Il destino, alla fine, ci conduce quasi sempre sui nostri passi. A un ritorno, di qualunque argomento si tratti, che mette a posto qualcosa dentro di noi. Come una magia, si rievoca il ricordo affinché ci si guarda con gli occhi di un altro, ma in cui si portano a compimento quelle che sono divenute le priorità del momento. Per me che leggo ormai da tantissimo tempo, i classici esplicano un’importanza fondamentale. E, rischiando di diventare ripetitiva, alla fine sono riconducibili, facilmente, perlomeno per me, a scovare ciò che più desidero: felicità, la mia stessa integrità. Perché interpretando il passato riesco a comprendere il presente, farne testo, affinché il futuro sia migliore di questo. E affinchè tale operazione si ripete all’infinito, perlomeno ogni qualvolta mi imbatto nella lettura di un classico, a confrontarmi col mondo presente delle volte riscontro qualche difficoltà. Ma una volta scovato il proprio mondo, la tua comfort zone, perché distaccarsi? Ogniqualvolta esco ripongo un certo rispetto a ciò che mi è del tutto ignoto, sconosciuto, ma mai mi sento di farne parte. Un’estranea in un paese straniero. Nel giro di qualche settimana dall’ultimo post, ecco un’altra bella carrellata di romanzi classici letti e amati intensamente. L’eco di storie che, nel cantuccio personale in cui sono custodite, a volte sfavillano altre volte balenano. Nell’insieme divampano di una luce tutta loro che, per i miei occhi deboli, è sempre troppo forte.
Dichiarazione d’amore al poema originale, dipingendo una o più idiologie umane mosse da motivazioni che approfondiscono o confermano un tema significativo come quello della condizione umana, scandagliando ogni cosa, ponendo un’idea chiara di tale condizione che, seppur l’ironia di cui è impregnato, genera insoddisfazione, impotenza.
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Titolo: I nostri antenati
Autore: Italo Calvino
Casa editrice: Mondadori
Prezzo: 15 €
N° di pagine: 482
Trama: «Raccolgo in questo volume tre storie che ho scritto nel decennio '50-60 e che hanno in comune il fatto di essere inverosimili e di svolgersi in epoche lontane e in paesi immaginari. Ho voluto farne una trilogia d'esperienze sul come realizzarsi esseri umani: nel Cavaliere inesistente la conquista dell'essere, nel Visconte dimezzato l'aspirazione a una completezza al di là delle mutilazioni imposte dalla società, nel Barone rampante una via verso una completezza non individualistica da raggiungere attraverso la fedeltà a un'autodeterminazione individuale: tre gradi d'approccio alla libertà. E nello stesso tempo ho voluto che fossero tre storie, come si dice, "aperte", che innanzi tutto stiano in piedi come storie, per la logica del succedersi delle loro immagini, ma che comincino la loro vera vita nell'imprevedibile gioco d'interrogazioni e risposte suscitate nel lettore. Vorrei che potessero essere guardate come un albero genealogico degli antenati dell'uomo contemporaneo, in cui ogni volto cela qualche tratto delle persone che ci sono intorno, di voi, di me stesso.»
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In un carosello di azioni, gesti, un numero spropositato di volti a cui ha una certa prevalenza quella dell’infante, della bambina come simbolo di mutamento continuo. Poichè nonostante possa apparire superfluo, gli infanti rivelano quella possibilità di scandagliare ogni cosa, sussurrare il tutto a fior di labbra, in un paradiso terrestre mancato, glorioso e verdeggiante in cui rifugiarsi è opportunità di rinascita.
