L'ombra di una nuova storia è sempre un grande sollievo, l'intrico armonioso e non sempre semplice della trama mi pare incantevole. Superati gli scaffali della mia strapiena libreria - dove sfoglio pagine ricche di nomi, mistero e amori inconfessabili - ho aperto porte su mondi che, in poche righe di brutale neutralità, hanno riassunto tante vite. In questo mondo ci sono eroine coraggiose e dalla forza sovraumana, uomini imperscrutabili e misteriosi, ragazzini boriosi e potenti. Niente però che rivelasse se questo genere di personaggi avesse una particolare predisposizione, quali fossero i loro sogni o desideri, quale forma di paura turbasse i loro sogni quando, la sera, il loro alito caldo soffiava su una candela.
Queste innocue <<stupidaggini >>, di gran lunga preferibili al rumore assordante di una sitcom americana, mi permisero di ritirarmi dietro una maschera di attenzione incuriosita. La fronte aggrottata, gli occhi che seguivano febbrilmente i caratteri stampati, piccoli dettagli che non escludono l'immagine della mia presenza sul campo visivo. La mia presenza in un mondo straordinario e visionario che ha avuto un grande impatto su di me; catapultata in posti non propriamente indimenticabili ma la maggiormente mi hanno fatto perdere le mie tracce. In cima alla vetta c'era una lieve fame letteraria, accumulata nelle settimane d'inizio autunno. Da quando il mio tempo libero a disposizione scarseggia, la mia vita si è come paralizzata, e un forte impulso come questo mi rese intrepida, affamata, quasi smaniosa. La mia eccitazione aveva raggiunto livelli quasi dolorosi ed ero esaltata dall'urgenza di sapere: ogni autore di questi test mi aveva regalato qualcosa che custodirò gelosamente. Estranei e lontani, conosciuto da pochissimo tempo e davvero in gamba - la storia dei loro figli di carta hanno lasciato un segno del loro passaggio.
Titolo: Riviera
Autore: Valentino Ronchi
Casa editrice: Fazi
Prezzo: 17 €
N° di pagine: 159
Trama: Marianna Delfini nasce nel 1970 nella periferia di Milano. Non in una periferia qualunque, però, ma in Riviera: un angolo defilato, sotto la tangenziale, dove lungo l’argine del canale sorge una fila di ordinate villette che osservano placide lo scorrere delle stagioni. In modo tranquillo e defilato scorre anche la vita di Marianna, una bambina quieta e dolce che cresce nella casa di famiglia insieme ai genitori e ai nonni materni. La famiglia Delfini ha vissuto per generazioni lungo questa pittoresca sponda e, mentre Marianna cresce facendo i conti con le piccole gioie e gli inevitabili dolori di una vita, il passato ogni tanto si riaffaccia per ricordare anche agli adulti come è stato crescere e formare una famiglia. La migliore amica, la zia girovaga, la scuola, il primo amore, ma anche l’amara ingiustizia del lutto: la vita della bella Marianna, insieme a quella di chi le sta attorno, è scandita e ricomposta come i riflessi della Riviera sulle acque del canale, attraverso una narrazione estremamente sensibile e delicata che si sofferma con abilità sui momenti essenziali di una vita come tante e quindi proprio per questo unica e irripetibile.
La recensione:
Non che manchino alcuni errori stilistici, ma, chi ama i libri, lo sa: esistono storie che non si sa perché le si amano. Ci auguriamo sempre di trovare qualcosa di speciale. Attimi di vita che ci rimangono dentro come pietre militari. Storie che possono sconvolgere il nostro universo personale, e, una volta incontrate, non se ne può più fare a meno. Si soffre quando si è costretti a dovercene separare. Ma così sono le situazioni tipiche di quando mi imbatto in storie che amo, romanzi che leggo: istintivi, inspiegabili, disinteressati. Ammalianti, senza alcuna ragione: si è disposti a tutto, a qualunque cosa. Affascinati ci si sente inebriati di libertà; si ha l'impressione di poter abbracciare quel mondo intero e ci pare che l'intero mondo ci abbracci. Il romanzo di Valentino Ronchi, così come quelli di altri autori le cui opere ho avuto il piacere di leggere in passato, mi ha indotto presto a questa esaltazione: mi ha fatto sentire parte di un meraviglioso Regno. Un Regno di cui tuttavia, nel mentre ripongo queste poche righe, ha perso intensità, ma, non mollandomi per un istante, mai completamente separata dalla protagonista. E qui penso si celi il suo fascino.
