domenica, luglio 31, 2016

Gocce d'inchiostro: Siddharta - Hermann Hesse

Sensibile, delicato, tragico, appassionato, struggente come un romantico tramonto, passionale. Terribilmente poetico, dolorosamente sentito, un romanzo che è uno specchio nello specchio. Il riflesso di ogni bellezza nascosta nel mondo che, nell'istante in cui  la sua identità è stata strappata via, ho assistito ad un lungo ed insano pellegrinaggio  brillare come una stella. Un fulgore che ha illuminato l'intero universo. L'essenza stessa della materia, la forza che lo lega allo spazio e al tempo, e che piega le leggi del cosmo.
Come il Robinson Crusoe di Defoe, imbarcandosi in un viaggio che lo porta alla scoperta della sua identità. A bordo di un'altalena che prima lo trascina sulle vette dell'esaltazione e poi lo fa affondare negli abissi della disperazione.

Titolo: Siddharta
Autore: Hermann Hesse
Casa editrice: Adelphi
Prezzo: 12 €
N° di pagine: 198
Trama: Chi è Siddharta? È uno che cerca, e cerca soprattutto di vivere la propria vita. Passa di esperienza in esperienza, dal misticismo alla sensualità, dalla meditazione filosofica alla vita degli affari, e non si ferma presso nessun maestro, non considera definitiva nessuna acquisizione, perché ciò che va cercato è il tutto,  misterioso tutto che si veste di mille colori cangianti. E alla fine quel tutto, quella ruota delle apparenze rifluirá dietro il perfetto sorriso di Siddharta che ripete il 'costante, tranquillo, fine, impenetrabile, forse benigno, forse schernevole, saggio, multirugoso sorriso di Gotama, il Buddha, quale egli stesso l'aveva visto centinaia di volte con venerazione'.
La recensione:

Nella realtà non esiste quella cosa che chiamiamo imparare. C'è soltanto un sapere che è ovunque, che è Atman, che è in me e in te e in ogni essere. E così comincio a credere: questo sapere non ha nessun peggiore nemico che il voler sapere, che l'imparare.

