, in cui personaggi fatti eslusivamente di inchiostro e parole perserverano uno spirito. Il potere di certi romanzi si cela nella bellezza di certe immagini, nella loro scoperta, sia checchè esso provenga da un'altra epoca, un altro luogo. Quel che resta alla fine sono un guazzabuglio di sentimenti cui non riesco a dare voce, che violentemente sovrastano ogni cosa.
Tutto questo per dire, che sebbene non sia una grande lettrice di racconti, questa mi ha indotto a viaggiare nel bel mezzo di popoli che sopravvivono mediante consuetudini guerresche che sono fonte di ricchezza straordinaria. Mi sono mossa nel bel mezzo di uomini potenti che aspirano a guarire da qualunque forma di debolezza umana pur di giungere in un altro posto. In luoghi in cui ho fatto perdere le mie tracce, i cui messaggi sparsi confluiscono in un'unica strada: la supremazia assoluta.
Titolo: Racconti gotici
Autore: Mary Shelley
Casa editrice: RBA
Prezzo: 9, 90 €
N° di pagine: 300
Trama: Questo volume raccoglie tre racconti che hanno per soggetto il soprannaturale e il mostruoso, ingredienti che formano il cosiddetto racconto gotico. In “Mutazione”, la prima delle storie, un bel giovanotto squattrinato e giocatore, scambia con un nano deforme e orribile il proprio corpo in cambio di un baule pieno di oro e gioielli. Alla fine è solo uccidendo “l’altro” che recupera le sue belle sembianze. Bambini rapiti e scambiati, una pozione che doveva essere un filtro d’amore e si rivela come un liquore che garantisce l’immortalità giocano dei brutti scherzi ai protagonisti degli altri due racconti.

domenica, ottobre 24, 2021

Amori di carta: le sorelle Bronte

I miei amori letterari, le storie appassionanti e avvincenti che ho letto e che amo leggere, mi prendono sempre alla sprovvista non sapendo cosa aspettarmi o cosa tenere presente, con il cielo infuocato dietro la silhouette nera degli alberi. Una melanconica canzone inglese, trasmessa a tutto volume dalla soglia di scaffali stracolmi e ricchi, indirizzati a me e me soltanto annunciano la presenza di tre sorelle, diverse fra loro, che fecero della scrittura una scialuppa di salvataggio dinanzi a un mare in tempesta. Annunciarono quello che poi sarebbe divenuto il sostentamento dei miei giorni, il mio fabbisogno primordiale, che non smette di esserci e non credo cesserà tanto facilmente. Donne non propriamente belle, ma incastrate in quell’aura lucente e misteriosa che le contraddistinguono e che urlano e parlano alla mia anima con estrema cura. Mi tirano per le braccia, con il cuore, con il cervello, tentando di frantumare il mio spirito in minuscoli frammenti ed uscirne guasta. Penso all’ultima esperienza con una delle sorelle Bronte, lasciata qualche mese fa non troppo lontano da adesso, ma oramai distante dai miei progetti di lettura. Bello il mondo ritratto, belli i personaggi e le storie intessute, belle le trame intavolate a puntino, ma anche con più sentimenti, meno leggi, meno regolamenti a un luogo prostato da sofferenze o cause varie, dove queste tre lettrici di anime offrirono con generosità e parsimonia un corredo di tematiche che in un modo o nell’altro ti inducono a riflettere: a me, come lettrice e specialmente donna, ai loro amici, ai loro abitanti, alle donne che perdono quasi la propria dignità, per poi ricevere o confidare in quel piccolo riscatto. Chinque, qualunque personaggio, checchè si tratti di un agricoltore o coltivatore, vagano lungo il sentiero insidioso della vita con nient’altro che sentimenti forti di insoddisfazione morale, un certo disagio a non poter modificare il corso del tempo, sfiaccati e sfiniti, logorata da forze che ostacalano qualunque forma di progresso o ripristino. Il tutto proiettato in un epoca così remota, velata da un’oscurità tanto indefinita che ogni parvenza di consuetudine e ogni confine di laicità sfugge a qualunque forma di comprensione. Creature che sono morte nel momento in cui furono consapevoli che l’Inghilterra stesse avviandosi verso il declino più totale, sebbene qualcosa di essenzialmente balsamico avrebbe potuto favorire ogni cosa. Mettere su del materiale per scrivere un ritratto della storia della letteratura inglese è un esempio per comprendere il passato e alcune nozioni del mondo circostante, sbarcare nel mondo bronteiano, coinvolta nel dramma di queste disgraziate vittime, finendo vittime di Rivoluzioni violente e inaspettate. Le sorelle Bronte, nei loro romanzi, ci impelagheranno in situazioni inavvicinabili e crudeli, che per gran parte della loro vita hanno sonnecchiato in solitudine, fin quando qualcosa e qualcuno le sollevarono dal suolo come un’alveare circondato in cui le forme vaghe sprofondarono come nebbia leggera e vaporosa.