Con Riviera è stato davvero impossibile non poter cogliere quella brama intensa per il piacere di una storia. In questi pochi giorni trascorsi a leggere fino a tarda sera, sotto un cielo mite e luminoso, in cui le giornate scorrono più lentamente, prima di separami dalla landa deserta in cui spesso sprofondo, il giovane Valentino mi aveva incantato con la sua avvincente storia.
Diversi personaggi, diversi discorsi, diversa logica, una storia che mi è entrata sotto pelle, con fatture e simbolismi vari che, nel suo piccolo, mi ha attratto come una calamita. Il genere di storia che mi aspettava, ma che io non aspettavo, anche se a volte mi è sembrato che nelle scene più avventurose descritte da Valentino mancasse un po' di verve. Ho assistito alla fantastica genesi di una generazione che sovrasta un cielo di polvere e stelle come invisibili bolle di sapone. La mia mente non si è sentita precipitare nel vuoto, e l'entusiasmo che avevo concesso a Marianna, alla sua famiglia e ai suoi strambi amici mi resero vittima di una strana fattura.
Valentino e la sua storia inconsapevolmente mi hanno scelto. Incontrarli, infatti, è stato come una collisione fra due mondi che restano tuttavia nettamente separati. Incuriosita, speranzosa, intraprendente, coraggiosa in cui mi è stato possibile attingere alle memoria di una ragazza pieno di ambizioni, reso molto sensibile; la presenza costante di una minaccia che non lascia un barlume di speranza.
Un romanzo che riesce a districarsi egregiamente in una realtà parallela simile alla nostra. Una storia che crea dipendenza, ammalia. Un avventura emozionante che sa di amore, fede e fiducia e che riesce a scalfire persino i muri più solidi della realtà.
Valutazione d’inchiostro: 4
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Titolo: La suora giovane
Autore: Giovanni Arpino
Casa editrice: Ponte delle Grazie
Prezzo: 13, 90 €
N° di pagine: 144
Trama: In questo romanzo, che Montale salutò come 'un capolavoro del suo genere', Giovanni Arpino racconta una storia enigmatica e trascinante, in una prosa veloce, ritmata e fluida, di presa immediata sul lettore. Sullo sfondo della Torino del 1950, tutta insegne FIAT e squilli di tromba nei cortili delle caserme, con il Po che scorre gonfio colore della terra, Antonio Mathis, impiegato quarantenne, uomo rispettabile ma senza qualità, privo di coraggio e di desideri, vive chiuso in una quotidianità insensata, tra una fidanzata del tutto priva di passione e futili, volgari colleghi d'ufficio. Ma da qualche mese cova un segreto indicibile dentro di sé. Sulla piattaforma del tram 21, ha incontrato lo sguardo di una suora giovane, piccola, bianca e rosa, di vent'anni, con cui instaura man mano un rapporto ambiguo, fatto di paure, attese, inseguimenti, esitazioni, presagi d'amore, in un crescendo perfettamente ossessivo. Arpino fa parlare Antonio Mathis in prima persona. Ma si scopre che è lei, Serena, questo è il nome della novizia, a tirare le fila della storia, con una incrollabile certezza di innocenza, con una astuzia infantile e contadina che ribalta il suo silenzio di mesi nella tintinnante loquacità di una notte.
La recensione:
Numerosi sono i romanzi che leggo. Numerose le storie che vivo. Dalla mia personale cabina di comando ogni giorno sento la voce di autori che, affacciatosi da poco o da molto nel campo dell'editoria, osservano il mondo per la prima volta, ancora attaccati al mondo di fuori.
Fra scrittori c'è quasi sempre un'immediata fratellanza. Fra lettore e autore s'instaura nell'immediato una certa intesa, e l'io, che altrove ha sempre bisogno di affermarsi, di difendersi, fra le pagine bianche di un romanzo si sente tranquillo.