Titolo: Preludio e altri racconti
Autore: Katherine Mansfield
Casa editrice: Mondadori
Prezzo: 12 €
N° di pagine: 192
Trama: Tutti e tre i racconti di questo volume – Preludio (1918), Alla baia (1921) e La casa delle bambole (1922) – mettono in scena i membri di una stessa famiglia, i Burnell, per narrare tre volti di un'infanzia neozelandese che è poi quella dell'autrice. Segnati dal carattere inconfondibile dell'isola natale, ma dotati di un respiro universale, i tre testi di Katherine Mansfield tratteggiano esistenze votate all'"essere altrove" e ci parlano di trasferimenti, di vacanze, di scoperte, di viaggi fisici o interiori, tra l'esotismo di una natura sensuale e una percezione di straniamento sottile quanto ineludibile.
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Frutto di una chiusa nonché allegoria della stessa giovinezza, che rende, anche solo vagamente, contenti, felici, spensierati a vivere a seconda di ciò che ci è dato. Reso indifferente l’uno dall’altro ma coerente e unitario nella stessa vita, scovando così non solo l’assetto negativo delle cose ma anche quello positivo. Perché è da essi che si vive.
Titolo: Jean Santeuil
Autore: Marcel Proust
Casa editrice: Edizioni Theoria
Prezzo: 20 €
N° di pagine: 801
Trama: Apparso in Francia nel 1952 (a trent'anni dalla morte dell'autore), grazie al ritrovamento del manoscritto, Jean Santeuil è il primo romanzo, rimasto incompiuto, del più grande narratore del Novecento: Marcel Proust. Scritto a partire dal 1895, è stato considerato, a parere della critica, il miglior documento per comprendere le ragioni primordiali di quella che diventerà poi l'opera per eccellenza: Alla ricerca del tempo perduto. Ma Jean Santeuil è anche un romanzo autonomo - disseminato di elementi autobiografici che molto ci fanno scoprire della vita del giovane Marcel -, con tutte le qualità che attribuiamo ai libri di uno scrittore di grande talento: stile unico e inconfondibile; capacità di costruzione; visione del mondo. Dopo la traduzione di Franco Fortini, in Italia il romanzo è stato colpevolmente dimenticato. Ora, finalmente, grazie a questa nuova traduzione, firmata da Salvatore Santarelli, possiamo tornare a leggere una delle opere più originali della storia del romanzo moderno. Da Proust, dalla lettura di ogni sua pagina, non si può prescindere. Egli è uno di quei rarissimi scrittori capaci di modificare la nostra stessa sensibilità.
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Alla fine, mi sono appassionata talmente tanto, che giungere alla fine mi parve inaccettabile. Influenzata sicuramente dalla mitologia, dall’aura mistica del luogo che ha generato fascino, ammaliamento, cosicché la storia, lo studio della psiche umana. L’anima si perde in meandri irrecuperabili da cui è impossibile recuperare o carpire alcunchè, perfino il più comune degli istinti umani.
Titolo: Il castello di Otranto
Autore: Horace Walpole
Casa editrice: Bur
Prezzo: 9, 50 €
N° di pagine: 167
Trama: Si suppone che gli avvenimenti si svolgano nel Duecento. Manfredo, signore di Otranto, nipote dell'usurpatore del regno che ha avvelenato Alfonso, il lettimo sovrano, vive sotto l'incubo di una profezia, secondo cui la stirpe dell'usurpatore continuerà a regnare, finché il legittimo sovrano non sia divenuto troppo grosso per abitare il castello e finché discendenti maschi dell'usurpatore lo occupino. Quando la profezia sembra avverarsi, Manfredo atterrito confessa il modo dell'usurpazione e si ritira in un monastero con la moglie. Il romanzo fu pubblicato nel 1764 e, nella prima edizione, era descritto come una versione dall'italiano.
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E’ importante, alla fine, ciò che resta. Il suo effetto, così lungo, straordinario molto più di quel che avevo previsto. Il cui cuore pulsante, è quello di un nobile combattente, di cui nobile tuttavia ha solo l’amore per la letteratura, che bramò la nascita di un giorno in cui avrebbe scaricato ogni cosa nel baratro delle nullità, lasciando campo libero ad una prospettiva di vita diversa, se non migliore, di questa.