Il raggiungimento di svariate forme di indulgenza, che nascondono una grande oscurità: una necessità di cimentarsi in qualcosa, di correre dei rischi, trovarsi sul filo del rasoio. Cercare soddisfazioni morali osservando certi doveri sociali, politici, individuali, mantengono intatto il carattere e le consuetudini di nobildonne rispettabili, vagabondando nei cuori di uomini comuni con la certezza che l’amore avrebbe misurato ogni sua resistenza. In vicende che sono uno squarcio realistico e sociale, attorno a gruppi di funamboli insoddisfatti e combattivi per la realizzazione di ideali che avrebbero fatto della loro esistenza espedienti per corrodere il passato, abbracciando la religione, la forza dei sentimenti in un epoca che poteva essere afflitta, da un momento all’altro, dalla sofferenza. Emily, Charlotte, Anne furono quelle figure iconiche che espugnarono nelle loro opere il desiderio di essere integrati nel mondo degli altri, così orgogliose da salvaguardare la sua integrità nell'essere prodotte come esseri finiti in un mondo infinito cui è possibile scorgere la luce. Quelle autrici i cui romanzi furono una sorta di propaganda sociale, politico, individuale, che senza di loro devo dire non saprei cosa voglia dire << letteratura>>. Quando ci incontrammo non sapevo nemmeno chi fossero, ero un adolescente che divorava un fantasy dietro l’altro e che arrancava a testa alta nel mondo insidioso della letteratura con curiosità e interesse. All’età di diciassette anni, però, conobbi una di queste  sorelle, Emily, e ciò proclamò il nostro incontro: un incontro definitivo che negli anni mi ha visto recarmi in bellissimi posti, in caldi e furiosi abbracci.  Un certo lirismo, una bontà d’animo che è tipica delle sorelle Bronte, e che ho avvertito sempre più intensamente mentre leggevo. Un nuovo passo per verificare o assecondare i suoi ideali letterari, sentimentali, controversi che solo il piacere sordido, indescrivibile che dona la parola scritta stordisce, partecipa alla ricerca di una realizzazione personale. 

venerdì, ottobre 22, 2021

Una porta tra le parole: Cenerentola

Ogni film è una miniera. Basta lasciarsi andare purchè non sai mai cosa aspettarti. Occupare il tuo tempo seduta in una postazione, in una comoda poltrona o in un letto morbido a osservare districarsi il nodo di una matassa che si sarebbe collocata fra me e il Caso, che può cominciare con una parola, un incontro, un posto un po' scialbo, il più insignificante della terra che diventa specchio del mio mondo. In questa finestra di vita, spesso, quel teatro di azioni sono comparse che hanno a che fare con la vita in generale. Quella di tutti noi, ma che su pellicola acquista un sapore diverso. Ci si ferma ai bordi della loro anima per comprendere meglio il mondo circostante.

Una sera di inizio ottobre mi vide recarmi in un posto in cui credevo di poter lasciare le mie tracce. Volendo smorzare la routine, la monotonia generale, contando di restarci per un certo lasso di tempo ma con il sorriso stampato sulle labbra. Il tempo che ho impiegato fra le soglie di una città splendente e fatiscente come quella in cui ha luogo l’ultima trasposizione cinematografica con protagonista Camilla Cabelo fu molto più duraturo di quel che credevo. Lento, statico, sonnacchioso che pian pianino confidavo potesse risucchiarmi nella quotidianità di una ragazza comune, amante del cucito e dei bei abiti, ma svampita, ribelle e poco graziosa che non ha niente in comune con la dolce Cenerentola del cartone animato della Disney. Non ha niente a che vedere con la sua gentilezza, il suo essere altruista, il suo desiderio di riscattarsi innalzando la sua voce in un coro di suoni e colori. Ci ero arrivata per caso, e per caso avrei voluto restarci. Ma quella catena di assurdità, di canzoni moderne rielaborate in chiave musical non mi ha trasmesso nulla. Avevo perso del tempo prezioso che disgraziatamente non è stato ripagato.

