sabato, luglio 25, 2020

Gocce d'inchiostro: I falò d'autunno - Irène Némirovsky

È difficile credere che un romanzo apparentemente semplice, appassionato, realistico ed estremamente drammatico come questo abbia tentato di cercarsi continuamente. Perdersi e poi ritrovarsi, ma è quello che sembra. C’è una storia meravigliosa dietro I falò d’autunno che non dimenticherò tanto facilmente, e che a quanto si dice è un tassello mancante dell’altrettanto magnifico I doni della vita. Quest’ultimo letto e recensito ad inizio anno, nel fervore di un periodo destabilizzante e tragico, che tuttavia sentì come mio. Fra gruppi di donne furbe e sveglie come cornacchie da aver conferito esattamente l’idea di portare sulle spalle fardelli fin troppo pesanti per le loro fragili e stanche membra, tennero nel loro grembo gruppi di uomini che si vedono annientati, schiacciati dal fragore di una delle Grandi Guerre, consapevole del macchinoso e crudele destino riservatogli. Ed è stato proprio per << causa >> loro, che intere famiglie, matrone, mogli ansiose e severe si sono viste incastrate in faccende orripilanti, sacrileghe, drammatiche, qualcuna che ha persino toccato la morte, che prima di allora mai avrebbero creduto di dover tenere conto a simili preoccupazioni. Le ho viste stringersi le une dalle altre, come una miscela compatta e disomogenea che alla fine potranno spiccare il volo.
Eppure leggere questo romanzo non è stato semplice; mi ha conferito sensazioni bellissime ma altalenanti, che tuttavia mi hanno schiacciato col loro peso in una condizione di pura e semplice impasse, che mi ha vista appollaiata sulla mia poltrona preferita curiosa e intrepida a poter vedere come i figli di carta nèmirovskiani avrebbero potuto prendere il volo. Non così lontano da non poter tornare indietro, ma nel bel mezzo di un disastro cosmico che li allontanerà definitivamente dall'annientamento.
Titolo: I falò d’autunno
Autore: Irène Nèmirovsky
Casa editrice: Adelphi
Prezzo: 11 €
N° di pagine: 280
Trama: Come molti altri della sua generazione, dalle atrocità della Grande Guerra il << piccolo eroe >> Bernard Jacquelain è stato trasformato in un << lupo >> avido di piaceri e di denaro, cinico e disincantato, e unicamente attratto dal mondo luccicante dei faccendieri, degli affaristi, dei politici corrotti. A niente servirà la presenza dolcissima della giovane moglie: lui ha voglia di avventure, e di quella mediocre vita piccolo borghese non sa che farsene. Ma il fuoco di molti incendi verrà a devastare i campi della sua vita: un amore sordido, una dèbacle finanziaria, un’altra guerra, un lutto atroce. Solo allora Bernard capirà che cosa vuole davvero – e saprà che da quel cumulo di ceneri può nascere una vita nuova.


La recensione:

Che cos’è la Gloria? È essere amato dal maggior numero di persone possibile … non solo dai genitori e dagli amici, ma anche dagli sconosciuti. E anch’io sarò felice di morire per loro.