I sassi non se lo chiedono. Non se lo chiedono nemmeno le piante. E neppure gli animali, che per molti versi sono li esseri più vicini a noi in tutto il creato, sembrano domandarsi: <<Io ci sono? Da dove provengo?>> Un coniglio non cerca di avere un opinione di sé, un corvo non si arrovella a capire che cosa lo distingue da una mucca. Ma l'uomo? L'uomo - come ci parla Herman Hesse in Siddhartha -, l'uomo si è sempre interrogato sulla natura infruttuosa del suo essere. E da sempre è angosciato dall'incertezza della riposta.
Questa domanda penso derivi dal numero di esperienze che caratterizzano il nostro bagaglio culturale. L'uomo, come essere animale, superiore e potente, si guarda attorno, vede il mondo e fa alcune ponderazioni. La prima è che tutto ciò che vede è fuori da lui. Il mondo gli appare come indistinto, lontano a sé, come qualcosa a cui è stato costretto a separare. Infinitamente più grane di lui, si sente fiero, violato, vulnerabile come una piccola onda che, intimorito dalla vastità dell'oceano, sogna soltanto di essere un'onda più grossa, più maestoso per non essere schiacciato dalle altre onde. E in questa percezione di due entità indistinte - l'uomo come essere che vede e sente, e l'uomo come conoscitore di qualcosa a lui sconosciuto - è radicata la perpetua insoddisfazione dell'uomo. La tristezza. La solitudine.
Il mondo che lo circonda è stato messo assieme in maniera così intelligente e perfetta che non può essere stato lui l'artefice. Ma allora ci è il vero creatore? Ci dunque? E' così che si mette alla ricerca di un Creatore, in cerca di un Dio, anche di qualcosa necessariamente fuori di sé, capace di aver fatto l'intero universo, compreso a se stesso.
E' così che è stata concepita la storia di Siddharta. E' cosi che, viaggiatrice proveniente da una dimensione anni luce, ho letto la storia che Hesse si portava dentro completamente fuori al mondo di cui il romanzo è una filosofia di vita non fondata da nessuno, se non dallo stesso autore, saggezza sedimentata attraverso un certo numero di esperienze. Tanto meno ho considerato questo piccolo libriccino non tanto quanto una storia, un romanzo, ma uno strumento in cui si cerca la conoscenza di sé; la conoscenza dell' Io.
In Siddartha l'uomo finisce per restare con una limitata visione di sé, proprio perché tutto ciò che la sua coscienza percepisce è fuori dal suo Io, e perché l'uomo prende per realtà indiscutibile questa distinzione fra sé e ciò che percepisce e conosce. Esattamente come fa il protagonista di questo romanzo, che vede se stesso come qualcosa di lontano e diverso da se. Piccolo grande uomo cresciuto mentre il sole bruniva sulle sue spalle lucenti. Abile nel saper riconoscere, nella profondità del suo essere, l'Atman indistruttibile con tutta la totalità del mondo. Sommerso da un torrente di sogni e incubi, alla ricerca della fonte originaria del proprio Io, di cui è necessario impadronirsene. Tutto il resto è ricerca, errore e deviazione.
Il <<problema>> in questo romanzo sta nel modo in cui lo si percepisce, e percepirlo, capirlo a fondo è una grande soddisfazione: la soddisfazione di aver saputo leggere l'anima di un essere solo e distinto separato da tutti gli altri. In un mondo variopinto, raro, misterioso, in cui il cielo sembra fluire lentamente contro un fiume; fra enigma e magia, muovendosi agile come una figura impregnata di luce. 
Da quando il seme della scrittura ha affondato le sue radici e ha cominciato a crescere, ho compreso come alcune storie hanno bisogno di parole per essere raccontate. Se adoperate con maestria, ti fanno prigioniero, ti si attorcigliano intorno alle membra come la tela di un ragno e, se trascurate, si ammalano e muoiono ossessionandoci.
Trovarle nel momento giusto, specie se bisogna parlare di un grande classico della letteratura inglese come quello di Siddharta, è un impresa piuttosto ardua.  Osservare lo schermo completante bianco del pc e il cursore di word che continua fastidiosamente a lampeggiare, ti costringe a rimanere soggiogato al punto da non riuscire a creare nemmeno un semplice periodo e, solo alla fine, angustiata e affranta, aspetti in un miracolo. In un illuminazione. In un barlume di speranza che ti desti da questo strano stato comatoso.
Cancello frasi che non hanno senso se non per me stessa, infastidita e confusa combatto come Don Chisciotte e i suoi temibili mulini a vento. Dov'è finita l'ispirazione? Cosa me ne faccio io delle parole, se in un momento come questo sembrano un dolce scherzo della natura, inventate per fermarmi a creare un discorso logico, quando la voce nella mia testa continua a essere assordante?
Quella di Siddartha avrebbe dovuto essere una confessione, uno sfogo della mia anima sola e un po' malinconica che, fuggendo in una realtà completamente diversa da quella attuale, avrebbe potuto essere una breve pausa nel tormentare senza posa il mio spirito, effimero stordimento contro l'insoddisfazioni insensate che talvolta ci riserva la vita. Su una sfilza di figure simboliche che fanno parte di un paesaggio a cui si dà una certa importanza, quella di Hesse avrebbe dovuto spiccare maggiormente. Ma descriverne la meravigliosa e poetica essenza sarebbe a dir poco riduttivo. Avrei dovuto oltrepassare i confini di una trama complessa, elevarmi in un cielo pieno di stelle in cui persino le tenebre non riescono ad ammantare ogni cosa, assistere alla scena di un ragazzo in piedi, immobile, col cuore colmo di collera, d'incertezza, di compassione. Diventare vuota, vuota di fame, di pensieri, di vita, di sogni, di gioie e dolori, lasciandomi andare a me stessa per non cogliere più le gioie nascoste nel cuore. Mi sono sentita svuotata, completamente aperta ai miracoli, quando ogni residuo del mio Io fosse superato ed estinto. Entrando in un circolo di trasformazioni che hanno ucciso i miei sensi. Sguscino fuori in mille forme estranee.
Nonostante abbia una sua struttura, questo romanzo è un contenitore di ricordi e delicate riflessioni. Detriti trascurati dalla memoria e dal tempo, incastonati in sfere di vetro come la neve che, una volta scossi, permettono alla voce narrante di prendere vita.
Con una serie di ragionamenti che nascono dall'esperienza di se stessi e del mondo, accompagnata dalla voce gracchiante di un guru, sono stata catapultata fuori dal tempo e dallo spazio, con la coscienza di un uomo solo e distrutto che imbocca la strada del pellegrinaggio, Realtà che sta dietro alla coscienza ordinaria. Specchio che riflette un vuoto raccapricciante che fa riscontro dal terribile vuoto dell'anima di chi legge. Abbandonare il passato, avvolto come in un velo, infinitamente lontano, infinitamente superato, infinitamente indifferente, una storia che ho accolto centellinandola in ogni singola parola, tranquilla, aperta, in attesa di una qualche forma di miracolo. Semplicemente ascoltando, affondano la mia vita nel cuore del giovane protagonista, nei suoi affanni, in ogni sua ansia di sapere.

