giovedì, ottobre 19, 2023

Gocce d'inchiostro: Città sola - Olivia Laing

Il cielo è l’unico spettatore della nostra vita. Non ho mai dato peso al giudizio altrui, ho sempre proseguito lungo la mia strada, a testa alta, senza dover dare poi un certo riscontro. E tutt’ora, alla veneranda età di trent’un anni, proseguo imperterrita verso questa strada. Ma, capitano momenti in cui, mi trovo a dover svoltare lungo un certo posto, un certo angolo, un certo viottolo e qualcosa cambia, qualche idea assimilata in lungo tempo sembra rovesciarsi. E non mi lascio irretire da tutto questo, quanto ne incasso il colpo riflettendoci su; perché quella determinata idea ha subito tale fascino su di me? Semplice, perché in passato mi ha fatto sentire preda di forme di disagio cui ho dovuto fare i conti per anni. Ma la maturità, le esperienze negative sono un buon slancio per comprendere il mondo circostante, comprendersi, capire come tutti noi abbiamo vissuto certi momenti e che in un modo o nell’altro ne siamo usciti diversi. Mutati ma completamente fuori.
Nessuno può spiegare, quando ci si è sentiti davvero soli. Anche io, che caratterialmente non amo mettermi in mostra, stare un po' più sulle mie, circondarmi di gente ma non ripetutamente affinché invadano i miei spazi, nel mio percorso di crescita ho passato ore oscure che sono poi evaporate nel disagio e nell’impossibilità di relazionarmi col prossimo. La migliore cura, lo confesso, è stato il mondo del lavoro, che mi ha colta così immatura e genuina e mi ha trasformata nella persona che sono oggi. Questa lunga riflessione personale per dire, che quello ritratto in questo saggio è molto più di quel che si crede. Molto più di un testo che parla di solitudine quanto una storia che non mi ha fatto sentire sola né mi ha aiutato a capirmi quanto essere solidale col prossimo, e, soprattutto, con la sua autrice.

Titolo: Città sola
Autore: Olivia Laing
Casa editrice: Il Saggiatore
Prezzo: 24 €
N° di pagine: 292
Trama: Bisogna aver toccato l'abisso per saperlo raccontare. Per descrivere il vuoto avvolgente di una ferita che diventa uno stigma o l'angosciante cantilena che rimbomba in una casa di cui si è da sempre l'unico inquilino. Per restituire con la sola forza della voce certi angoli della metropoli, dove la suburra si fa rifugio e l'esclusione sollievo; per dire il loro improvviso, tragico trasformarsi da giardino delle delizie in inferno musicale. Olivia Laing rompe le pareti dell'ordinario e edifica all'interno della New York reale una seconda città, fatta di buio e silenzio: un'onirica capitale della solitudine, cresciuta nelle zone d'ombra lasciate dalle mille luci della Grande Mela e attraversata ogni giorno dalle storie di milioni di abitanti senza voce. Un luogo in cui coabitano le esperienze universali di isolamento e i traumi privati di personaggi come Andy Warhol, Edward Hopper e David Wojnarowicz; in cui ogni narrazione è allo stesso tempo evocazione e confessione. Quella tracciata da Olivia Laing è una visionaria mappa per immagini del labirinto dell'alienazione. Un flusso narrativo che investe le strade di New York e nel quale si mescolano la morte per Aids del cantante Klaus Nomi e l'infanzia dell'autrice, cresciuta da una madre omosessuale costretta a trasferirsi di continuo per sfuggire al pregiudizio; gli esperimenti sociali di Josh Harris che anticiparono Facebook e i silenzi dell'inserviente-artista Henry Darger che dipinse decine di quadri meravigliosi e inquietanti senza mai mostrarli a nessuno; l'inconsistente interconnessione umana dell'era digitale e l'arida gentrificazione di luoghi simbolici come Times Square.

La recensione:


«La solitudine è inutile e non funzionale. Tutto è stato messo a valore dal capitalismo. Se qualcosa è inutile, non serve» 


