Sono i classici il mio mondo? Nella spinta irrequieta e improvvisa verso un’idea tutta materiale di libertà individuale, in cui il respiro di autori sostanzialmente morti si unisce al mio, ho sempre visto i classici come un mondo bellissimo e segreto che non coinvolge nè concerne chiunque. Ho avuto timore anche io, lo confesso, tanti anni fa, quando di questa tipologia di testi non volevo nemmeno sentir parlare. Eliminando ogni occasione, ogni opportunità per accrescere il mio desiderio di entrarvi, restarci, mediante la poesia, la bellezza di una storia che vibra non solo di simbolismi ma di vita. Ritratto della stessa.
Titolo: Jean Santeuil
Autore: Marcel Proust
Casa editrice: Edizioni Theoria
Prezzo: 20 €
N° di pagine: 801
Trama: Apparso in Francia nel 1952 (a trent'anni dalla morte dell'autore), grazie al ritrovamento del manoscritto, Jean Santeuil è il primo romanzo, rimasto incompiuto, del più grande narratore del Novecento: Marcel Proust. Scritto a partire dal 1895, è stato considerato, a parere della critica, il miglior documento per comprendere le ragioni primordiali di quella che diventerà poi l'opera per eccellenza: Alla ricerca del tempo perduto. Ma Jean Santeuil è anche un romanzo autonomo - disseminato di elementi autobiografici che molto ci fanno scoprire della vita del giovane Marcel -, con tutte le qualità che attribuiamo ai libri di uno scrittore di grande talento: stile unico e inconfondibile; capacità di costruzione; visione del mondo. Dopo la traduzione di Franco Fortini, in Italia il romanzo è stato colpevolmente dimenticato. Ora, finalmente, grazie a questa nuova traduzione, firmata da Salvatore Santarelli, possiamo tornare a leggere una delle opere più originali della storia del romanzo moderno. Da Proust, dalla lettura di ogni sua pagina, non si può prescindere. Egli è uno di quei rarissimi scrittori capaci di modificare la nostra stessa sensibilità.
La recensione:
Probabilmente i nostri amori successivi sono anche meno sinceri perché conosciamo meglio la vita e cerchiamo più egoisticamente la felicità.
La nascita di questo piccolo grande uomo l’ho vista realizzarsi nel corso della mia permanenza a Babet, e, ora che mi guardo indietro, mi pesa aver letto e divorato tutto questo, nel giro di undici mesi, allora entusiasticamente, il mio contributo a dover mettere il punto finale. Quando di Jean Santeuil non ne sapevo nemmeno l’esistenza, nè tantomeno di Babet, ero una novellina che era un pò intimorita di una simile autorevolezza, ad un classico di tutto rispetto sperticato così tante lodi che il suo processo di lettura potesse rivelarsi impensabile, incomprensibile.
Ma io sono sempre stata un’anima coraggiosa, determinata e testarda che non ha mai amato perdere. Non ha mai amato non provarci, quanto arrendersi senza alcuna possibilità. E quando giunse questo momento, quel momento tanto atteso, fu lentamente, quasi come un percorso di studi che richiede tempo e concentrazione da cui dipenderà un certo rendimento scolastico o universitario che, non volendo leggere solo per vantarmi - cosa che non accade mai -, dovetti prendere consapevolezza che sarebbe stata una di quelle letture che avrei dovuto alternare ad altre e da centellinare lentamente come un buon vino. Dove di buono, anzi di meraviglioso, c’era che questa volta trattasi della genesi alla Recherche, romanzo che non conoscevo affatto, e che io sto battezzando solo adesso, dopo qualche tempo di distanza dalla sua lettura.
Eppure questo battesimo, questo rito mi piace perchè, scrivendo, vengono a galla alcuni momenti, alcuni sprazzi di gioie della mia vita vissuta in sua compagnia e il suo intercedere sul mondo. Il mio mondo che per marcare il mio << starci >>, dovetti affidarmi alla pazienza dei posteri. Il vento dei tempi continuava a tirare. Di libri da leggere ne ho letto e ne leggo sempre tanti, a volte uno per volta, altri due insieme, ma a Jean Santeuil dovevo dare una mano a costruire quella piccola cittadella del suo cuore che lentamente stava per essere eretta. Come? Non lasciandolo solo nemmeno per un istante.
In immagini lontane, remote che trovano sfogo nel ricordo di attimi di vita passata in cui le cose sono in continuo mutamento, emanano una certa luce alimentata dalla poesia che, albergando nel fondo del suo cuore, avrebbe equivalso da addomesticare ogni tristezza o forma di rammarico. La memoria si sarebbe sposata col tempo e il ricordo in cui sono presenti pagine e pagine di poesia. E il paesaggio ritratto aveva a che fare con una gioia incredibile, con una pace atipica del cuore in cui i personaggi sono immersi in un regno segreto e beato in cui esistono tante cose. La sua bellezza coincide con i sentimenti umani, come se si osservasse dal fondo di un atrio gotico. Misura di tutto il resto di cui la letteratura è linfa nonché filo conduttore di essenza, di un Tempo distruttore che contempla il potere dell’alterazione che lo sottrae a un rischio terribile, quello cioè di vedersi sottratto il tempo di scrivere.