La maggior parte degli uomini sono come una foglia secca, che si libra e si rigira nell'aria e scende ondeggiando al suolo. Ma altri, pochi, sono come stelle fisse, che vanno per un loro corpo preciso, e non c'è vento che li tocchi, hanno in se stessi la loro legge e il loro cammino.


Valutazione d'inchiostro: 4

10 commenti:

  1. Ciao Gresi, conosco questo romanzo ma non l'ho letto: dalla tua recensione sembra denso di spunti di riflessione! Interessante...

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    1. Ciao Ariel! Si è un romanzo davvero molto profondo, filosofico e sentimentale che se ti interessa te lo consiglio caldamente ;)

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  2. Avevo iniziato a leggerlo tempo fa, devo riprenderlo :)

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  3. Mi sono sempre ripromessa di leggerlo, ma non mi sono mai decisa a comprarlo...

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    1. Io l'ho letto in e-book, Frances! Proprio perché timorosa di incappare in qualche delusione, che alla fine si è rivelata inutile ;)

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  4. L'ho letto anni e anni fa, al liceo, quando ero una divoratrice di tutto ciò avesse scritto Herman Hesse... dopodichè, l'ho prestato e non è più tornato indietro (ahi ahi ahi.. mai e poi mai prestare i libri...)
    Eppure, temo che se mi riaccostassi adesso a questo libro, faticherei ad entrare nello stile; non so come mai ma con gli altri libri di Hesse che ho provato a riprendere in mano a distanza di anni, mi è successo così.
    Eppure lo leggevo e rileggevo, lo adoravo letteralmente!!

    Ma il bello della lettura è anche quello, no? A seconda di come noi cambiamo, cambia il nostro approccio ai libri, e cambiano le emozioni che ci regalano...

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    1. Il bello dei romanzi é che, anche a distanza di anni, sortiscono un infinità di emozioni diverse.
      Mi spiace il romanzo non sia più tornato indietro. I romanzi sono sacri, e come tale debbono avere un certo rispetto :3

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  5. Bellissimo Siddharta uno dei romanzi che puoi leggere e rileggere senza stancarti mai. Ho adorato anche "Narciso e Boccadoro" che se non hai letto ti consiglio di leggere.

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    1. Grazie, Roberta! Non ho ancora avuto il piacere di leggerlo, ma seguirò il tuo consiglio ;) Siddharta mi ha affascinata davvero tanto, e ho il sospetto che la medesima cosa succederà con qualche altra sua opera :)

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