Eppure Cenerentola credo sia quel genere di trasposizione cinematografica che può fungere da rifugio per chi ama sognare ad occhi aperti. Alena a toccare l’amore ma con superficialità e capriccio, accedendo non tanto ai segreti sussurrati dai protagonisti quanto a quello che popola qualche stanza del castello. Dapprima impercettibile, poi così evidente che stona con la sua natura romantica ed esacerbata. Sicuro che ragazze della mia generazione, nell’approcciarsi ad un film del genere, storceranno il naso. Si, perché lo si colloca nell’immediato fra i piani della sufficienza. Una matrigna apparentemente arcigna e severa ma compassionevole per le sorti della sua figliastra, una Fata madrina apparentemente di sesso maschile, un Re stolto e poco incline a governare, un Principe abituato ad ottenere ogni cosa ma non un comportamento adatto a chi deve auspicare al trono. Il tutto è un grande bazar di balli, scene di corte, canti a squarciagola che personalmente non hanno addolcito il tono canzonatorio – fin troppo per i miei gusti – l’aura stucchevole e fin troppo infantile della vita di questa giovane donna. 

Messo su assieme a del materiale che avrebbe dovuto redigere un ritratto che non avrebbe dovuto spiegare alcunchè data la fama della fiaba originale. Ma sbarcata in un posto con una ragazza dalle fattezze simili a quelle di Cenerentola, con un’acerrima passione per la moda e il troppo poco interesse di convolare a nozze mi parve un’occasione mancata di amare qualcosa che negli anni ho amato intensamente. Combattendo contro qualunque mio pregiudizio, ma, alla fine reduce di qualcosa che avevo immaginato diversamente.

mercoledì, ottobre 20, 2021

Gocce d'inchiostro: The Hawthorne Legacy - Jennifer Lynn Barnes

Questo decimo mese dell’anno ebbe un inizio ottimale … ( Buono, certo occuparmi di letture che hanno attratto la mia attenzione che non credevo potessero piacermi quanto farmi perdere completamente il senso del tempo!) Solo quando le si vivono, certe avventure, comincio a credere che non ci siano solo aspetti negativi ma anche positivi e che hanno avuto un certo effetto su di me. La mia coscienza ha presieduto sulla cittadella sterotipata di alcune figure in carta e inchiostro che mi indussero a stare attenta, guardarmi attorno, pensare se fra le sue pagine ci sarebbe stata qualche possibilità di sfuggire. Sfuggire dal mondo circostante e dalla monotonia in generale, in cui il tempo sembra scivolare dalle mie mani con  velocità e impercettibilità. Dunque non mi  restò nient’altro che sedermi, e divorare questo secondo volume di una saga che mi ha appassionata moltissimo. Nulla di eclatante ma straordinariamente godibile. Si inizia a leggere, e non ci si ferma se non assecondare qualche necessità. Quando si dice, letture immersive… questo secondo e ultimo volume non toglie niente al primo che mi divertì e appassionò ancor di più, vagliò ogni possibile condizione che mi avrebbe tenuta stretta stretta fra le sue pagine. Quasi mi fossi adornata di un amuleto che mi sono portata dietro con dovizia e ammirazione. Una lettura che mi ha letteralmente scelto, messo in guardia contro gli assalti esterni e devastanti della vita.


Titolo: The Hawthorne Legacy
Autore: Jennifer Lynn Brandon
Casa editrice: Sperling & Kupfker
Prezzo: 17, 90 €
N° di pagine: 390
Trama: Dopo aver ricevuto inaspettatamente l’eredità di Ttobias Hawthorne. Avery sta vivendo una nuova vita che mai avrebbe immaginato per sé: paparazzi, schiere di addetti alla sicurezza, una dimora immensa e tentacolare piena di tranelli e più denaro di quanto sia concepibile. Eppure, nella sua mente aleggia una sola domanda: perché io? Ed è per darsi una risposta che si ritrova invischiata in una caccia al tesoro letale a fianco dei quattro fratelli Hawthorne, che a volte paiono alleati, a volte temibili sfidanti sempre un passo avanti a tutti. Indovinello dopo indovinello, segreto dopo segreto, Avery è sempre più combattuta tra due dei ragazzi, Grayson e Jameson. Se il primo la attrae perché è razionale e responsabile, il secondo le piace per il motivo opposto, ovvero perché è folle e sempre pronto a correre rischi. Mentre minacce e pericoli sembrano celarsi dietro ogni angolo, Avery scoprirà qual è il legame tra lei e gli Hawthorne? E, soprattutto, riuscirà a capire a quale dei fratelli donare il suo cuore?

