Titolo: Ritorno alla brughiera
Autore: Thomas Hardy
Casa editrice: Garzanti
Prezzo: 14 €
N° di pagine: 427
Trama: Una brughiera
semideserta e desolata fa da sfondo alla vicenda di due uomini e due donne, che
vedono i propri destini incrociarsi tra loro. È l’ambientazione di un romanzo
davvero singolare e suggestivo: scritto nel 1878, Hardy in queste pagine ci
accompagna attraverso storie che si svolgono nel sud ovest dell’Inghilterra, a
Edgon Heath, una landa che diventa la vera protagonista del racconto grazie
alla dovizia di particolari con la quale è descritta. La puntigliosa ricerca
del dettaglio, l’alternanza di colline e avvallamenti, le varietà delle piante
e l’altenarsi di lunghi inverni e rapide estati sono si la descrizione
geografica di un luogo preciso, ma in un senso più ampio rappresentano un vero
e proprio paesaggio dell’anima. E, insieme a esso, la storia di gente dura,
segnata dalla nebbia e dalla pioggia, di donne belle e del passato ingombrante:
quello del poeta britannico è un mondo fatalista, crudele come può essere solo
un ambiente abitato da individui che hanno perso ogni traccia di fede.
La recensione:
Erano come quelle stelle doppie che ruotano perennemente l’una
attorno all’altra e da lontano sembrano
una sola. L’assoluta solitudine in cui vivevano intensificava i pensieri
reciproci. Si sarebbe potuto tuttavia obiettare che aveva lo svantaggio di
consumare l’affetto di entrambi con temibile prodigalità.
Finora ho avuto parecchie
occasioni di restare sola con Thomas Hardy, e questa nuova lettura mi procurò
una certa contentezza. Per la prima volta in tanti anni che La brughiera riposava sullo scaffale,
silente e quasi indifferente al mio occhio vigile, senza nulla di concreto da
obiettare, nulla che mi inducesse a distinguere un amore letterario da un
altro. Non ho mai prestato attenzione ai classici come in questo periodo della
mia vita in cui ho constatato come vanno a braccetto col mio mondo interiore,
della cui esistenza tuttavia ero a conoscenza dall’età di diciassette anni, ma
come un’entità ignota, inesplorata e pertanto meravigliosa e bellissima che
avrei dovuto prendere parte. Da che ricordo, la storia della dolce Tess si
mosse velocemente e dirimpetto nel mio cuore, studiandone la scorza, l’intensità
di sentimenti che, sin dalle prime pagine, mi hanno indotta a comprenderne le
passioni, le emozioni che muovono le cose, che hanno mosso questa giovane
eroina dinanzi all’abisso del nulla, del terrificante e del tragico,
considerando le possibilità di constatare la bellezza di certe tematiche in
altri romanzi scritti dall’autore. Ho goduto di questi momenti indimenticabili
con i personaggi hardyani, per cui ad ogni suo romanzo sono consapevole mi ci
approccerò con una certa esigenza. E fino ad ora ho fatto più che bene,
specialmente con il nostro unico incontro, dichiarando senza incertezze il mio
incommensurabile amore per la poetica hardyana, così perfettamente in sintonia
ai miei sentimenti, che non hanno indugiato – nemmeno per un istante – a guardare
altrove. E ora all’improvviso, col mondo ancora sottosopra e distante dal mio
cerchio personale, senza nient’altro che carta e inchiostro, mi sono concentrata
su cose che i miei occhi non avevano ancora visto, sulla magnificenza di
certi paesaggi che mi erano ancora sconosciuti. Se << bellezza >> a
questo punto diviene una parola forse fin troppo ripetitiva, eccessiva, un
termine troppo blando per esprimere tutto ciò, può però avvicinarmi a ciò che
ho provato leggendo La brughiera. Irresistibile
attrazione per questo paesaggio circostante, avvolta da qualcosa di asettico,
ameno, che prende vita solo nei giorni festivi, il cui umore tocca apici di
gaiezza e contentezza. Raggiunse la sua intensità in maniera alquanto solenne
in cui la solitudine, lo sconforto, il rancore,