Così mi sono sentita fra le pagine di La suora giovane, romanzo di un autore novecentesco celebre, ma non per me, che ne ignorava completamente la sua esistenza, la cui proposta di leggere il suo figlio di carta si è rivelata una grande occasione. Opportunità in cui mi è stato possibile raccogliere tutte le ossa che si vuole, costruire la parte più splendida del mondo, e creare una sorta di battesimo magico che riesca a mettere in contatto questo mondo con quello dell'altro.
Ogni romanzo ha un suo modo di presentarsi, di farsi vedere al suo meglio. Quello di Giovanni Arpino, per me, è stato La suora giovane, suo figlio di carta, la sua anima, la sua faccia imbellettata, il suo biglietto da visita. Lettori curiosi, avidi di sapere approdano fra le sue pagine da ogni parte e in realtà non ci sarebbe bisogno di vedere altro, perchè in questo breve ma prezioso romanzo ho visto quel concentrato di tutto quel che Arpino ha riversato, mediante quel contenitore imperfetto che è la scrittura, in poco meno di duecento pagine: la sua efficienza, la sua profondità, la sua intensità, il suo ordine, il suo modo di essere pulito e onesto.
Io, data la mia condizione di lettrice onnivora e curiosa, non potevo di certo esimermi di entrarci e, come tutti quelli che avevano varcato la soglia, anime desiderose e insaziabili senza vizi se non quello della lettura, poveri immigrati ed esploratori, approdai in una regione dell’Italia ancora prostata dal comunismo, con un invito inaspettato: per via dell’ennesima sfida di lettura, che mi avrebbe visto impelagata con una suora. Fu così che, all'inizio dell’estate, arrivò Arpino. In quei giorni non mi immaginavo di certo che in poco tempo mi sarei trovata a vagare in un buio e ampio orizzonte. Facendo rotta fra le pagine bianche di una storia che enfatizza ed esplica il coraggio e l’amore come elemento primordiale. Ero rimasta incastrata nel momento culminante. E sapevo che, quando mi fossi inoltrata ulteriormente nella storia, non avrei fatto tanto facilmente ritorno. Ma in questi giorni non mi è importato proprio di nulla: Antonio Mothis mi aveva trattenuta e non volevo congedarmici. Una storia enigmatica e trascinante, in una prosa veloce, ritmata e fluida, di presa immediata sul lettore. Sullo sfondo della Torino del 1950, tutta insegne FIAT e squilli di tromba nei cortili delle caserme, con il Po che scorre gonfio colore della terra, un incontro l’ha distolto dal sentiero della felicità semplicemente risucchiandogli l'anima e tutto ciò cui teneva di più caro al mondo. Allo stesso modo non farsi intenerire è stato dannatamente difficile, andando a vederlo, appena alzata, o prima di andare a letto, repentinamente e impreparata di cosa potessi ancora aspettarmi.
Il suo arrivo sembrava non possedere niente di speciale, niente di particolare. Al crepuscolo, da un finestrino di una macchina proveniente dal centro della mia città, sullo sfondo di un sole rossissimo, col fragore delle macchine e il fetore dei gas di scarico, conobbi Antonio come mi è capitato di conoscere uomini della sua età: con lo spettro del passato che si muove attorno a loro, veglia sulle loro fragili membra, rimasugli della sua natura sempre pronta a riguadagnare terreno se lasciata a se stessa.
Contemplando l'immagine ritratta in copertina, penso a quanto sia stato terribilmente difficile restare impassibile alla sua storia. E' stato terribilmente difficile ignorare il brusio sommesso di una giovane ragazza, la femme fatale, che in un rapporto ambiguo, fatto di paure, attese, inseguimenti, esitazioni, presagi d'amore, in un crescendo perfettamente ossessivo, farà vacillare la sicurezza che aveva inseguito per tanti anni invano, Antonio. Fra le pareti di casa, in compagnia di una fievole fiamma che tuttavia si ravviva con la sua vicinanza, che lo appaga ma non completamente, quando scopri che alla fine è stato costretto a strisciare a terra come un bruco. Avanzare a tentoni, e poi tramutarsi in farfalla e spiccare il volo. In un mondo invisibile agli occhi, guardandosi attorno nell'oscurità del suo animo, aggirandosi come una sagoma vibrante di luce, catapultandoci in una dimensione dove il cielo ha il colore degli oceani e le nuvole assomigliano a schiuma bianca infranta sugli scogli.