lunedì, ottobre 18, 2021

Gocce d'inchiostro: Il mastino dei Baskerville - Artur Conan Doyle

Non mi aspettavo di sentirmi così straordinariamente a mio agio fra le pagine di un romanzo straordinariamente vivo, quando misi piede in uno studio, sul finire del 1800, in una Londra fumosa e grigiastra, a cui presi posto a sedere come un fantasma intersecando una linea di confine fra il possibile e l’impossibile. A un tratto fu tutto diverso. Malgrado gli innumerevoli tentativi compiuti negli anni di nutrire una certa inclinazione per le indagini del più acclamato detective degli ultimi tempi, Sherlock Holmes, le tante letture classiche cui ho letto e vissuto con acerrimo interesse, le tante spericolate incursioni nei salotti letterari o in quelli londinesi a cui ho presenziato sino alla settimana scorsa, questo nuovo viaggio con Sherlock Holmes non fu più lo stesso. Si trasformò in un teatro di parole impossibili che mi indussero a dissipare qualunque dubbio, remora, qualunque mia remota ritrosia a nutrire un certo distacco a ciò che fu quando non ero nemmeno una giovane adolescente, osservai che ciò che avvenne in queste pagine non fu essenzialmente per merito mio che mutò il mio approccio a questa lettura, ma la concentrazione e la tenacia di sentire come mie queste fantomatiche vicende con quel genere di osservazione che riservo ai classici. I riferimenti del genere poliziesco solitamente stretti e angusti abbandonati  e soppiantati a favore di ambientazioni quasi horror e gotici con caratteri molto cupi e spettrali, che sollevarono da terra ogni mia mancata impennata passata e riempiendo la mia coscienza di una forte passione. Un forte interesse, l’urgenza di scoprire chi fosse il mistero che alitava su queste pagine tirarono fuori un aspetto di questa tipologia di romanzi che ignoravo, per non parlare del lento e pensoso macerarsi che accompagna questa scrittura come reportage di raccolte di lettere in cui sono riposti sentimenti, emozioni dalla natura sconosciuta.


 

Titolo: Il mastino dei Baskerville
Autore: Artur Conan Doyle
Casa editrice: Bur Rizzoli
Prezzo: 8 €
N° di pagine: 211
Trama: Nebbia, brughiera, un cane maledetto con le fiamme dell’inferno negli occhi, una morte incomprensibile: il palcoscenico perfetto per Sherlock Holmes e per l’immancabile Watson. La morte in questione è quella di Sir Charles Baskerville, l’ultimo occupante di Baskerville Hall: che sia vera la leggenda che parla di un cane degli inferi, un mastino demoniaco che perseguita la famiglia Baskerville? Un perfetto meccanismo a orologeria, un vero e proprio manuale di investigazione. E, non ultimo, il manifesto della logica d’acciaio del più celebre investigatore della letteratura mondiale.

sabato, ottobre 16, 2021

Slanci del cuore: parole su misura per romanzi inchiostrati. Romanzi fuori dalla mia comfort zone che ho amato

Nella mia carriera di lettrice ho sempre creduto che non è la quantità di romanzi che si legge a considerarti lettore ma la qualità di ciò che leggi. Spesso e non poche volte, mi capita di imbattermi nella conoscenza di autori sconosciuti e non che lasciano sempre un segno del loro passaggio, ma, con parole fatte su misura e apposta per me, non solo ti inducono ad abbracciare altre loro opere con trepidazione e malizia, ma a raccontarci altre storie che ci inoltrino in un percorso lungo ma sensazionale. Allora, a questo punto, non posso non fare a meno di non esserci. Solo così, ora non sarei qui a scrivere questo ennesimo post, con protagonisti questa volta quei romanzi che ho amato e che se non avessi letto non credo avrei tessuto esplicate lodi. E come un’improvvisa imboscata, ecco presentarvi quelle letture che mi porto dietro, a distanza di qualche tempo, come portafortuna, nel mio bagaglio culturale. Anche loro, hanno fatto il loro dovere di romanzi. E, poi, in un momento in cui meno me lo sarei aspettata, scandito una melodia che ha oltrepassato qualunque confine. Valicando qualunque barriera.

Ho visto in Zerocalcare qualcosa di speciale, e spedita in zone remote della sua coscienza ha emesso una sentenza da cui ne sono uscita incuriosita. Inorgoglita ad aver ascoltato la voce della mia coscienza, ancora una volta.


Titolo: Dimentica il mio nome
Autore: Zerocalcare
Casa editrice: Bao
Prezzo: 18 €
N° di pagine: 235
Trama: Quando l’ultimo pezzo della sua infanzia se ne va, Zerocalcare scopre cose sulla propria famiglia che non aveva mai neanche lontanamente sospettato. Diviso tra il rassicurante torpore dell’innocenza giovanile e l’incapacità di sfuggire al controllo sempre più opprimente della società, dovrà capire da dove viene veramente, prima di rendersi conto di dove sta andando. A metà tra fatti realmente accaduti e invenzione.