Titolo: Viaggio al termine della notte
Autore: Louis Ferdinand Céline
Casa editrice: Corbaccio
Prezzo: 20 €
N° di pagine: 564
Trama: A novant'anni dalla sua pubblicazione e a oltre sessanta dalla morte dell'autore, Viaggio al termine della notte si impone come il romanzo che ha saputo meglio capire e rappresentare il Novecento, illuminandone con provocatoria originalità espressiva gli aspetti fondamentali. «Céline è stato creato da Dio per dare scandalo», scrisse Bernanos quando nel 1932 il romanzo diventò un successo mondiale, suscitando entusiasmi e contrasti feroci. Lo «scandalo Céline», che dura tuttora, è la profetica lucidità del suo delirio, uno sguardo che nulla perdona a sé e agli altri, che ha il coraggio di affrontare la notte dell'uomo così com'è. L'anarchico Céline, che amava definirsi un cronista, aveva vissuto le esperienze più drammatiche: gli orrori della Grande Guerra e le trincee delle Fiandre, la vita godereccia delle retrovie e l'ascesa di una piccola borghesia cinica e faccendiera, le durezze dell'Africa coloniale, la New York della «folla solitaria», le catene di montaggio della Ford a Detroit, la Parigi delle periferie più desolate dove lui faceva il medico dei poveri, a contatto con una miseria morale prima ancora che materiale. Totalmente nuovo nel panorama francese ed europeo è stato poi il modo insieme realistico e visionario, sofisticato e plebeo con cui Céline ha saputo trasfigurare questa materia incandescente. Per lui, in principio, è l'emozione, il sentimento della vita: di qui l'invenzione di un linguaggio che ha tutta l'immediatezza del «parlato» quotidiano, capace di dar voce, tra sarcasmi e pietà, alla tragicommedia di un secolo. Questo libro sembra riassumere in sé la disperazione del Novecento: è in realtà un'opera potentemente comica, esilarante, in cui lo spettacolo dell'abiezione scatena un riso liberatorio, un divertimento grottesco più forte dell'incubo. Oggi il Viaggio, nella traduzione ormai classica di Ernesto Ferrero, scrittore particolarmente attento al «colore» dei linguaggi, si offre a nuove generazioni di lettori con l'intatta freschezza di un «classico» che non finisce di stupire per la sua modernità.
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Un’ opera solennemente letteraria che evidenzia come la bellezza talvolta può essere colei che lega qualcosa di forte, tangibile, indelebile che ha funto da filo conduttore fra me e questo mondo, che però non fa trattenere il fiato come credevo ma richiama la narrativa romantica vittoriana a cui sono abituata, che, arrivando in sordina, mi ha reso partecipe di una vicenda dolce/ amara in un mare di ricordi che fluttuano nel tempo sempre più remoto.
Titolo: Una nobile donna
Autore: Frances Hodgson Burnett
Casa editrice: Elliot
Prezzo: 17, 50 €
N° di pagine: 256
Trama: Quale sorpresa sarà quest'incredibile romanzo per il lettore italiano. Chi si aspetta una semplice storia d'amore ambientata in epoca vittoriana o chi crede di ritrovarvi elementi comuni con la letteratura per l'infanzia ("Il piccolo Lord" e "Il giardino segreto"), per cui Frances Hodgson Burnett è maggiormente nota, rimarrà meravigliato e positivamente colpito. La scrittura e i contenuti eccezionalmente moderni, i protagonisti dallo spessore profondamente realista, i dialoghi vivaci, i temi trattati rivoluzionari per l'epoca e, in alcuni casi, persino per quella odierna rendono la storia di Clorinda, la nobile donna cui fa riferimento il titolo, un'eroina indimenticabile. La sua storia è emblematica di una condizione femminile comune nei secoli passati: alla sua nascita, la madre muore di parto e il fatto che sia una femmina la priva di ogni valore agli occhi del padre, il quale rifiuta ogni contatto e l'abbandona. Qualche anno dopo, l'uomo torna e trova una bimba fuori dal comune, i cui modi lo conquistano, creando così un forte legame tra loro, destinato a durare nel tempo. Clorinda diventerà una giovane donna dalla lingua tagliente e dalla volontà di ferro, capace di capovolgere gli schemi che la vorrebbero docile e sottomessa alla volontà degli uomini, una donna di nobili sentimenti in grado di affrontare ogni esperienza (incluso l'amore) con coraggio e determinazione.