L’eterna lotta del Bene e del Male. L’attacco furibondo della libertà di gruppi di ebrei, soldati imberbi o maturi, doviziosi e ambiziosi ad ottenere quel tipo di libertà che lascia tante vite alle spalle: ritorsioni al popolino soppresso dal Terzo Reich. E nel bel mezzo di questo caos cosmico, un apocalisse che annienta ogni cosa, persino le nostre fragili membra, le dolci parole della Nèmirovsky giunsero al mio orecchio evocando un mondo sospeso, sorpreso, annientato dal dramma e dalla miseria, rispettoso e doveroso ma tenuti a vivere come il personaggio di una tragedia.
Perché fra le pagine de I falò d’autunno non c’è un briciolo, alcun rimasuglio di speranza. Perché gli uomini, in questo romanzo, sono stati crudeli. Attanagliati dal senso di colpa, dal sacrificio, dall’idea di prestigio che esercitavano sui più deboli, morti accidentalmente o per puro e vero sadismo. Perché erano ebrei. Erano gente appartenente al popolino, vulnerabile e fastidioso come un sassolino nella scarpa.
Che crudeltà! Quanto dovette soffrire Irène Nèmirovsky, quando scrisse questo romanzo. L’eco di parole che sono state rovesciate nel torrente di un fiume ha risuonato nelle stanze polverose della mia anima con fervore e solennità. È bastato vedere dove mi trovavo, chi mi circondava, udire il frastuono dei carri armati, con l’aspetto di un anziana che non dovevo avere, per pensare che anche le cose convenzionali non hanno conferito il minimo sollievo. Non il semplice fatto di aver riportato un quadro prettamente realistico, disumano, crudele di un frammento di storia che analizza ogni minimo particolare. Manifestazioni multiforme di vita, che sono state rievocate con un forte lirismo, un certo sentimento, con tutta l’attenzione prestata allo sviluppo della ragione e della mente e della comprensione e della fantasia. E dello scetticismo, di un bene informato scetticismo. Della capacità di ragionare con la propria testa. Tanta istruzione, dinanzi al magnetismo di opere di questo calibro non serve a nulla. È l’esperienza ad isolare questo romanzo, così come altri dell’autrice, dai più infimi del genere, che ha sollevato un polverone di domande, senza scartarne una, risvegliando la potenza di uno scontro bellico che ha sbaraccato ogni cosa. E alla fine, non resterà più niente. Sarebbe stato davvero impossibile non perdersi fra queste pagine… Le vicende dettagliatamente riportate, l’amore, la separazione, la rinuncia, il dramma, la roba di un infanzia circoscritta in frammenti di vita … da dove derivano? Qual’è la loro origine? Derivano dall’esperienze vissute in prima persona dalla stessa autrice, che hanno fatto il giro del mondo. Da un vecchio continente che non nasconde tuttavia il suo fascino, nel quale ho osservato il tutto con ammaliamento e splendore.
Guardo i romanzi che ho letto e vissuto della Nèmirovsky, posti sulla mia strapiena libreria. Vorrei dirgli qualcosa. Vorrei tornare in luoghi in cui vi ero già stata. Sarebbe stato l’unico modo per non recidere in due il filo dei ricordi, l’unico appiglio per mantenere intatto quel ponte invisibile che avrebbe messo in discussione ogni cosa. I romanzi introspettivi, in particolari la letteratura ottocentesca, novecentesca, quella classica, mi hanno sempre affascinata. E l’unico modo per esserne completamente soddisfatta è tornare in posti in cui vi ho risieduto per ben tre volte le cui storie si attengono esattamente allo stesso schema originario. Posti con intere generazioni di ebrei, e forse per questo motivo i romanzi nèmirovskyani hanno la parvenza di poemi biblici di protesta. Era dunque questo il motivo per cui li amo così tanto? Beh, forse… ma sono stati i principali elementi attraverso il quale ho maturato un insano amore per la Nèmirovsky. Adesso la mia collezione è quasi completa. Ce l’ho fatta.
La sua ombra peserà nella mia coscienza per molto tempo come se ci fosse stato dato l’ordine di sciogliere o sbrigliare una matassa, tanto è stato lo slancio, il fervore, l’amore dell’autrice per la scrittura e la letteratura mai sradicati bensì intensificati maggiormente in ogni momento della sua vita.
E I falò d’autunno non fanno eccezione. Ne viene esonerato dagli altri romanzi letti recentemente, che mi hanno condannata a condurre un esistenza vana, che si abbattè sulla mia coscienza come un gigantesco cataclisma. Guidata dalla voce suadente di una graziosa e raffinata letterata francese la cui vita fu smorzata brevemente. Lei e le sue storie mi affascinano tantissimo, e leggere i suoi romanzi è come osservare meglio il mondo, criticarlo o giudicarlo nella sua vera essenza.
Indugio ancora nell’attesa di percepire qualche suggerimento spirituale: sapevo che qualunque intenzione, conclusasi in un pomeriggio, non si sarebbe dileguata nella luce morente del giorno, ma avrebbe avuto la stessa validità di un’intenzione scaturita sul da farsi da un impulso repentino indetto dal cuore. Così ho contemplato l’idea di leggere I falò d’autunno, come un moto violento e indecoroso, colma di passione che mi ha reso curiosa e bruciante fin sopra le ossa. Specchio dei miei desideri, nonché diario di bordo di spettacoli orribili, ripugnanti che mi ha tuttavia ammaliata, incastrata nelle sue tenaglie. Così spietato, imprescindibile e crudele che ha avvelenato chiunque.
Così come ne I doni della vita, anche in questo romanzo vi ho scorto la fine di ogni cosa. La nascita di una dinastia che giorno dopo giorno si avvia sempre più alla miseria, al lastrico, episodi, sogni che coincidono con quello di condivisione e unione dell’autrice. Tutto era distruzione, annientamento, sofferenza. Quanto rancore, rinunce, allontanamenti, separazioni! La sua autrice ha conosciuto il significato intrinseco di sogni fatti esclusivamente di sangue, paura, gloria, pianti e sorrisi, le cui opere sembrano quasi intime. Progressiste, confidenziali, estremamente reattivi e introspettivi da cui ho potuto vedere tante cose, pallidi riflessi di ciò che sono stati per l’autrice i suoi più intimi segreti.

Non si transige, non si scende a patti con il dovere. Non ci si offre a metà. Si dà tutto, la vita, il lavoro, tutto ciò che si ama.

Valutazione d’inchiostro: 4 e mezzo

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