giovedì, ottobre 14, 2021

Gocce d'inchiostro: Rebecca la prima moglie - Daphne Du Maurier

Mi affascinano i romanzi proiettati in un luogo la cui atmosfera appiccicosa, angosciosa, inquietante mi trasmettono una vasta gamma di sensazioni, molto più forti di quel che credevo, che dopo aver trascorso quattro intensissimi giorni con Daphne Du Maurier con entusiasmo condivido questa mia impressione lasciandomi alle spalle un’esperienza letteraria straordinaria e ripetibile. Sicuramente, quando Dio vorrà, acquisterò una copia di Rebecca la prima moglie, letta in un momento di foga in ebook, che tuttavia non ha frantumato quell’idillio, quella bolla di magnificenza e stupore di cui è costellato il romanzo e mediante cui non sarebbe stato possibile la mia avanzata lenta. Perché quando un romanzo mi chiama non c’è verso io cambi direzione. Più che altro era un’esperienza di lettura che desideravo vivere da qualche tempo. Troppo intestardita a cambiare idea ma mai sicura di scovare il momento giusto, troppo spiccante e << gotico >> per inserire in qualche lettura estiva. Il periodo che stiamo vivendo, però, sempre più vicino alla notte di Halloween, non esula dunque la sua anima, così misteriosa, criptica, immersa in un non so chè di inquieto, altero che inebetisce, induce a vivere un sonno troppo vivido per essere solo immaginifico per scambiare lucciole per lanterne. Non è che sia stata così credulona da credere che Rebecca esista, persino nella vita vera, ma ero talmente immersa, distaccata dal mondo circostante che quando tornai, quando ogni cosa finì, mi sentì abbandonata. Non solo più impennate letterarie con una semplice autrice, ma un pezzo della mia anima irrimediabilmente nascosto fra le sue pagine. E adesso che ripongo queste poche righe vedo il tutto con una certa << sofferenza >>, un sentimento violento che ho perlomeno domato con la trasposizione cinematografica partorita da Hitchcock dopo essere stata messa da parte, di nuovo, dopo che ogni cosa era tornata al suo posto. Risposta al mio essere donna degna e affidabile la cui aura lucente di Rebecca sfiora ancora i miei occhi.

Titolo: Rebecca, la prima moglie
Autore: Daphne Du Maurier
Casa editrice: Il saggiatore
Prezzo: 15 €
N° di pagine: 432
Trama: Durante un soggiorno a Monte Carlo insieme alla signora cui fa da dama di compagnia, una giovane donna, appena ventenne, conosce il ricco e affascinante vedovo Maxim de Winter. L’uomo inizia a corteggiarla e, dopo due sole settimane, le chiede di sposarlo; lei, innamoratissima, accetta con entusiasmo e lo segue nella sua grande tenuta di famiglia a Manderlay. Sembra l’inizio di una storia da favola, ma i sogni e le aspettative della giovane si scontrano subito con la fredda accoglienza della servitù, in particolare della sinistra governante. Eppure non si tratta solo di questo: c’è qualcosa in quel luogo, che giorno dopo giorno rende l’ambiente sempre più opprimente; c’è una presenza che pervade ogni stanza della magione e che si stringe attorno ai passi dell’attuale inquilina come una morsa silenziosa. È Rebecca, la defunta signora de Winter, più viva che mai nella memoria di tutti quelli che l’hanno conosciuta e modello inarrivabile per la giovane, che invece si muove impacciata e confusa nella sua nuova esistenza altolocata e mondana. Un fantasma ingombrante che si trasformerà in una vera e propria ossessione per la protagonista, costretta a immergersi nelle ombre del proprio matrimonio e spinta sempre più ai confini della follia, fino a dubitare della propria stessa identità.

