giovedì, marzo 09, 2023

Gocce d'inchiostro: Vicolo del mortaio - Nagib Mahfuz

Per gran parte della mia esistenza ho ignorato l’idea che potrebbero esserci cose, persone, oggetti, che se in un primo momento ignoravo impunemente, in un secondo potrebbero stravolgere completamente il tuo universo personale. Nel mio percorso di lettrice ci sono state svariate letture che, nel bene o nel male, hanno lasciato un segno del loro passaggio. Ci sono stati autori che, silenziosamente, hanno soggiornato per più di qualche giorno nel mio cantuccio personale e altri che sono scomparsi così come sono apparsi: in un battito di ciglio. Vicolo del mortaio, per gran parte del mese di cui seppi avrei dovuto leggere per partecipare all’ennesima sfida di lettura, aveva un chè di affascinante ma allo stesso tempo remoto e lontano che espugnava una libertà senza limiti. La libertà a cui faccio cenno, effettivamente è esplicata dal desiderio dei protagonisti di allontanarsi da qualunque forma di ribellione, da qualunque partito affinchè non si diventi schiavi, ostruiti da qualcosa o qualcuno. Il cuore, infatti, dopo una manciata di pagine, prese una strada tutta sua: pregno di sentimenti contrastanti, zuppo di oscurità e malignitudine che annichilisce qualunque intento benefico. E, alla fine, si stanzia sull’eternità del Tempo presentandosi esattamente per com’è: una cornice che non dà niente di nuovo e in cui gli stessi personaggi non cambiano. Ma forse, qui, si resta immutati, conservando e preservando una certa magia. Serbando l’essenza stessa di un luogo apparentemente luminoso ma annichilito dalla guerra che sfolgora e riverbera per il suo particolare modo di sopravvivere alla vita stessa.

Titolo: Vicolo del mortaio
Autore: Nagib Mahfuz
Casa editrice: Feltrinelli
Prezzo: 9, 50 €
N° di pagine: 250
Trama: "Vicolo del mortaio" è la descrizione, lievemente ironica e distaccata, della vita quotidiana che si svolge in un vicolo del Cairo, durante la seconda guerra mondiale. Mahfuz ci offre il vivido ritratto di un'umanità dolente, spesso molto misera: lo sfruttatore di mendicanti che procura mutilazioni definitive dietro compenso; il proprietario del caffè, esacerbato da un'inclinazione omosessuale e dall'assuefazione alla droga; il giovane barbiere che vuole santificare il suo amore per il Vicolo attraverso quello per una ragazza, Hamida; e poi Hamida stessa, nella cui volontà di fuga dallo squallore del suo quartiere natio è adombrata la ribellione radicale, l'impronta di un eterno e universale "esser-giovani", in opposizione a ogni forma di immobilità. Mahfuz rappresenta tutto ciò con semplicità e insieme con esotica raffinatezza, dosando i dialoghi e i momenti di riflessione in modo da lasciare sempre un varco tra un episodio e l'altro. In ultimo, è la vita, nella sua nudità essenziale e drammatica, a imporsi a tutti come una sorta di riequilibratore deus ex machina.

La recensione:

 

Amo Dio, me amo i colori  e le voci, le notti e i giorni, le gioie e i dolori, gli esseri animati e le cose, esso è un bene assoluto e il male è solo un’incapacità patologica di comprendere il bene nei suoi lati nascosti.

 

