venerdì, marzo 29, 2024

Gocce d'inchiostro: La preda e David Golder - Irène Némirovsky

Il concetto di ambizione mi ha da sempre affascinata, spingendomi ad avanzare a testa alta. Fino adesso ho sempre vissuto combattendo a testa alta tutte le situazioni che avrebbero implicato da parte mia l’assunzione di diversi impegni e doveri da rispettare. Lavoro con dedizione, libera e serena, senza lasciarmi coinvolgere dalle implicazioni dei rapporti umani, evitando il più possibile di essere vincolato da regole e rifuggendo ogni dinamica basata sul dare – avere: ero questo lo stile di vita che continuo da qualche anno, e per raggiungere i miei scopi, sono sempre stata in grado di sopportare una buona dose di inconvenienti.

Per sfuggire alla monotonia generale che solitamente sorge da questo tipo di letture, nell’ultima settimana, ho concluso la lettura di due romanzi di una delle mie autrici preferite nel quale è evidente un certo talento a piccole dosi. La Nèmirovskij si astiene dall’esprimere opinioni personali, evitando di apparire in primo piano, rendendosi più trasparente del solito. Fin da piccola si era ritrovata nella situazione tale per la quale dovette sopravvivere facendo affidamente esclusivamente sulle proprie forze, senza dipendere da nessuno. Ma nel 1933 gli obiettivi erano alquanto differenti, e per non trascinarsi via, bisognava nascondersi nell’ombra aggrappandosi a qualunque cosa.

Si può dire che in questi due romanzi, altri tasselli che compongono il puzzle produttivo e letterario dell’autrice, le cose ai suoi figli di carta non sono andate propriamente bene. Sempre in preda ad attacchi violenti di responsabilità superfle o importanti. Hanno rinunciato alla carriera, ad un futuro prospero, che garantisse una discreta autonomia, trovato anime che li amassero e rispettassero con dovere e giudizio.

Questo duplice post, esplica la recensione di due romanzi che su Sogni d’inchiostro non avevano ancora visto la luce. E, devo dire, inutilmente. Letture in cui è difficile non poter vivere senza alcuna particolare preoccupazione, con un carosello di relazioni basate esclusivamente sull’amore, sia fisico sia morale. Entrambi bellissimi e indimenticabili, entrambi soffocati e prigionieri di una realtà opprimente e stabilizzante, che prepotentemente mi hanno trascinata in progetti che mi hanno scosso e coinvolto sul piano personale.


Titolo: La preda

Autore: Irène Nèmirovsky

Casa editrice: Adelphi

Prezzo: 10 €

N° di pagine: 212

Trama: << Un Julien Sorel all’epoca della crisi >>: così venne presentato, alla sua comparsa nelle librerie francesi, il protagonista di questo romanzo. Come l’eroe di Stendhal, Jean Luc Daguerne non ha che un desiderio: << afferrare il mondo a piene mani >>, di mentire, di adulare, di fare il doppio gioco, e persino di tradire il suo unico vero amico. Finchè scoprirà che il patto faustiano non è che una beffa: << Il successo, quando è lontano, ha la bellezza di un sogno, ma non appena si trasferisce su un piano di realtà appare sordido e meschino >>.

La recensione:




La libertà ha valore solo se sospirata, desiderata ardentemente, ma così offerta in regalo, ha altri nomi: abbandono, solitudine …



Alcuni giorni dopo da una lettura nèmirovskiana e un romanzo di narrativa contemporanea, fui invitata a visitare un posto bellissimo ancora lontano dalla morsa hitleriana francese, ma mi trovai comunque di fronte allo stesso spettacolo visto in altri romanzi dell’autrice precedentemente pubblicati. Non si trattò di una di quelle tipiche visite guidate: come un ospite, fui lasciata libera di visitare, senza alcuna scorta o sforzo sovrumano, i luoghi di interesse, particolarmente con chi sarebbe stato al centro dei miei pensieri, e scrivere e riferire ciò che mi ha attanagliato e riportato come meglio mi aggrava. L’unico elemento comune, fra questa opera e quelle recentemente lette, alla fine consistette nel salvaguardare l’interezza delle loro anime, prendendo delle misure che mi hanno letteralmente conquistato e sbalordita. Alcune tematiche, parecchie care all’autrice, risposero alle mie esigenze, spiegando la storia, le dottrine e il metodo gestionale. Il modo per cui è stata raccontata La preda è stato particolarmente gentile e franco, completamente privo di quel tono propagandistico che tanto spesso si trova in letteratura. Più che “gridare” alla società ciò che ci impedisce di essere completamente liberi, i romanzi nèmirovskiani ci inducono a riflettere e comprendere i motivi per cui i suoi romanzi, lei stessa, fu conquistata da certe ideologie. La differenza sta nel modo per come l’autrice descrive: riflessioni intimistiche, morali, sensibili ed emotivamente forti che agognano una libertà senza limiti. Sfuggire dalla monotonia, volgendo le spalle ad un mondo così oppressivo e soffocante, sospeso come una sorta di momento idilliaco.