In Francia, ho respirato quel vento di mutamento che aveva appena cominciato a soffiare, specie in una campagna dove visse un uomo che fece di giornate essenzialmente tediose, frutto di ricerche, la nascita di un’opera che sicuramente i posteri ricorderanno, in cui la scrittura fu parte importantissima della sua vita. Un uomo di nobili origini che fu come avvolto da un’illuminazione e il cui spirito dovette sorvolare sul resto quanto posando lo sguardo sulle cose più recondite, poiché la scrittura avrebbe potuto essere veritiera gradualmente, suscitando l’ebbrezza degli uomini di espiare tardi le proprie colpe con la sopravvivenza e la sofferenza di chi tenta di sopravvivere. Da qui è stato possibile riconoscere come quell’intelligenza curiosa di cui fu sempre dotato, questa nobiltà di carattere riabilitava e trasmetteva umili gioie in cui il battesimo dell’innocenza era coercitivo a quello della vita. Ed io non ho potuto fare a meno di assistere a tutto questo, con ammirazione, fascino, osservare come il piccolo Jean, alter ego dell’autore, era immerso nella verità della natura preservando nella stessa il potere che gli uomini avrebbero esercitato su di lui.
Amante di Balzac poiché non coinvolse nella sua arte quanto nell’afferrare un mucchio di brutte cose proprio come la vita che li rassomiglia, la natura era la sua unica custode. Unica guida che mediante i ricordi sarebbe stato possibile scovare la verità. E l’arte, quella manifestazione più alta di quanto potesse esistere, poiché dice l’indicibile mostrando la vera essenza delle cose. Il mondo non è realtà oggettiva quanto riflesso del nostro intelletto, rappresentazione soggettiva o derivazione della nostra volontà, e Jean definisce ed afferra ogni cosa, persino ciò che sembra inafferrabile, riflessioni di una creatura che evade dallo spazio nella speranza che lo spazio in cui aleggia coincide con i ricordi della sua infanzia. Quei demoni che si dibattono o si generano da un pozzo di tristezza da cui nulla può tirarlo fuori, quanto l’idea stessa causa del suo male.
Particolarmente distinto fra i nobili di primo livello e quelli di secondo, facilmente riconoscibile da una specie di grazia morale che sarebbe emanazione della stessa purezza. Tutti quei giovani rappresentano la giustizia sociale, l’uguaglianza poetica, l’intelligenza, la bellezza morale ma il cui cuore nasconde l’aspirazione egoistica non sufficientemente intelligente a cogliere il sofismo di certe parole. Spinto o mosso da sentimenti di giustizia mediante cui l’ispirazione diviene movente di grandezza.
L’amore fluttua e invecchia prima del tempo trascorso, Il suo cuore divine scrigno di tanti segreti della sua vita a cui assaporò il tranquillo incanto delle cose, l’innocenza silenziosa di una figura oramai prossima alla morte. Ed il sentimento di cui saremo fagocitati non sarà più confuso nella sua bellezza quanto rinvigorito dalla sua grandezza con il potere di ispirare il desiderio dell’amore e il sentimento della sua tristezza con l’impronta di soddisfarlo. Lo snobismo, i pregiudizi comportano a delle preoccupazioni davanti alla carta, a imprigionare il pensiero poiché ancora inconsapevole di verità universali che solo l’arte avrebbe modellato, la vita avrebbe fatto splendere, vibrato di potenza.
Jean Santeuil fu un abbozzo a un racconto paragonabile dell’esperienza finale del Tempo ritrovato. In queste pagine, è possibile riconoscere il piacere di un ricordo spontaneo quanto trasmutazione dello stesso in una realtà sentita, spettatore dinanzi a qualcosa di molto importante. Una comunicazione che non è quella del presente o del passato ma il sorgere dell’immaginazione nel cui campo si collocano l’una e l’altro. Scrivendo si traccia l'inspirazione e l'ispirazione è una gioia della reminiscenza che coglie l’essenza della vita cercando di renderci sensibili. Dipingendo la vita, certi suoi istanti come ritratti da poter distinguerli dal capolavoro della Recherche, ricco di stroncature che rincorrono a una concezione frammentaria il cui vuoto non prende figura ma resta vuoto, ma la Recherche colmerà questo vuoto come pienezza. E per mezzo della discontinuità data dalla continuità più densa, l’opera rappresenta ciò che è più discontinuo, l’intermittenza di certi istanti. Perchè se l’autore lo avesse concluso, Proust si sarebbe perso, la sua opera sarebbe stata a dir poco impossibile e il Tempo smarrito definitivamente.
Ciò che si può definire reale in letteratura è il risultato di un lavoro spirituale, una specie di scoperta attraverso cui il valore della letteratura non si trova oggetto della memoria o nella materia che si svolge dinanzi allo scrittore ma nella natura del lavoro che il suo spirito compie. Il mondo esterno non deve e non può tenere conto delle leggi perché si crede a un cambio di regime.
Conoscere l’universo ha equivalso a conoscere la propria identità sin dalla giovane età, avvertendo così una grande intensità nell’essenza delle cose ma che non si possono osservare, guardare a occhio nudo se non scrutando se stessi. Eppure è l’ispirazione a donare gioia. E’ la realtà che si scontra col presente che riconduce a momenti in cui la memoria volontaria induce ad affannarsi a scrivere la vita. E Jean Santeuil, pur quanto sia rimasto incompleto, dona una visione splendida, poiché rappresenta quella specie di attesa del mondo ancora sconosciuto in cui la Recherche realizzerà in una sorta di presa di possesso della vita, del tempo e dell’amore.
Perché la vita fa in modo di addolcire i nostri mali al fine di renderci tollerabili. Ma l’immaginazione ci presenta i mali degli altri in tutta la loro intima desolazione, senza mostrarci nulla di ciò che li rende così insignificanti o addirittura dolci.
Valutazione d’inchiostro: 4 e mezzo
Non conosco, ottima recensione, grazie
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