Antonio ricorderà questo incontro come si ricorda il bruciore di una ferita ancora aperta. Quel momento in cui tutto accadde, dovette mettere a tacere la sua voce interiore per purificarsi dal passato e per accettarsi; così smarrito, costretto a una vita che non gli appartiene più. Con un passato tutto da scoprire alle spalle, una sfilza di sogni infranti con un bagaglio vasto di esperienze.
Ogni cosa richiede tempo. A volte pensiamo che sia qualcosa destinato a durare in eterno, ma non è così. La vita è una continua tempesta di cambiamenti e, mentre noi affoghiamo nel dolore e nella disperazione, una catena di eventi tesse inevitabilmente il nostro personale destino. Ci riserva una serie di occasioni, opportunità che, se ignorati, potrebbero tramutarsi in rimpianti. E, pur quanto questa cosa sia terribilmente ingiusta, talvolta è un semplice contatto che ci fa ritrovare nella nostra solitudine. Fino al giorno in cui spireremo e leggiadre saliremo al cielo fra le avverse stelle. Un romanzo che lascia segni concreti del suo passaggio, che ha fatto vibrare le corde dei sogni, e che, come una lieve carezza che sfiora il viso, conquista per la sua indubbia forza. Per l'energia, il coraggio che Arpino ci trasmette così bene. Un pezzo di vita che potrebbe essere di chiunque in cui ci si rammarica di quanto sia effimera la vita dei comuni mortali, ma illudersi facilmente che vivremo per sempre.
Valutazione d’inchiostro: 4 e mezzo
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Titolo: Un'estate
Autore: Claire Keegan
Casa editrice: Einaudi
Prezzo: 12 €
N° di pagine: 80
Trama: Una fattoria nella campagna irlandese, una bambina silenziosa, un padre e una madre non suoi. Claire Keegan tratteggia un lessico sentimentale dell’accoglienza e dell’amore genitoriale, in un racconto di sommessa e struggente bellezza. «Può bastare anche solo un’estate per imparare a essere amati. Ce lo racconta con ineffabile grazia la piccola protagonista di questo racconto perfetto» (Viola Ardone). «Per raccontare un mondo nuovo, un’esperienza mai vissuta, servono parole nuove, quelle che Claire Keegan trova dentro un vocabolario di cose, reali come l’amore» (Maria Grazia Calandrone). «L’estate non è mai un tempo qualsiasi. Ma c’è un’estate che può essere più preziosa delle altre, che può portare in sé l’abbacinante luce della crescita. La luce con cui è scritto questo romanzo» (Valeria Parrella). «Poi attraversiamo il tepore della cucina e lei mi dice di sedermi, di fare come se fossi a casa mia. Sotto il profumo di qualcosa che cuoce nel forno c’è una punta di disinfettante, candeggina forse. Toglie dal forno una crostata di rabarbaro e la mette a raffreddare sul piano della cucina: sciroppo bollente sul punto di traboccare, foglie sottili di pastafrolla saldate alla crosta. Dalla porta entra una corrente fresca ma qui è caldo, immobile, pulito»
La recensione:
Ho tanti migliori amici io, qui, con me, nella mia stanza. In una sfilata di figure pubbliche che fanno parte di un paesaggio confuso a cui non si presta particolare attenzione, portano alla luce storie che hanno dentro di sé. Quasi sempre sanno trovare le parole giuste per raccontarmele e quasi sempre compongono melodie particolari, che scivolano nei ricordi luminosi della mia infanzia.
Su uno spazio conosciuto, in una schiera di anime perdute che entrano nella lotteria della narrativa, la piccola protagonista di questo mondo imperfetto ed io ci scontrammo in una fattoria nella campagna irlandese,che odorava di sterco ed escrement. In un mattino caldo e soleggiato nel cuore dell’estate, nel cuore di una città - quella della piccola protagonista - che era sprofondata nel silenzio, e che trasmetteva un piacevole senso di familiarità.
