Mi chiesi, se l’entusiasmo che nutrii sin dal principio, successivamente si sarebbe affievolito. Non mi reputo quel genere di lettrice pessimista, quanto quel genere di persona che vede sempre il bicchiere mezzo pieno, e, qualunque aspetto della vita, contornato di luce e colori. Quando leggo, infatti, cado in una specie di trance, uno stato privo di coscienza che in un modo o nell’altro risucchiano non solo lo spirito ma anche il corpo. Ti trascinano in luoghi o strade che forse non percorrerò mai, se non nel mondo dei sogni, e quando prevale qualcosa che stona con il mio spirito divento diffidente. Come una creatura alata, mi discosto da ogni cosa, finchè non trovo il bandolo della matassa. Eppure, questo bandolo, all'inizio, fu ben nascosto, da quando feci il primo passo per entrare fui risucchiata in un'atmosfera fumosa, opprimente e ammantata in cui mi ero sentita a mio agio; anche successivamente è stato così, ma i passi successivi furono diversi da quel che credevo, non conducendomi dritto dritto l’insoddisfazione quanto uno stato di lietezza.
Titolo: L’emporio dei piccoli miracoli
Autore: Keigo HIgashino
Casa editrice: Sperlyng & Kupfker
Prezzo: 10, 90€
N° di pagine: 352
Trama: Tre giovani ladri un po' pasticcioni, in fuga dopo un furto, si nascondono nel vecchio Emporio Namiya. Nel cuore della notte, però, una lettera viene infilata sotto la serranda abbassata del negozio abbandonato. È una richiesta di aiuto, indirizzata all'anziano proprietario, un tempo celebre perché dispensava massime di saggezza e consigli di vita. I tre, così, decidono di fare le sue veci e depositano una risposta scritta fuori dalla porta. Dopo qualche istante giunge la replica, incredibilmente inviata da qualcuno che vive trent'anni prima, nel 1979... Da quel momento, le lettere si moltiplicano e i tre ladri, coinvolti in quella bizzarra macchina del tempo, proveranno con le loro risposte a cambiare, in meglio, il passato dei mittenti.
La recensione:
Chiudendo la porta della mia stanza su un mondo, per qualche sera, ho guardato un emporio fatiscente spuntare come un puntino su una strada con pochi abitanti e sulla mia destra la doppia fila di case dai colori sgargianti e i tetti verniciati di rosso, appoggiati l'uno all'altra come a serbare un abbraccio, così silenzioso e quasi invisibile da offrire allo sguardo lo sfavillante spettacolo di una magia nascosta.
Uno stranissimo posto: su una strada poco affollata rivolta in una parallela del centro della città, un'insegna poco appariscente, in mezzo a donne e uomini ignari della sua presenza, con un velo di misteriosa magia che aleggia tutt'intorno. Il ricordare e il dimenticare, la luce e l'ombra, il suono e il silenzio; piccole, grandi metafore dei due opposti che fanno un'unica cosa. Un'armonia che è presente nei contrasti. Perché questo piccolo luogo in cui si dipanano le vicende di L’emporio dei piccoli miracoli ha qualcosa di questo contrasto, ma solo in parte. E solo chi ci entra e riesce a coglierne, anche solo in minima parte, la sua piccola essenza, i detriti trascurati di una vita lontana, passata e rumorosi, nelle stanze remote di una vecchia coscienza che brucia al presente come avidi fuochi, si fonde con personaggi le cui radici nascoste nella storia delle loro vite formerà quel lungo cordone che alla fine li lega. Quando si tratta di ricordare parlarne è sempre un'ardua impresa, tranne quando a rievocare sono amici di penna che, la corrente sinuosa del tempo, deposita sulla nostra strada come sabbia fine. In quel momento niente ha più importanza. Ripescare memorie sbiadite di una vita lontana è quasi una liberazione.
E' così, da quando tre giovani ladri un po' pasticcioni, in fuga dopo un furto, si nascondono nel vecchio Emporio Namiya, le cui vite si consumano lentamente, certi di non poter fare più niente. Se non le certezze che scandagliano il loro passato, il loro presente ma non il loro futuro, unica isola in cui si sentono al sicuro.. E per questo andare avanti, far finta di niente, sembra qualcosa di assolutamente impossibile, appartenere a una diversa realtà, a un'altra dimensione.
Leggere storie di questo tipo a volte mi fa prendere consapevolezza delle straordinarie capacità dei ricordi. Per me, lettrice, è facile identificarmi con una realtà che considero come semplice e mera finzione. Ma questa finzione è anche la realtà che hanno come ideale di vita gli individui, penso, e anch'io spesso sono presa da questo strano fervore di vita che in sé non ha alcun fondamento logico.
Questo è successo tra le pagine di questo romanzo che, osservando un semplice dettaglio, una foto piegata e sporca, è stata colpita dall'insieme di quel dettaglio per molti insignificante. Nell'immensa commedia della vita, invisibili e visibili in miliardi di pianeti diversi, con un po' di diffidenza, mi sono avvicinata a questa storia credendo che la sua anima potesse aderire al mio corpo come un impermeabile. Silenziosa, sorpresa di percorrere i meandri della loro memoria. Vagando per ore e ore come un fantasma.
Ma l’emozioni, sopratutto quelle represse, erano rimaste ancora ai bordi, il dolore miseramente celato da un sorriso di circostanza che, come un'indescrivibile sensazione di malessere, mostrava la sua identità, celata sotto le mentite spoglie della disinvoltura. Nell’insieme, una storia che tenta di tracciare un segno e poi di cancellarlo furiosamente, che rivela ben poco, poveri di vita di cui il lettore non sa cosa farsene, inducendolo a restare impassibile.
Un'eco, un sussurro, che aveva reclamato la mia attenzione, spazzando via la storia della mia vita.
Una storia che parla di vita, speranza, gente comune. Passeggero, come un improvviso acquazzone, con un filo di drammaticità, che si camuffa tra i dolorosi ricordi di anime inquiete e tormentate timorose dell'ignoto.
Valutazione d’inchiostro: 3+
Peccato il voto basso, sembrava interessante; grazie della recensione
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