sembrano trasparire dal suo aspetto facendoci così sentire accolti con
un violento abbandono, una forma di repressione immersa in una condizione d’inerzia
o ristagno. Prendendo parte ad un episodio stravagante in cui la stessa si
intravede appena sullo sfondo di una trama appassionante. Perché è proprio qui
che è come se si guardasse dinanzi a uno specchio, che rivela e denuncia nelle
sue caducità e illusioni chi sono i veri personaggi, e che osservandoli
osserviamo anche noi stessi. La vita di ognuno di noi, il nostro sentirci
perpetuamente insoddisfatti di voler raggiungere qualcosa che effettivamente
non avremo mai, e che ci è sempre sfuggito di mano. La traiettoria della luce
che questa brughiera ben presto sarà immersa, è il modo per cui la poetica
hardyana prende il sopravvento. Riverbera nella notte, nella solitudine del
cuore, nella ricerca affannosa di vivere e sopravvivere, in sconfortanti
fantasticherie che pulsano nel cuore, mettono a posto qualcosa dentro di noi. In
un epoca di recuperi, in cui si abbracciono le tradizioni, false imitazioni, in
cui le passioni vivaci, impetuose, scuotono l’anima con una certa irruenza,
pazienza, disperazione. Scosso da eventi che non hanno un loro perché ma dentro
al quale si dispiegono i brevi e tormentati transiti della passione umana. La stessa
Egdon Heath è una città immaginaria del Wess, tessuta come un sogno che
immutato nel suo remotismo, stabilisce un contatto tra ciò che è arcaico e ciò che
è tragico.
Quello di La brughiera è un vasto tesoro di immaginazione visionaria che mi
ha invitata a fiondarmi immediatamente fra le sue pagine con la consapevolezza
che, a lettura terminata, ha lasciato uno spazio vuoto che ha la forma di una
persona. Una strisciante angoscia, il propagarsi di tanto dolore, catena di
eventi e fatti che alla fine non avranno un suo perche, di coincidenze
miracolose, il tutto immerso in una staticità che lega tuttavia ogni cosa entro
i limiti del possibile. Come un caso fantasmagorico di voci e volti, vaghi e
possenti fantasmi corporei apparsi nel minaccioso silenzio di una brughiera, La brughiera è stata quell’ennesima
bellissima lettura hardyana che, zeppa di distrazioni realistiche, tragiche e
amorose, ha richiamato alla mia mente le tragedie omeriche, penetrato a tal
punto tale d’immergermi in uno stato fra il fascino e l’ammaliamento. Come in Tess dei D’Urbeville, l’essere umano è
in bilico fra estasi e sogno, sebbene immerso in un mondo zeppo di meschinità,
ipocrisia, cattiveria che rivelano l’intento dell’autore di esaminare il senso
della vita. Ed, intrappolato nel lungo limbo delle convenzioni sociali, incorre
esclusivamente l’ideale dell’uomo forte, libero, capace di vedere la netta
differenza fra verità locale e verità universale, come una complicata emozione
che ha racchiuso nel suo palmo due amanti nella sfera insondabile dell’amore. Nonostante la sua natura ridente, si prende gioco di ogni forma d'intelletto umano in cui resta confinato, in un'immobilità resa e definita sterile di cui il mondo esterno diviene spettacolo o teatro di azioni che plasma chiunque. Conformandosi a tutto questo, assorbondone ogni tonalità in cui lo splendore di ogni bellezza non è che la genua e triste fiamma che arde in ognuno di noi.
Eustacia è dotata di un'anima oscura, tenebrosa in cui l'esilio in una terra straniera l'ha resa sempre più volgare. Ma confidando ad ottenere un certo tipo di bellezza che possa coincidere col suo cuore, quel sentimento che avrebbe spezzato la solitudine delle sue giornate. Perchè dinanzi a lei, la brughiera muta e si muove, dotata di una natura ammaliatrice e incantevole, ma che ai suoi occhi, così sorda e insensibile alla bellezza del luogo di cui è avvulsa quanto stemperato dalla presenza dei suoi personaggi. Perchè si tratta di un mondo sbiadito, interiore che si riempie di vita, là dove c'è immobilità e vuoto.