Leggendo di lei, ho avuto come l'impressione di aver avuto l'opportunità di stringere fra le mani un oggetto raro. Come una reliquia sacra la cui aura lucente mi ha rassicurato, riscaldato nel suo caldo abbraccio. Fatto credere e ancora tuttora ci credo fermamente che esiste ancora gente che crede in qualcosa, vedere i primi segni di una strada che è stata imboccata sapientemente da una giovane ma talentuosa autrice americana che solo la passione per i libri e la buona letteratura ha conservato intatta!
Con la larga diffusione della fantascienza, in una schiera di lettori avidi e curiosi, a Messina o in qualsiasi parte dell'Italia, uno non poteva di certo sognarsi ambizioni letterarie, le sue scelte sono estremamente limitate, e con ciò ha un <<destino>>. Oggi le alternative per chi decide di imboccare la strada dell'editoria sono molto di più, l'editoria sociale ha aperto a tutti la possibilità di aspirare a qualsiasi cosa, ma con ciò nessuno è più <<predestinato>> a qualcosa di particolare. E' forse per questo che mi sorprendo ad essere sempre più disorientata e incerta sul senso della mia vita.
E il senso della vita di questa autrice, mi chiedo, qual è stato? Me lo sono chiesta, forse come tutti, nella manciata di ore che hanno scandito la permanenza fra le pagine bianche del suo romanzo. Di certo la sua vita sarà cambiata di volta in volta e alla fine sarà stata costretta a imboccare una strada, quando credeva di non scovarne nemmeno una.
Potrei trascorrere ore e ore a dirvi cosa effettivamente penso, quali pensieri vorticano inesorabilmente e continuamente nella mia testa, viaggiatrice romantica degli anni '90, ma l'entusiasmo con cui ho accolto questa ennesima splendida opera della Keegan si è insinuato nella mia testa come una malattia, e finì per vivere come un'anima in pena, con una buona dose di nervosismo accumulato da frenetiche e stancanti giornate lavorative, lasciata sola nell'immensità di un cosmo forse un po' troppo vasto persino per me. Anima sognatrice e romantica che ha messo a nudo la sua anima, la figura che si muove in questo scenario bucolico che ha tanto dell’immobilità hardyana, esaltazione ai sentimenti, alla natura, dona nient’altro che un frammento di vita in cui essa stessa è esaltata, spesso ripida salita, pronta a captare le tentazioni del mondo "di fuori", con tutti i suoi rischi. Una piccola voce in un coro di sognatori e disillusi che la Keegan ha riversato mediante la scrittura, come qualcosa di indefinibile e lontano.
Un’estate penso sia stato concepito con l'intento di far trapelare riflessioni profonde e personali, e, evidenziando esperienze di una vita che non mi appartiene, la voce della giovane protagonista - il cui nome sarà avvolto in una cortina di mistero, fascino, sino alla fine - è risuonata fra le vecchie mura della mia camera, prendendo consapevolezza che questa sarebbe stata un'ottima occasione per urlare alla gente tutto quello che aveva saldamente nascosto. In cuor suo, questa piccola creatura sa che la sua storia potrebbe fungere come un racconto senza senso, quasi incompleto, con sprazzi di pensieri o riflessioni in cui chiunque può riconoscersi. Ma la sua voce ha avuto una ridondanza così forte, potente ed evocativa da recidere l’anima, lo spirito di chiunque, come un taglio netto.
E ciò che alla fine se ne ricava, è una lettura semplice, breve ma che trapela un’infinità di sensazioni. Lasciatemelo dire, come l’anno scorso accadde con Piccole cose da nulla. Nonostante la semplicità del tema trattato o la brevità della storia, quel genere di racconto che non può non lasciare un segno del suo passaggio. Così tangibile, vero, a tratti malinconico, a tratti romantico, che indugia sul desiderio dell'autrice di mettere a nudo l’essere. Breve massima che compongono meno di 100 pagine di un diario, che divengono quasi una confessione dell'autrice: cronache di vita, sogni e speranze sospesi nell'aria stagnante, con protagonista una giovane fanciulla che, inconsapevolmente, si avvierà lungo una strada che la porterà alla scoperta di se stessa. Da qui nasce Un’estate, in cui ho potuto scoprire e interpretare dal nulla molte cose. Incurante di ciò che mi circondava, osservando l'inutilità di un mondo fatto di cose grandi e piccoli.