Quando aprì il romanzo non immaginavo di certo che le sue pagine nascondessero un mondo, sempre ammesso che una copertina suggestiva ma che effettivamente dice poco e niente trasmettesse qualcosa di più di un semplice paesaggio, e nelle strade sporche e impolverate del Cairo una in particolare, detta Il Vicolo, scrive le pagine di un guazzabuglio di personaggi che sicuramente dimenticherò fra qualche settimana, soppiantati dalla presenza di altri, ma la cui esistenza è legata alle radici della vita, conserva i segreti del passato. Linfa vitale di ogni cosa, in cui la perenne lotta fra bene e male incorre fra uomini ricchi e no che lentamente si stanno avviando lungo il cammino della decadenza, la loro esistenza si sta lentamente appassendo come un bellissimo fiore. Ma, se credenti, una guida potrà condurli lungo la retta via: Dio potrà modificare il loro destino, potrà aiutarli a guardarsi dentro e comprendere chi effettivamente siamo.
Dove ero capitata, sinceramente non lo sapevo. Sforzarmi di capire chi fosse il vero fautore e promotore di questa esistenza che sembra stia per scomparire fra le macerie, scavando a fondo e portando alla luce le poche cose che sapevo del suo autore, gli anni difficili, attanagliati e aggravati dal peso della guerra, e poi la mia venuta per una semplice casualità, il grande oracolo della destinazione che mi indusse ad abbracciare l’ennesima sfida letteraria credendo in Dio ma assuefatta a tal punto da cristallizzare la semplice idea che l’amore e l’eternità possano diventare un tutt’uno quanto adoperarli come espedienti, modalità per la stessa sopravvivenza. Dio, così buono e misericordioso, avrebbe vegliato su di me, su di loro, su ogni singola creatura figlia di Adamo che cammina su questa terra, e chiunque si fosse opposto al suo credo era uno stupido o un vigliacco, come lo sarebbero stati di certo quei poveri disgraziati che, per un motivo o per un altro, rinnegheranno ogni cosa.
Col cervello imbottito di una sfila di informazioni che non tolgono ne danno nulla di così importante e relativo, scodellato negli anni da romanzi e film hollywoodiani, la realtà concreta è che quando mi imbatto in questa tipologia di romanzi è che nonostante la loro apparente semplicità, il loro essere usuale in un vasto Cosmo di cose inusuali e forse anche già viste, mi distolse dal mio personalissimo cerchio viziandomi della sua essenza, del suo essere presente e vivo senza e un vero e proprio perché, e la costruzione di un destino che adesso, nel mentre ripongo queste poche righe, mi accorgo sia troppo tardi per rimediare ai << danni >> della vita stessa e chi legge, inevitabilmente, si sente perduto.
E quindi, niente di tutto ciò spiega come mai, nonostante Vicolo del mortaio non possiede niente di speciale, continua a tartassarmi il cervello, a spiccare nella mia quotidianità, a gracchiare nelle mie piccole orecchie, né come mai, restando sempre la stessa, fossi diventata ancora più desiderosa di conoscere a fondo l’autore. Il tempo, è proprio vero, è il miglior espediente per riconoscere qualcosa o qualcuno. Le risposte, dico sempre io, ci vengono date solo se riponiamo quella giusta pazienza, quell’equilibrio utile che si sposa col nostro animo e ci porta non solo a capire ma a guardarci dentro, magari modificando o attingendo a qualunque stimolo esterno. Non avevo visto questo romanzo come lo vedo adesso. Anzi, non lo vedevo proprio. Ma dopo essermi immersa in una realtà apparentemente simile alla nostra ma che in un certo senso ti legge dentro – si, non sei tu a leggere il romanzo, ma è il romanzo stesso a guardarti -, mi chiesi dove l’autore volesse andare a parare e non avendo effettivamente una risposta concreta, si è però inoltrato nella mia anima e lì c’è rimasto. In cerca di qualcosa? Qualcosa che fosse morto o vivo? Isolato dagli altri o unanime ad altre voci? Senza dubbio nasconde al mondo gran parte, se non tutta, la vita interiore dell’autore, ma che ho compreso né vedendo la distanza fra autore e romanzo accorciarsi, quanto farsi sempre più vicina.
Nagib Mahfuz non credo brillò artisticamente parlando per il suo estro innovativo. Insignito alla candidatura del Premio Nobel è però ricordato per essere l’artista più sensazionale del mondo, che conobbe i limiti del suo modesto talento e trasse piacere da ciò facendo di quest’arte non solo un mestiere ma uno stile di vita. Dunque, Vicolo del mortaio sciorina elementi, snocciola tematiche che non hanno niente di così memorabile da altri romanzi del genere, ma mette insieme l’idea che l’individuo è si un individuo autonomo ma che deve essere guidato da qualcosa o qualcuno di potente, ovvero Dio. Lui così buono e generoso avrebbe esaudito qualunque desiderio, lui così caritatevole e comprensivo avrebbe agito quando meno ce lo saremmo aspettati. Io, che disgraziatamente non sono mai ascoltata, continuo a credere al suo potere onnisciente e ripone, giorno dopo giorno, speranze che da un momento all’altro la vita possa essere meno << impegnativa >>. Ma, questa è un’altra storia.. Sicuramente, ci si aggancia alla sua presenza depositandoci in un angolo profondo del suo immenso Sapere, e attendiamo pazientemente che arrivi presto anche qualcosa per noi.
Dalla generosità delle sue innumerevoli gesta, Nagib Mahfuz uscì illeso da guerriglie e rivolte varie che lo resero un combattente del secolo passato di cui si fatica a comprendere come le sue opere siano un ritratto veritiero di ciò che c’è stato. Nonostante abbia letto un solo romanzo, appuro sia così, che ho letto e divorato queste pagine come se attanagliata da una fame interiore, una strana fame che nemmeno due giorni di intensa lettura ha dissipato, insegnandoci come la storia di un popolo, le sue culture, le sue credenze sono dei componimenti classici per un’enciclopedia storica di cui bisognerebbe trarre esempio, farne tesoro, a volte emotivo a volte no, a volte piatto a volte travolgente come uno slancio improvviso d’affetto, abdicando a una realtà che c’è stata e di cui dovremmo trarre insegnamento. Insinuata impunemente in un circo di animosità e di torture più meschine, mentre il cuore mi si stringeva sempre più, gli occhi seguivano febbrilmente i caratteri stampati, dichiarazione di libertà da un periodo storico particolarmente saliente che si legge e si vive in silenzio e che, a modo suo, ci evita qualunque cosa, fatto o evento che possa farci soffrire.

 

Potessi restare fino alla fine dei miei giorni in quei luoghi santi, nella terra calpestata dal Profeta, respirare l’aria che ha sentito il battito delle ali degli angeli e vedere le dimore dove è risuonato la rivelazione celeste.

 

Valutazione d’inchiostro: 4 e mezzo

2 commenti:

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