martedì, ottobre 12, 2021

Gocce d'inchiostro: The inheritance games - Jennifer Lynn Barnes

La stessa letteratura che amo tanto, quella che spesso mi fa conoscere una me diversa da quel che credevo, mi fece approcciare alla lettura di questo mystery fantasy, sull’inizio di un mese non più afoso ma ventilato, particolarissimo nel tenermi in sospeso in mezzo a propositi che so mi porteranno lontano. Quello messo su in questo romanzo, tuttavia, fu un tempio tenuto su da una morte improvvisa, un eredità sconvolgente, la lettura di un testamento che sconvolgerà completamente la vita di un adolescente matura e determinata come Avery, atipica adolescente della sua età che mi ha conquistato nell’immediato proprio per il suo essere diretta e obiettiva. Questa ragazza sarebbe stata colei che avrebbe svelato ogni mistero. Avrebbe scostato il velo dell’incertezza, dei dubbi, delle perplessità e lo avrebbe fatto attraverso l’intelligenza, che è la vera fonte dell’intero romanzo. Ragionamenti, quesiti che non debbono essere presi sottogamba ma affrontati con dovizia, riflessione che avrebbe messo a tacere quella vocina interiore nel nostro essere.
Da dove ero io fu davvero impossibile rendermi conto che questa sarebbe stata quel genere di lettura adatta a me. I romanzi fantasy non mi attirano più come un tempo, ma esistono ancora delle piccole eccezioni che riflettono la lettrice che è nata in me grazie a questo tipo di esperienze letterarie. E sebbene non siano degni di noti, la maggior parte, questo primo volume di una presunta duelogia, mi ha tenuta incollata alle pagine, col fiato sospeso, ancorata ad un’identità che effettivamente non mi apparteneva ma che ho sentito come mie, non esponendosi più di tanto. Giungere all’epilogo è stato quel movente utile a non dubitare della sua natura straordinariamente affascinante e misteriosa, una sorta di approdo in cui ha affermato la mia partecipazione, quanto io mi sia sentita coinvolta ed entusiasta fra le sue pagine.


Titolo: The inheritance games
Autore: Jennifer Lynn Barnes
Casa editrice: Sperling & Kupfker
Prezzo: 17, 90 €
N° di pagine: 387
Trama: TU SEI UN ENIGMA, UN ROMPICAPO. TU SEI SPECIALE. Avery Grambs ha dei piani ben precisi per il futuro: sopravvivere al liceo, ottenere una borsa di studio e dare una svolta alla sua vita. Ma quei piani cambiano in un istante quando scopre che Tobias Hawthorne, un eccentrico miliardario che lei non ha mai sentito nominare, le ha lasciato in eredità tutta la sua fortuna. Il lato negativo? Per ottenere il denaro di Hawthorne, Avery deve trasferirsi nella sua tenuta, dove ogni stanza trasmette l’amore per i puzzle e gli indovinelli del defunto proprietario. E dove vive tutta la sua famiglia, e specialmente i quattro nipoti del miliardario: pericolosi, affascinanti, scaltri e cresciuti con l’idea che l’eredità del nonno spetti loro di diritto. Catapultata in un mondo in cui a farla da padrone sono la ricchezza, i privilegi e soprattutto i segreti, Avery deve imparare le regole di un gioco rischioso a cui i fratelli Hawthorne partecipano da sempre e cercare di resistere all’attrazione verso due di loro in particolare.

domenica, ottobre 10, 2021

I romanzi dell'autunno 2°

Le prime impressioni se pubblicare o meno un post riguardante i miei consigli autunnali mi diedero molto da pensare. Avevo tralasciato l’idea; avevo creduto fermamente che i brevi consigli dell’anno scorso potessero essere efficienti. In fondo in poco più di un anno non accade niente di eclatante …. Mai fui più cieca! Come nella vita di tutti i giorni, anche i libri sono reliquie sacre che, in un momento imprecisato della vita, ti inducono ad esplorarle, assaggiarle e magari amarle. 


Fra questi, in trecentosessantacinque giorni, ce ne sono stati qualcuno che io definisco autunnali per il loro essere malinconici, intimi ma devastanti. Sortiscono quel tipo di emozioni che francamente mi piace riscontrare in lettura, e poiché l’autunno è anche assioma di caducità, brevità della vita in se, come non presentare questi libri come quella constatazione attendibile? Ognuno di loro pronti a raccogliere le nostre fragili membra, devastata da eventi appena vissuti o subiti.

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Un lungo esame sulla libertà individuale e d'espressione, ponderando quello che nei secoli passati è sempre stato visto come una specie di tabù, riconosce la capacità del romanzo di spiegare cosa significhi appartenere al terzo sesso.

Intriso di una sottilissima vena di drammaticità, un romanzo di un intensità disarmante: un manipolo di pensieri, acute riflessioni che provengono dai posti più sperduti del mondo. Splendido, particolare. Una lettura che resta bloccata nell'eternità del tempo, ma resiste a qualunque idea di modernità.


venerdì, ottobre 08, 2021

Una porta tra le parole: Malignant

La paura, mi dico sempre fra me e me, è qualcosa che è generata dalla suggestione, da episodi di vita che ci sembrano o appaiono anormali, diversi, strani e non ci sono motivazioni per cui è così. Ogni tanto mi piace riporre i miei amati libri sugli scaffali e dedicarmi completamente alla visione di un bel film. Checchè esso sia una commedia romantica o un horror ha poca importanza, ma ciò che più mi interessa è che quel film in questione mi avrebbe tenuto compagnia. Questa volta mi avrebbe raccontato la storia di una giovane donna, portata in una grande casa in compagnia del suo fidanzato con un segreto sconcertante e stupefacente che avrebbe sconvolto del tutto il suo universo personale.