Una trama realistica basata esclusivamente su esperienze di vita vissute in prima persona, che mi ha reso partecipe e sorpresa nell'aver trovato, in qualunque gesto, frase o imperfezione, qualcosa che in un modo o nell'altro induce a meditarci sopra, distraendo la nostra mente e costringendoci a immaginare qualcosa di piacevole come lo stare a galla in un mare caldo e calmo.
Valutazione d'inchiostro: 4 e mezzo
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Titolo: Colloqui col professor Y
Autore: Louise Ferdinand Celine
Casa editrice: Quodlibet
Prezzo: 15 €
N° di pagine: 160
Trama: Qui Céline in un'intervista a se stesso (1955), nel suo stile forsennato, da ossesso recriminante, parla del romanzo tradizionale, cioè ne sparla, poi della razza insopportabile degli scrittori, del cinema, degli editori, ma soprattutto del suo personalissimo modo di scrivere, che va via ... alé! ... come un metrò emotivo, che acchiappa emozioni; questa la sua trovata, la sua invenzione di stile; e i tre puntini tipici sarebbero le traversine su cui la rotaia del metrò si appoggia. Un libricino che espone, con gli inconfondibili scatti di nervi, i principi della sua poetica e la novità che in letteratura ha portato, da tanti in seguito imitata; anche se tutti imitatori incapaci, lui dice.
La recensione:
Bisogna essere un tantino più che morti per far ridere sul serio.
Soltanto una parte di me resta ancorata al mondo della fantasia, ma ogni cosa sembra indicare come la mia coscienza decise di arrendersi alle circostanze. Non ci sono stati indizi che mi abbiano fatto vedere Colloqui con il professor Y diversamente da come l'avevo immaginato. Quando andai via da lui, l’anno scorso, e tornai repentinamente in uno sbocco su un mondo così cinico, sadico, sconcertata e sorpresa, un caleidoscopio di eventi era subentrato nella mia vita. La storia del rude Louis non era stata veramente avvincente, come l’ultima volta: questa volta, questo pamphlet o raccolta di opuscoli in cui l’autore si lascia andare a forme di delirio o deliquio tipiche dell’invettiva letteraria, orchestrata da un abile lettore di anime che orchestrò mediante nient’altro che carta e inchiostro, gruppi di anime lungo la strada della distruzione, la mia curiosità nei suoi riguardi, sul mistero che avvolgeva il tutto come una coltre di nebbia, era cresciuta a vista d'occhio. E quando arrivai le domande cominciarono a porsi. Poteva un semplice scambio epistolare infangare la sua reputazione, come il grido sussurrato di una condanna?
Eppure, sebbene questo opuscolo non mi abbia entusiasmato come desiderato, serberò un ricordo speciale dello splendido cammino intrapreso l’anno scorso, instillando in me il desiderio di conoscerlo maggiormente.
La voce tonante di un uomo volenteroso ebbe il potere di strappare l'anima di una ragazza sognatrice e romantica da un mondo di ombre che si tengono per mano, che, dinanzi a una sfilata di pupazzi privi di anima, in un paesaggio ora più nitido e zeppo di crudeltà, si fuse alla sua in immagini variopinte e spiegazzate. Di soppiatto, ho osservato il suo volto rugoso e un pò sfregiato. Ho provato un brivido di curiosità percorrermi lungo il corpo, come un dolce appena sfornato che invita ad assaggiarlo. La letteratura è una forma distorta di lirismo, che uccide chiunque stringa in mano una penna, o batta furiosamente sui tasti di una macchina da scrivere, in cui ad essere compresa è l’emozione, ciò che trapela mediante simboli o lo stesso linguaggio.
Incuriosita, ho contemplato la bellezza o l'effetto benefico delle parole con cui è stata raccontata questa storia. La mente ha cercato di comporre i pezzi di un puzzle semplice, ascoltando ogni singola voce in ogni singola pagina, attorcigliandosi addosso e rendendomi prigioniera. E io non ho fatto nulla per oppormi. Nulla per non essere assuefatta dalla linfa vitale di questa storia, nulla per non essere accecata dall’ aura luminosa dei protagonisti; nulla pur di avvertire emozioni, sensazioni provenienti da luoghi lontani o appartenenti a un'epoca che non è più la nostra, insinuandosi nelle crepe del nostro cuore.