Eppure le commedie hardyane, dinanzi alla misura di certe storie, ci propina quasi sempre del materiale in cui poter attingere a un tipo di materia deperibile, cioè rivolta a qualunque tipo di distruzione in cui il compito dell'artista è quello di poter modellarne la materia. In un rapporto autodistruttivo fra anima e corpo. Perchè vivere, respirare, esistere è una forma di rassegnazione che sostituisca ogni mancata voglia di vivere, quella mancata possibilità di lottare pur di respingere il tempo presente. Clive, per l'appunto, sollecitato dall'idea di poter commerciare forme di vanagloria a autocompiacimento, non si desta fra i vivi quanto in forme di rivalità a un elevazione del proprio agio. Un tipo di elevazione che è puramente intellettuale, ma di cui molti restano devoti a una vita semplice e selvaggia.
Edgon è un piccolo paesino di provincia che, come lo splendido paesino di Middlemarch, insorge in forme di arricchimento materiale che non preveda solo elevazioni economiche quanto mentali. E non accettarle quanto ripudiarle comporta a forme di disprezzo, di diniego che diffondono, durante il processo di scrittura, immagini di un futuro negato, la sensazione cocente di incorrere in delusioni.
Dentro una narrazione di taglio realistico è vitalizzato un nucleo estremamente tragico come il conflitto eterno e distruttivo che ritrae la stessa brughiera dominata da due spiriti forti, ma contrapposti: quello in cui l'idillio, la quiete è percepibile mediante forme ironiche a cui si fa cenno, e quel mondo perduto in cui fa sfondo l'inarrestabile guazzabuglio delle passioni umane. Per Hardy, la brughiera è intessuta della stessa sostenza dei sogni di cui il mondo shakesperiano immuta nel suo arcaico tempo tragico. E da qui questa forma di immobilità di cui facevo cenno all'inizio, diviene solo una forma sensoriale perchè risponde al ciclo delle stagioni, contrassegnate dall'irreversibilità e dall'autodistruzione. Ma non indifferente, quanto forte e ammaliante, pronta a schiacciare ogni forma di possessione soggetta a rituali pagani che risalgono alla notte dei tempi.
Nel paesaggio ritratto del romanzo tutto però è soggetto a cambiamento, in quanto frantuma quest'apparente forma di idillio, separando così il mondo naturale da quello umano e di cui queste forme di continuità a cui si aspira divengono nette, irreversibili. E, profondamente shakesperiano perchè desto da un ammaliante sogno, in contrasto col tempo umano e contrassegnato dall'irreversibilità e dall'autodistruzione, ci si consuma in movimenti incessanti e tormentosi, perchè assorbiti dalle forme di un paesaggio che dissolve nelle sue stesse ombre. Edgon, non a caso, diviene specchio di riflessione del suo autore, ma anche contraddizione a tutto ciò che rivela o denuda nella sua caducità e illusione.
Ogni personaggio è immerso nell'inquietudine, in radicali e solide celle in cui l'orizzonte naturale che fa da palcoscenico ad ogni dissido, in ogni reciproco estraneamento. Clym, per l'appunto, è emblema di tutto questo, colui che vuole scovare il vero da ogni cosa, e vive relegato in una visione egoistica in cui il sogno si contrappone e si sovrappone al reale, donando un'immagine utopica di cui gli altri si discostano. Ma, con ostinata ricerca, trasformando in futuro, in certezze, ciò che lo ossessiona. Mentre, Eustacia, il suo contrario, che ripudia la brughiera, la sua rigogliosa e silenziosa figura vergine, vagando come uno spettro in forme di fatica e squallore, Per i villici, una strega della notte che non arranca a discostarsi da quelle sventure o forme maligne, quanto tenti di alimentare il male. E, dotata di una natura capricciosa ed egoista, in netta contrapposizione a quella di Clym, ma murati da forme di egocentrismo e crudeltà. Pronti a voler dominare ogni cosa, ad attuare delle riforme che possano estrapolare ed estirpare qualunque falsità, la natura che piega e soggioga e di cui persino la morte sembra poter sfuggire dalla sua impotenza. Il cuore azzarda a compiere gesti azzardità, in cui la natura traccia un segno, un'impronta più accesa, ma i cui caratteri sono già stati scoccati da un destino che osserva il loro modo di agire, non rivela quelle motivazioni profonde, quella necessità di svelare la realtà. Alla fine di un viaggio in cui l'uomo non può fare altro che vestire i panni di spettatore.
Valutazione d’inchiostro: 5


Boa noite minha querida amiga. Obrigado por mais uma dica maravilhosa.
RispondiEliminaGrazie! ☺️☺️
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