Ho accolto la chiamata di questo film senza che io me ne fossi accorta. Si tratta di una parte inconscia che è in me, che così come con i libri, mi induce a leggere o vedere cose, che in un momento particolare della mia vita si rivelano adatte. Non c’è da pagare alcun dazio, alcun compenso. Mi siedo comodamente nel mio letto o nella mia poltrona preferita, e nell’immediato vengo risucchiata da un vortice di emozioni altalenanti, che prevalgono solo quando ne resto soddisfatta. Una fortuna, mi dico, ma quando si dice assecondare l’istinto… e poi non avevo niente da perdere, a curiosare nell’anima di qualcosa o qualcuno che per me era ancora sconosciuto, senza lasciarmi dietro alcun rimasuglio di ingratitudine.
Dalla finestra luminosa di un file, sul finire del mese di settembre, fu così che estrapolai l’ultima trasposizione cinematografica di un regista le cui orme ho seguito sporadicamente ma con interesse, i cui film più noti quali Insidius, The Nun, The conjuring sono davvero un cult per chi ama questa tipologia di film. E, senza credere in alcunchè, ecco che Malignant si prese possesso della mia anima, non mollandomi per un istante fin quando il suo gesto di tenermi stretta a se fu talmente palese da desiderare che non finisse più. Una donna tormentata dal suo passato e dai segreti crudeli e violenti di un entità di cui non ne conosce la natura, omicidi truculenti e un po' splutter, l’amore famigliare e sentimentale che tuttavia non riesce a sollevarla da questo peso che grava sulla sua anima come quello di una condanna.


Malignant racconta la sua esperienza sballottolandoci da un posto ad un altro, da un omicidio ad un altro con un gioco di corse, momenti apparentemente piatti sciorinati con dovizia di dettagli, che giungono con una patina di normalità ma che, alla fine, ti impongono a porti quesiti su te stesso. Sulla realtà circostante, su chi siamo effettivamente. Sono quasi sempre delle tematiche che, così come in letteratura, anche in veste cinematografica si ripetono e occhieggiano ad eventi da cui se ne ritrae un materiale piuttosto vasto. Beviamo sorsi di questa medicina, questo antidoto attraverso cui dovremmo redimerci, fin quando non ci accorgiamo che non esiste una vera e propria cura. Spiegazione? Alcuna. I film horror, ho sempre pensato, espugnano quella che è la vita. Talvolta bella ma anche crudele ed egoista.
Questa ennesima bellissima trasposizione di James Wan mette addosso più curiosità che suspense, sconvolgimento anziché terrore. Una prova cinematografica, a mio avviso, ottima e ben riuscita che forse agli amanti del genere, per chi si aspetta di trasalire dalla poltrona, non piacerà, ma che approfittando della sua esistenza, della presenza di questa nuova entità non si discosta fin quando non sarà rivelata la sua natura. Una contromagia il cui potere non scomparirà tanto facilmente, e che io ho visto con un certo interesse, dividendo con questa disgraziata donna una fetta del suo triste destino.

mercoledì, ottobre 06, 2021

Le TBR: richiami dell'anima 6°

L’argomento delle TBR è un argomento piuttosto trattato in questo salotto virtuale. La morale in tutto questo è che, pur quanto cerchi di non pensarci, l’atto di programmare letture è capace di dominare i miei istinti, i miei impulsi pur di rendermi forte, avviare un percorso di lettura, proseguendolo a testa alta senza impedimenti o ostacoli. Scrivo questo perché traggo fede da una serie di progetti che confido di poter portare a termine: per qualche mese non acquisterò libri, e pur quanto mi piace avere pieno possesso di ciò che più mi piace devo pensare ad altro, a priorità più urgenti. E l’atto di acquistare compulsivamente libri deve cessare. Non per sempre, ma per un po’. Perché di libri ancora da leggere e vivere le mie librerie ne vantano un centinaio, il tempo è sempre troppo limitato e di giustificazioni per rimandare innumerevoli. Crescere vuol dire anche questo: affrontare la vita con sacrificio. E da qui i miei innumerevoli tentativi di stilare l’ennesima TBR. Il mese scorso, un progetto letterario, che è andato a buon fine, anche se di sorprese letterarie ce ne sono state. Questo mese? Beh, chi può dirlo? Come dice un antico proverbio, lo scoprirò solo vivendo.