Un raccolta di pensieri, riflessioni, interviste che ho accolto con curiosità e una certa forza. Un maremoto di parole estrapolate a caso in cui trapelano cameratismo, senso di solidarietà e conforto, ma anche tanta volgarità, spontaneità, sogni infranti, speranze, illusioni che crollano addosso, e a cui resistere è stato davvero impossibile. In una trama inesistente ma concerne alla brevità della storia, uno stile netto come una stilettata, nell'esaltazione della bellezza della parola scritta, del potere della parola, fra suoni, voci, luci e ombre, nella frenetica confusione del secolo.
Una storia che può non travolgere chiunque decida di imbarcarsi fra le sue pagine, che, a dispetto del Viaggio al termine della notte, non ha inzuppato la mia anima di sorrisi, risate e promesse in un piccolo spazio del mondo, quanto mi ha resa libera da ogni cosa. Da ciò che la mia mente vide, assorbì, ma, a quanto pare, ha assimilato repentinamente.
Valutazione d’inchiostro: 3 e mezzo
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Titolo: Lontano nel tempo
Autore: Elizabeth Gaskell
Casa editrice: Elliot
Prezzo: 11, 50 €
N° di pagine: 80
Trama: A diciotto anni, Susan Dixon perde i genitori e si trova di fronte a una scelta: prendersi cura di Will, il fratello malato, oppure sposare Michael, l’uomo che ama, il quale la vorrebbe tutta per sé e le ha proposto di affidare il fratello a un istituto di cura. Susan sceglie il fratello e il fidanzamento si rompe; negli anni, diventa nota per la sua alterigia e forza, per la fermezza con cui gestisce la casa e la tenuta familiare. Sullo sfondo delle campagne inglesi, “Lontano nel tempo” è il racconto struggente dei tortuosi percorsi che conducono all’età adulta e insieme un ritratto femminile tra i più intensi della grande autrice vittoriana.
La recensione:
Per colui che porta alla luce storie che ha nascoste dentro di sé, e trova le parole giuste per raccontarle, la scrittura a questo proposito è una grande occasione. I luoghi in cui le idee e le illusioni alimentano la cittadella della sua coscienza sono particolarmente fertili per la sua coltura.
La prima volta in cui mi persi nei luminosi corridoi dell'anima di Elizabeth Gaskell alla ricerca di storie che vanno alla ricerca di altre storie, vi trovai un pezzo splendido della sua anima che mediante una sorta di battesimo magico mise in contatto questo mondo con quello dell'altro.
Sono poche le occasioni in cui la vita ci permette di andare a spasso tra i propri sogni e di accarezzare qualche ricordo perduto. In una nuova occasione, mentre scrivo queste poche righe, ho ascoltato l'eco di parole che sembravano lontane non vedendo nessuno se non un paio di figure stanziate ai bordi dell'anima di questa storia.
Con Lontano nel tempo è accaduto esattamente questo. E in questa mia ennesima splendida incursione, nel mondo di carta e parole della sensibile Elizabeth, dotata come sempre di una penna sfera davvero efficace il cui inchiostro marchia indelebilmente sulla pelle, mi sono imbattuta in anime che vagano lungo la riva dell’assurdo, fantocci che si affacciano sul mondo sfoggiando un temperamento modesto che, lievi, come piume si sono trascinati in un caos fantasmagorico di suoni e colori. In una bolla di luce che si è mossa un po’ lenta, come una medusa, e che inevitabilmente ti paralizza nel suo abbraccio.
Ho sempre saputo che un giorno avrei letto qualcos'altro della Gaskell. Che lo facessi durante le mie innumerevoli esplorazioni letterarie, rivestiva l'occasione di un manto d'avventura che non possono di certo sfuggire alla memoria di lettori avidi e curiosi. Ho immaginato che mi aggirassi per casa come un anima in pena, pensierosa, guardando l'orologio scandire il tempo con un regolare tic tac. Tentare di sedermi nella mia poltrona preferita, sprofondarci nel suo morbido abbraccio e attendere di rispondere alla sua chiamata per dare il benvenuto alla sua nuova figlia di carta. Ho sempre pensato che il Fato mi riserva sorprese inaspettate. Più di una volta ci è riuscito, e anche questa volta ho avuto modo di scoprire e conoscere la sua forza.
