sabato, settembre 08, 2018

Una voce fra le soglie del tempo: Charles Dickens

I primi otto giorni del mese giungono quasi sempre all'improvviso. Pare giungano inavvertitamente, insieme a un marasma turbolento di eventi gonfiati dalla calura estiva, e la sera si stendeno sulla città oscurata come una notte mentale registrabile in tutta la nazione, un silenzioso e malevole rabbuimento, inseparabile dalla freschezza della piena stagione estiva. Anche questa volta avrei dovuto inventarmi qualcosa su una nuova voce del XIX secolo. Gli spiriti che abitano la mia coscienza si radunano a confabulare nei corridoi con aria solenne, custondendo storie, segreti inconfessabili. I mesi scorsi parlare di qualcuno era stato alquanto semplice, quasi come l'aria che respiro. Durante il sopraggiungersi della stagione primaverile mi sono sorpresa distratta, impreparata, e una mattina in particolare, con gravi difficolta su chi questa volta impiegare del tempo.
Stavo per sprofondare nella malinconia, nella tristezza. Le mie idee sembravano si fossero esaurite poco alla volta, impercettibilmente, giorno dopo giorno. Un caso, al principio, un evento che di primo acchito mi aveva inorgoglioto, mentre adesso attecchito. Bisognava pur fare qualcosa! La rubrica di quest'oggi propone solo otto di quegli autori la cui produzione letteraria è stata dura, profonda, numerosa, una sorta di squilibrio dell'anima, una temerarietà quasi inavvicinabile, la tranquillità dei sensi che non mostra più alcunché.
Come se non bastasse, Charles Dickens bussò alla mia porta con l'eterna riconoscenza acquistata negli anni. Avevo vissuto storie dalle tinte grigiastre, malinconiche e drammatiche che andarono soggetti al mio incommensurabile amore nei suoi riguardi. Nei momenti di distrazione, ad esempio, nemmeno quando ne ero completamente cosciente, Dickens tendeva ad appoggiare il suo grande palmo sulla mia guancia, infondendo al mio animo una tenerezza che ogni tanto mi piace rievocare. Ogni cosa gli veniva registrato in silenzio, fino a quando non giungevo al culmine dell'eccitazione, la passione per la letteratura e la scrittura mi si abbattevano addosso come un temporale. Magari proprio quando non credevo di esserne così assuefatta.
Ognuno delle sue storie, ognuno dei suoi personaggi era entrato nella mia vita inaspettatamente, come una lacrima trattenuta a lungo e ora che è scesa sulla guancia, aveva iniziato a scuotermi con raffiche di brutte speranze, portandosi addosso la polvere delle disgrazie accumulate nelle sue tristi vicende.
Un paesaggio lugubre, piatto, fanno da sfondo, e personaggi che emergono e si prolifano dritte all'orizzonte come un fuso, mi indicarono la rotta come un navigante.
Temi come l'infanzia, che scorre lentamente con la scioglievolezza e la dolcezza di un sogno, l'ombra incombente di un dolore, una serie di sfortunati avvenimenti che non hanno sempre una sua forma, un generale senso di malinconia in cui l'inconscio aspetta che un mero sprazzo di luce illuminasse le tenebre dell'animo dei suoi fantasmi. Mescolanza disomogenea di bontà e cattiveria, ambiguità, disperazione, il tutto immerso nella pace del giorno, lasciano dietro uno spazio vuoto che ha una sua forma.
I romanzi dickesiani sono quel genere di lettura che danno un senso alla vita. Pagine di memoria che trascinano in un luogo da cui non si vede immediatamente la luce, e che mettono a nudo ogni cosa. Persino l'anima dell'autore. Gettando così una spettrale aria di malinconia e pervadendo i sensi in una lenta agonia, nel pellegrinaggio solitario della giovinezza, o dell'età adulta, brillando per la sua lucentezza e simbologia.
Opere che sono radicate nel territorio dell'immaginazione urbana e neli spazi urbani, in cui fa quasi sempre da sfondo una Londra distesa in una cappa di vapore. In un palcoscenico frenetico in cui il lungo viaggio del protagonista o dei protagonisti entrano in contatto con diversi meccanismi: la famiglia, l'istruzione, la prigione. Viaggi in cui si ha la consapevolezza di vivere amori folli, ardenti, malesseri e benesseri, in cui si cerca di crescere in questa tetra landa. Rifocillando l'anima, e ripristinando quel briciolo di serenità che ancora ci è riservata.

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