Eppure, ciò che amo profondamente dell’autrice è il suo << non tirarsi mai indietro, nemmeno quando tutto sembrava perduto >>. Gli individui non si muovono mediante dottrine esatte, né hanno bisogno di manuali di regole codificate che ci facciano comprendere ciò che li circonda. Se poi si ha la certezza di poter condividerle con una persona cara, che si ama profondamente e con cui si desidera trascorrere il resto della propria vita, dimenticando quel tempo in cui tutto era lento, noioso, monotono, un covo da cui rifugiarsi è certamente una prospettiva alquanto allettante per nascondersi dalle stesse tenebre, dal trambusto di un mondo che possa donarci conforto e oblio. Il coraggio e l’orgoglio dovrebbero spronarci a rendere queste fantasticherie reali, ma cosa fare quando non c’è niente che ci soddisfa o aggrava come desideriamo?

Scritto con autentico lirismo, una parsimonia nei dettagli e nello scandagliare i sentimenti umani, La preda ci rivela come di disagi morali e fisici l’uomo spesso incorre nel salvaguardare la sua esistenza. Sebbene di disagi non ne mancano, e il titolo è un riferimento silenzioso e discreto nel farci un’idea chiara sulla vita stessa dell’autrice tant’è che il suo Jean Luc Daguerne mi è sembrato di toccarlo. E l’autrice è stata piuttosto brava a non inserire qualcosa che molti avrebbero potuto definire irrilevanti, in cui è possibile cogliere una certa drammaticità che sedimenta nell’animo, ma una certa serenità e tranquillità spirituale che non scorgevo da qualche tempo. E l’autrice, la sua vita, il suo sentirsi viva da morta, così netta e onnipresente c’è ne ben poca.  A tal proposito ho letto questo romanzo con destabilizzazione, una certa malinconia, una certa nostalgia del passato. Jean Luc Dague, il protagonista, è l’incarnazione perfetta di due dogmi temporali – passato e presente – che lontani da un’idea di scompiglio o repressione si aggrappano a speranze o illusioni che dissolti nella nebbia sono ombre effimere inconstistenti privi di sangue e sostanze. Si tratta di un mondo immaginario in cui l’autrice fu padrona e regina, sovrana di una città completamente disintegrata, sprofondata lentamente, in mezzo a città di fumo e nebbia che ritornano dal nulla, in un caos cosmico che ha spezzato via ogni cosa. Le immagini di tutto questo mi rimasero così impresse che, per quanto ascoltavo, mi feci contagiare dalle sue ansie e dalle sue paure, così impossibilitato a sfuggire allo sguardo cavo e minaccioso di un disegno divino crudele ed egoista.  Come ottenere le proprie ambizioni?

Irène Nèmirovsky si interroga sul significato nascosto che celano queste parole, dando vita dal nulla un sogno di sangue, gloria, pianti, sorrisi che ha tenuto chiunque immobili, incollati alle pagine di una storia che è lo squarcio di vita dell’autrice. Un piccolo universo raccolto e gentile, che in un brusco istante si è raccolto attorno a me. Jean Luc Dague era un ragazzo attanagliato da un passato turbolento e drammatico che, quando cominciò a parlare, sembrava attingesse da un pozzo di forza non intaccato dall’età o dal passato. La mancanza d’affetto, le poche cure e attenzioni, riservate invece ad una donna che avrebbe dovuto fargli incorrere la felicità, indebolirono la sua anima drasticamente. E da qui, il suo ruolo di pedina di una scacchiersa le cui vicende, così colorate, sofisticate, intime e progressiste adornano un’anima arida, quasi intoccabile. Opera da cui è trasparita un non so che di magico, riservato, fine, triste, diverso che lasciano un certo spazio alle vicissitudini di un giovane curioso ma infelice.

Un marasma di pensieri, vicende consegnate da lungo tempo ai più oscuri recessi della mente, che presero forma dalle crepe del suo cuore, con immagini non particolarmente importanti ma che saltano agli occhi.



Per poter dare un nome all’amore, una forma visibile, bisogna prima accoglierlo nel nostro cuore.



Valutazione d’inchiostro: 4 e mezzo

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Titolo: David Golder

Autore: Irène Nèmirovsky

Casa editrice: Adelphi

Prezzo: 11 €

N° di pagine: 183

Trama: "David Golder" è un libro che gronda odio, sopratutto verso il denaro e tutto cià che può essere trasformato in denaro, oggetti e sentimenti, e verso le forme infinite che il denaro può assumere. Oggi, non ci rendiamo conto di cosa sia stato il denaro nel diciannovesimo secolo, o nella prima parte del ventesimo: una fiamma ardententissima, una colata di sangue disseccata, sbarre d'oro sciolse e di nuovo pietrificate. Diventava eros, pensiero, sensazioni, sentimenti, fango, abisso, potere, violenza, furore, come nella Comèdie humaine ..."