E' stato in un giovedì di fine luglio che, sicura di un viaggio che mi avrebbe promesso tante cose, decisi di rifugiarsi nell'unico posto al mondo dove nessuno avrebbe mai potuto raggiungermi: le pagine di un libro. Aprendo una finestra virtuale dall'aria luminosa e vaporosa, pronta ad addentrarmi nella mente della mia nuova amica di carta: Susan, che all’età di diciotto anni perde i genitori e si trova di fronte a una scelta: prendersi cura di Will, il fratello malato, oppure sposare Michael, l’uomo che ama, il quale la vorrebbe tutta per sé e le ha proposto di affidare il fratello a un istituto di cura.
Mi sono lasciata cullare dal profumo delle parole e dopo un po' mi sono persa fra le sue pagine, immersa nel flusso di immagini e cadenze distillate dal racconto delle avventure che scendevano nelle profondità dei cuori di giovani ragazzi il cui obiettivo è quello di trovare un loro posto nel mondo. Un posto in cui avrebbero finalmente scovato la pace. Perchè quando il dolore per la perdita di una persona amata, un’amica, un parente, un familiare, è così persistente, intrattabile, così atrofizzante che, a turno, ogni parte del nostro corpo ne subisce gli assalti, cose che prima non si notavano adesso assumono nuove forme e colori, fino a divenire una presenza costante, il mondo sembra sbriciolarsi, ridursi in minuscoli pezzettini. Questo romanzo non parla di morte, ma è un pellegrinaggio alla stessa, che, come un piccolo guscio, racchiude al suo interno un grazioso mondo: quello di una giovane ragazza che diverrà donna, nel giro di niente. Perchè esposta a quelle cicatrici che altri non sono che segni di vita, assorbimenti di linee frastagliate incise nella pelle del corpo che raccontano chi è che parla, induce a stringere quella penna invisibile sopra un taccuino vecchio e logoro, evidenziando momenti disperati in cui si sente la necessità pressante, travolgente nel scrutare i pensieri, azzerare le emozioni senza un bagno di rimorsi o sofferenze.
Una narrazione semplice, pura, ha trascinato i miei occhi in una lettura intensa ma dolorosa, che hanno disegnato nella mia mente un teatro fantasmagorico. In pochissimi giorni ho potuto leggere senza interruzioni, godendo di ogni frase e temendo il finale. Quando, girando l'ultima pagina, vidi stampato in caratteri maiuscoli l’epilogo, abbattuto su un palcoscenico armonioso ma commovente il cui testo evaporò nell'aria come polvere di stelle. Anche adesso che ho terminato di leggere di Susan, se chiudo gli occhi per qualche istante e mi stendo nell'oscurità, mi sorprendo con lo sguardo perso nelle sue avventure, nel labirinto di parole che sono state realizzate con cura.
Più di un lieve sussurro, ma capace di penetrare nella testa così piano da assumere una certa forma, quasi fosse fatta di aria e di nostalgia, anche in questo testo la Gaskell non cerca di apparire più grandiosa di quanto sia necessario. Perché come in Ruth, Mary Barton, non si premura di raccontarci esclusivamente la ruralità dei paesini di campagna, quanto non potendo andare oltre a quella che fu la voce unanime dei suoi colleghi scrittori. A eccezione della Eliot, che promulgherà un tipo di letteratura in cui la visione agnostica avrebbe dovuto produrre mutamenti per il bene della comunità. E, seppur breve, fin troppo conciso per i miei gusti, eclatante e straordinario, con quel gusto raffinato per cui si contraddistingue, specialmente nel momento in cui ha dovuto tracciare un'invisibile linea di confine fra sé e il prossimo. In un'analisi prettamente realistica sull'importanza della propria identità, su ciò che talvolta ci riserva la vita, sulla vita e sul tempo che mi ha piacevolmente intrattenuto.
Valutazione d’inchiostro: 4 e mezzo
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