Dall’esperienze personale di una persona, dal suo vissuto, dagli avvenimenti della sua vita delle volte ci si ritrova. Io che amo moltissimo leggere opere scritte da altri, perlopiù specchi in un cui riesco a riflettermi, mi ritrovo alla fine con mutate condizioni. Invece di fregarmene e continuare a leggere pensando che si tratti di qualcosa che effettivamente non mi appartiene, i miei pensieri poi convergono nella consapevolezza che il solo atto di pensarci è esso stesso una risposta. Come ai tempi in cui cercavo risposte, durante il periodo burrascoso dell’adolescenza, che nel bel mezzo di ragazzi e ragazze che sapevano cosa volessero o quale strada intraprendere io ero preda di dubbi e perplessità.
Dalla lettura di un saggio come questo, dalla splendida esperienza vissuta in queste pagine, ho tirato avanti la consapevolezza che quella della solitudine è una forma di estraniamento che resta impresso a lungo nella mente o nelle coscienze di chiunque. La Laing, scrittrice e giornalista, trova un’alterità ricettiva che la si comprende ma non lenisce questo forte senso di solitudine ma la estirpa completamente dalle sue radici, nonostante la società non faccia niente pur di liberarsene. Può condurre a forme straordinarie di libertà ma inonda e assorbisce il disordine o il dramma della vita di chiunque come se la parola fungesse in questi casi da agente di contagio. Forse una delle migliori cure è il sesso, nonché momento di congiunzione fra due anime in un momento specifico?
Tra le difficoltà riscontrate nella sua vita, in un momento particolare Olivia Laing, nel silenzio delle sue riflessioni, accolse la solitudine come forma nefasta, di allontanamento dalla felicità che gravò sulle sue spalle come un fardello fin troppo pesante, poiché un brusco mutamento dagli antichi splendori che si era assimilato negli anni si era aggiunta alla sua naturale avvenenza. Finché siamo in grado di vivere asserviti agli altri? Non è l’esclusione una delle migliori scappatoie verso la libertà?
Quello della solitudine è uno dei temi più diffusi in qualunque contesto lo si studi o lo si analizza e, se ci pensiamo, forma più casta che possa esserci e che ci può essere o meno, così sopportabile se è libera scelta e non una costrizione dovuta a ostracismo o emarginazione sociale. È un’esperienza che può sembrare irraggiungibile perché induce a domandarsi se siamo vivi, chi siamo in mezzo a carcasse di carne e ossa, anomalia iconoclasta che consiste nel saper distinguere e conoscere le parole e le sue conseguenze. Finché se ne ha una certa consapevolezza e si << legge >> il mondo con altri occhi, la solitudine può condurre dinanzi a esperienze personali che potrebbero recludere. Ma grazie al tempo, che ci aiuta a catalizzare ogni cosa, quasi riconducibile ad un altro se, nonché assenza di fatti inseriti in una cornice fisica e cronologica in cui la vita, come del resto quella di chiunque altro, piombandoci addosso quando meno ce lo aspettiamo. Tralasciando l’idea che l’uomo possa relazionarsi con la società, respingendo tutto ciò che è estraneo e difficile da gestire e da qui si avverte questo bisogno.
In questo saggio ho potuto rispecchiarmi tantissimo, poiché è quel canto, quella condizione individuale che si trova in una folla e che nessuno può comprendere, un’intimità corrisposta a quella fragile sensibilità che nell’universo non riceve corrispondenza. Autobiografia della stessa Laing, in cui ci si rispecchia per questo suo essersi sentita estraniata ma desiderosa di ritrovarsi. Ibrida, miscela di tante esperienze in cui è possibile riconoscere innumerevoli resoconti, viaggi e descrizioni nel profondo di indagini su diversi temi. La vicinanza, il contatto potrebbe essere utile per dissipare questo intimo isolamento di cui parlo, ma essa stessa ha apoteosi proprio in mezzo a una folla, persistendo e restituendo un simulacro di paranoica architettura che intrappolano e allo stesso tempo sono esposti nel tempo.
Chi non preferirebbe soggiornare in una stanza della propria casa, in compagnia di un buon libro, o dinanzi al televisore e stare in pace con se stessi? Perché, seppur questa è una di quelle forme valide di solitudine che si aggirano nel nostro cerchio personale senza essere riconosciuta. E New York a questo proposito funse da culla, da ponte di comunicazione in cui ci si perde e poi ci si ritrova, specchio in cui potersi riflettere. Perché questa straordinaria metropoli in cui si rischia di perdersi, attraverso squarci di vita di numerosi artisti che devo dire sono stati calibrati bene senza cadere nel didascalico e nella ripetitività sperimentano zone più elevate e più asciutte, tornado nel passato e sboccando nel presente, dirigendosi poi nel silenzio della nostra anima dove è lì che deriva ogni cosa.
Quella della solitudine può apparire come un sentiero lungo e monotono che a causa del rapido susseguirsi di eventi, del magnetismo di una società, di forme politiche che annichiliscono ogni intento di positività o purezza, raggiunge la sommità di una collina giù per il quale il sentiero della vita si snoda tortuoso e irto di ostacoli, scomparendo e riapparendo a tratti. Leggere Città sola mi ha donato una felicità imprecisata, mi ha fatta sentire meno sola di quel che pensavo, donandomi invece una serie di sensazioni straordinarie. Poiché perpetra in condizioni che favoriscono o esacerbano la solitudine in quelle persone propense a evadere dalla vita vivendola, persino nelle innumerevoli difficoltà che si riscontrano nel caos di suoni e parole che costellano il nostro mondo.
Valutazione d’inchiostro: 4

2 commenti:

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