La recensione:

Ho resistito alla tentazione di divorare romanzi su romanzi, quelli scritti da Irène Nèmirovsky e che già compongono gli scaffali delle mie librerie, proprio mentre stavo optando l’idea di berli tutti in una volta, partecipando meno assiduamente al proposito di divorare tutto ciò che mi circondava. Letterario mi riferisco, naturalmente. Un’inaspettato << male >>, nonché sconvolgente epidemia più grande di quel che si crede, con qualche scoppio incontenibile di anime recise, un periodo di isolamento obbligatorio mi indusse a divorare quest’ennesimo ritratto umano, politico e sociale che si presta esattamente come il suo predecessore, La preda, a guardarsi dentro e constatare come non si tratti di nient’altro che di piccoli squarci di anima che tendono la mano a chiunque. Mi compiaccio sempre immaginando questa giovane ambiziosa donna raccogliere nel palmo della sua mano piccole anime raggruppate o attanagliate da dolori o simili tormenti, senza comprendere appieno il vero significato di questo raccolto né perché previde un numero alquanto ampio di storie, e poi abbracciò me, con il cuore colmo di amore, affetto, che non potei davvero non innamorarmi di lei e di tutto ciò che si portò dentro. La situazione ritratta in David Golder, sebbene lontana dai concetti o propototipi imposti dall’amore o dall’amicizia, di cui la stessa Nèmirovsky è molto brava, era troppo seria, scrupolosa, algida ed esigeva un’attenzione in più di un semplice atto di comprensione, qualcosa di più di un semplice rapporto abituale in cui l’individuo si veste dei mali che attanagliano la sua anima fragile e debole: il raggiungimento di eroe indistruttibile, quindi Super Uomo.

La domenica in cui conobbi un uomo ricco, algido ma avaro nella cui anima sembra ardere una scintilla di cenere, mi inoltrai in un sentiero molto più insidioso di quel che credevo. Da una manciata di mesi culla di tanti deliziosi ritratti di anime appassionate ma semplici, e in una manciata di ore, prototipo di un disegno ambizioso, delicato ma importante, in cui sebbene ci si impegna a passare lo straccio sul passato, cancellare quei momenti di astio o povertà che attanagliarono il nostro fragile cuore e che lentamente trascina sempre più nel basso, non ci si sente pienamente soddisfatti nemmeno quando si raggiunge l’agognato traguardo.

Ci si può nascondere dietro una corazza di freddezza, finto perbenismo, compassione è davvero difficile dissipare il male del tempo: questa è una delle tante acute riflessioni che i romanzi nèmirovskyani propinano e da cui traggo quasi sempre ispirazione o insegnamento nel momento in cui abbraccio la vita. Senza contare le innumerevoli esperienze che devo ancora vivere, ovviamente, la quantità di esperienze a cui sarò sottoposta, ma che sono una grandissima fonte d’ispirazione da cui trarre esempio.

David Golder emerse dal passato come un immagine ben definita, con una voce rauca, aspra, uno sguardo profondo di occhi intensi, accesi ma imperscrutabili che mi trasmise un certo messaggio. Dai contorni marcati, nel suo temperamento forte e un po’ distaccato c’è stato tuttavia qualcosa di nebuloso, preoccupato, vago persino nello sguardo che involontariamente me lo aveva fatto designare come qualcuno a cui è stata strappata la felicità. Ogni rimasuglio di speranza, addirittura di vita, che vaga lungo la riva dell’assurdo. Ed infatti David Golder, non era conosciuto come la persona più altruista, gentile fra i tanti ma come qualcuno di sofferente, avaro che incorre la felicità, sebbene la clessidra del tempo si stia lentamente esaurendo. Un uomo potente, ricco, ma divorato dal rimorso, dalla cupidigia, che avanza verso nuvole evanescenti che poi fluttueranno verso il cielo.

Il congegno artificioso delle emozioni, dei ricordi, esposti quasi sempre ai venti della vita, qui sono quasi del tutto assenti, inesorabilmente predisposti sulla condizione di benessere o sopravvivenza a cui fa riferimento l’autrice. E il motivo, deduco, deriva dal fatto che talvolta il cervello produce automaticamente qualcosa di indispensabile. Ma nell’attimo in cui veniamo travolti dalla risacca disomogenea delle emozioni è davvero impossibile ignorare tutto ciò.

Ed è così che si spiega la bella storia di David Golder, che a eccezione degli altri romanzi recentemente letti, è un complesso algido che nel grande bazar della vita sprigiona la sua bellezza nella qualità anziché nella sua quantità, frammento di somiglianza con il sesso maschile con cui l’autrice fu a contatto. Dal temperamento complicato, distaccato, ma anelito ad una pace interiore mai trovata e conquistata, la sua figura evanescente deriva da un disperato patto con gli dei e le lotte inimmaginabili.

Selvaggia immersione nell’anima, tuffo di colori in un’unica tinta scura, sullo sfondo di un crepuscolo grigiastro, in una Parigi un po’ vuota e un po’ stantia, romanzo che dà la sensazione perenne di essere soli nell’universo, sfamato da una miriade di parole, scaldato da un'unica luce al mondo. Quella che tuttavia David Golder non vedrà mai. Mai più.

Valutazione d’inchiostro: 4

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