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Confessione sussurrata dalle stanze buie e polverose dell’anima di un uomo, un ragazzo, che procede come un soliloquio e le cui pause scandite hanno la forma di un delirio. Apparentemente cinico ma sognatore, galleggiando in un pozzo oscuro di irrealtà evanescente, desideroso di essere se stesso e non soggiogato dalla natura degli stessi sentimenti. E, vigile e silenzioso, ovattato, semplice e drammatico, proiettato in un teatro di azioni in cui alla fine ci si rende conto di essere a immagine e somiglianza di Dio in cui il bello in tutto ciò sta nei tentativi di comprendere la vita stessa. Allucinante e oscura come questa.
Titolo: Il diavolo in corpo
Autore: Raymond Radiguet
Casa editrice: Feltrinelli
Prezzo: 9 €
N° di pagine: 160
Trama: Scritto dal giovanissimo diciottenne Radiguet e pubblicato due anni prima della sua morte, "Il diavolo in corpo" narra la storia, in parte autobiografica, di un adolescente che scopre l’amore. Ambientato ai tempi della prima guerra mondiale, ha per protagonista un ragazzo che diventa l’amante di una giovane donna, Marthe, poco più grande di lui, promessa sposa di un soldato al fronte, Jacques. È un’iniziazione sentimentale e sessuale febbrile e perturbante, dall’esito tragico. Una passione sondata con sguardo penetrante dall’autore, che scandaglia i contraddittori impulsi dell’adolescenza di fronte al sesso e alla responsabilità dell’età adulta. Il romanzo, che fece scandalo alla sua uscita, ebbe un clamoroso successo come prototipo del bestseller erotico. Diventato un classico della letteratura francese d’inizio Novecento, è stato portato anche sul grande schermo nel film di Claude Autant-Lara con Gérard Philipe (1947) e ha ispirato in misura più libera quello di Marco Bellocchio del 1986.
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Un urlo al passato, un atto di ribellione - a modo suo - che desidera ristabilire un certo equilibrio, sia fisico sia mentale, che tuttora è infranto da diverse suddivisioni. Saliente opera che si è ancorata alla mia anima e lì resterà, metodo segreto utile per interpretare e capire un pó meglio il mondo.
Titolo: Il mondo di ieri
Autore: Stefan Zweig
Casa editrice: Mondadori
Prezzo: 14, 50 €
N° di pagine: 396
Trama: «Non narrerò tanto il destino di me solo, quanto quello di tutta una generazione, della nostra inconfondibile generazione, la quale forse più di ogni altra nel corso della storia è stata gravata di eventi.» Molto più che semplice autobiografia, "Il mondo di ieri" è il ritratto incantato di un'epoca scomparsa, la suprema epopea di quella "Felix Austria" che tanto segnò la storia e la cultura europea, quel mondo nel quale «ognuno sapeva quanto possedeva e quanto gli era dovuto, quel che era permesso e quel che era proibito: in cui tutto aveva una sua norma, un peso e una misura precisi». Al centro della narrazione sta la Vienna imperiale, simbolo di un'epoca indimenticabile che Zweig – esponente di una generazione che «ha imparato a fondo l'arte preziosa di non rimpiangere il perduto» – descrive in tutto il suo splendore e in tutte le sue contraddizioni. Pubblicato postumo, "Il mondo di ieri" è segnato da un'atmosfera autunnale che imprime all'intera opera il severo suggello della modernità.
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