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Titolo: Lo scarabeo d’oro e altri racconti
Autore: Edgar Allan Poe
Casa editrice: Einaudi
Prezzo: 10 €
N° di pagine: 180
Trama: Un insidioso insetto dorato, una pergamena con uno strano messaggio cifrato, un’avventurosa spedizione notturna sulle tracce del ricchissimo tesoro di capitan Kidd: sono questi gli elementi di uno dei racconti più straordinari del grande maestro del mistero.

lunedì, ottobre 04, 2021

Gocce d'inchiostro: La casa del gigante - Elizabeth McCracken

Non c’è ragione di giudicare un romanzo dalla sua copertina. Chiunque, checchè si tratti di un libro o di una persona, non dovrebbe lasciarsi influenzare dalle apparenze. Come? Non giudicando nell’immediato, ma conoscendo. Scandagliando qualunque confine del possibile. Mi rendo conto che scrivere queste poche righe potrebbe apparire ambiguo, imprecisato, specie nel giudicare un romanzo come quello che vi presento quest’oggi, e qui potete poi giudicare voi stessi se trovarlo ideale o concerne ai vostri gusti o al contrario preferite starne alla larga. Nel mio caso, la lettura di questo piccolo romanzetto fu quell’espediente per riconoscere come quando fu pubblicato questa storia mi attirò come un magnete. Lo sentì sussurrare dalla mensola di una libreria strapiena, ma il momento non era mai quello adatto. E il momento avvenne quando meno me lo sarei aspettata, semplicemente nella scoperta di me stessa e della consapevolezza del mondo più accorta e attenta. Come anche in questo caso, alla fine quel genere di lettura che mi ha tenuta compagnia per qualche giorno, e che ha allietato un periodo estremamente frenetico. Non divenendo quella certezza cui aspiravo, ma un semplice passatempo. L’autrice però ci impartisce un messaggio molto dolce, un significato che le sue pagine non riescono a nascondere così bene in cui la stessa vita è insegnante, ci aiuta a capire chi siamo e perché la conoscenza avviene in primis da noi stessi, dalle deduzioni, dalle percezioni. Chiarendo come certe questioni, specie se dettate dal cuore, non dovrebbero passare in secondo piano.




Titolo: La casa del gigante
Autore: Elizabeth McCracken
Casa editrice: Bompiani
Prezzo: 19 €
N° di pagine: 320
Trama: Cape Cod, 1950. Peggy Cort, bibliotecaria di venticinque anni, è convinta che l’amore e la vita l’abbiano messa da parte. Fino al giorno in cui James Carlson Sweatt, un ragazzino di undici anni di altezza e dimensioni smisurate che è la leggenda grottesca del paese, entra in biblioteca e le chiede un libro su come si fa a diventare maghi. Da allora la solitaria esistenza di Peggy non sarà più la stessa: dall’incrontro sboccerà un’amicizia singolare. James è l’unico che può capirla, e mentre lui cresce a dismisura anche il cuore di lei e la passione che lo alimenta diventano sempre più forti.

sabato, ottobre 02, 2021

Romanzi su misura: Settembre

Mi siedo alla scrivania e penso a come il tempo scorra inesorabile. Prosegue lungo un percorso che ci è stato indirizzato inconsapevolmente dalla nascita, e pur quanto ci sia sempre tanto da fare, tanti libri da leggere, di tempo non se ne ha mai abbastanza. È inevitabile. Pur quanto io legga, divori libri su libri, di storie non ne ho mai abbastanza. Checchè esse siano conosciute o riletture, non ha importanza. Sono capaci di soffocarmi nel suo stretto abbraccio, coinvolgermi a tal punto da indurmi a voler vivere in epoche e luoghi che disgraziatamente vivo esclusivamente nella mia testa. Allora, come se avessi stipulato un patto con Mondo mi impegno a seguire un percorso e a non voltarmi indietro lasciando che niente e nessuno mi intacchi. Ed ecco che sempre abbandonata al cuore, questo mese ho scelto di essere affiancata da cose e persone che ho messo in una specie di lista, la famosa TBR, e beh… a quanto pare l’ho rispettata ed egregiamente! Guardando l’ennesima pila libresca mi sento attratta da coloro che mi hanno incuriosita, tenuta stretta fra le loro braccia, in questo caso affidata alle sorti del nulla ma mischiata in qualcosa di molto semplice. Orgogliosa di questo ennesimo atto letterario compiuto, di cui la monotonia del giorno sfuma alla luce morente dell’estate.



Romanzi su misura in carta e inchiostro:

La sua lettura mi ha sortito l’effetto desiderato: soddisfazione. Contentezza nell’aver scandagliato i mari di questo immenso Oceano, visto con i miei stessi occhi questo fantomatico cetaceo, senza tante cerimonie affermato anche io la mia presenza, il mio esserci fra le sue pagine. Così potente e immenso che in un certo senso mi ha resa potente, onorata di avervi soggiornato per una manciata di giorni.

Valutazione d’inchiostro: 4




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