venerdì, giugno 19, 2020

Gocce d'inchiostro: L'uomo che ride - Victor Hugo

8 giorni di intensa e fervida lettura. Ininterrottamente? Assolutamente si! Nella settimana che ci stiamo per lasciare alle spalle, mi sono situata in un posto – un bellissimo posto – che mai avrei creduto di poter vedere, osservare attentamente con i miei occhi, neanche tra mille possibilità. Ero stata dunque così ingenua? O fu Victor Hugo a provocarmi, un banalissimo pomeriggio di fine maggio, così pazzo ad invogliarmi ed inerpicarmi fra le pagine di un trattato storico, un romanzo di denuncia politico e sociale che ritocca la creazione, talvolta in bene talvolta in male, come un capolavoro a ritroso? Conseguenza di tali eventi è disgraziatamente l’uomo che, degradato e attanagliato da colpe, ansie e paure che effettivamente non ha, lo deforma.
L’uomo che ride però è un opera simbolica, un romanzo di spicco della letteratura medievale francese che mi ha indotto a fermarmi sui miei passi, riflettere, riporre speranze che non sono del tutto vere nel contrapporre la brutalità umana. Costituito e sorretto da una trama a tinte fosche, ma pieno di luce e amore ma che costituiscono il più nero dei romanzi neri. Così disperato e disperante, che non trova nella sua costruzione polifonica o a puzzle la sua vera e propria identità, ma in un insieme disomogeneo che alena ad un unico obiettivo: rifulgere da una realtà distorta, completamente differente e a quella vissuta.
Titolo: L’uomo che ride
Autore: Victor Hugo
Casa editrice: Oscar Mondadori
Prezzo: 13 €
N° di pagine: 684
Trama: Nell’Inghilterra di inizio Settecento un bizzarro vagabondo, Ursus, poeta e filosofo di strada, raccoglie due orfani e li educa all’avventurosa vita dei girovaghi. Insieme formano una compagnia di mimi e vanno alla scoperta della splendida e miserabile società inglese dell’epoca. Ma il ragazzo, deformato nel volto da un continuo ghigno, nasconde un segreto. E quando scopre per caso la sua vera opinione, vede il proprio destino incrinarsi …


La recensione:

Non si sa più scolpire nella viva carne umana: ciò rientra nel fatto che l’arte dei supplizi si è persa; un campo in cui si era virtuosi, non lo si è più; si è semplificata quell’arte al punto che tra non molto forse scomparirà del tutto.

Questa mastodontica opera ha riposato sullo scaffale di una libreria piuttosto capiente per poco tempo, un accozzaglia di fogli, parole fresche di stampa che profumano ancora d’inchiostro rovesciato alte quasi metà di un enciclopedia e i resti spiegazzati di un volto di un uomo dall’aria truce, minacciosa, quasi torva, dove si è posato il mio sguardo per quasi due settimane … che ho vissuto in una Londra fumosa, ombrosa, oppressiva, grigiastra di fine 600 …. E chi avrebbe voluto andarsene? E dove? E perché? In che altra sistemazione avrei dovuto risiedere? No, non c’è stato nemmeno un momento che ho desiderato volgergli le spalle: mi riesce ormai facile immaginare le cose più ripugnanti, il fetore nauseabondo, il marciume che le mie scarpe hanno inevitabilmente pestato durante il corso della lettura. Ma mi è ancora impossibile capire in che modo fossi finita qui, nuovamente fra le braccia di un uomo enigmatico e severo come Victor Hugo. Non ci sono più dubbi ai quali aggrapparsi per addolcire la sorpresa, qualunque fosse che silenziosamente mi ha aspettato.
Il posto nel quale vi ho risieduto non fa certamente pensare che L’uomo che ride sia un opera facile, ma estremamente impegnativa, solenne, in cui sono stata attanagliata da un forte senso di angoscia – così nera e profonda – che è molto simile a quella della cosidetta ansia del sole assente, ma che ti induce a riflettere, a fermarsi in preda ad elucubrazioni in cui lo spirito possa addentrarsi. Nell’invisibile ma nel possibile, in un certo smarrimento, in una certa dispersione che mi ha letteralmente consumata, sottratto qualunque rimasuglio di felicità, lietezza. Qualcosa di tangibile ma di trasparente che è stata come un ombra che mi ha completato. Relitto di un destino ignoto, unito a tutte le reticenze della morte.
Le difficoltà iniziali di mettere in ordine i pensieri, le sensazioni, qualunque emozione riscontrata svanì come fiati di vapore nell’atmosfera nel momento in cui quella combustione di idee, quel guazzabuglio di sensazioni hanno potuto raccapezzarmi. Londra era quella landa fervida ma disomogenea che di certo non fa pensare che, nel momento in cui ci si addentra fra le sue pagine, mantenga intatta quell’obiettivo estetico e morale che l’autore potesse cambiare il corso della storia francese medievale. Gli arrugginiti ingranaggi di una società che poggia più su forme volute che si possono comandare e modellare a piacimento, minaccia per la legge e per qualunque forma anti moderna, sarebbero venuti giù, si sarebbero ben presto staccati dagli atti osceni di una dinastia che sovrasta, piomba nei cuori algidi o ferventi di marionette che sembrano non avere vita propria ma che coraggiosi e intrepidi intraprendono qualunque forma di libertà pur di salvare vite accusate ingiustificatamente. Stanziati illecitamente nell’immensa solitudine nella vita degli stessi, che senza amore o virtù non spiccherebbero per forma o sostanza. Si, perché differentamente da Notre Dame de Paris, L’uomo che ride è esageratamente intriso di dialoghi non realistici, è zeppo di figure profondamente sole, ma che in un modo o nell’altro ci serbano sempre e soltanto forme di solitudine ancor più profonde. Non c’è stato nulla che ho potuto fare nell’osservare il tutto. No, la solitudine nei romanzi di Hugo non dovrebbe sorprendermi, ne questa forte denuncia alla società, ai regimi monarchici di una dinastia che attanaglia, ossessiona, per potente che possa essere nel viverlo in prima persona. Hugo ha così cercato di tirar fuori tutto quello che ha dentro, che serbò nella sua anima nel periodo in cui fu imprigionato, prima della sua morte, che altri non è che un riverbero dei suoi romanzi: nemmeno accanirsi così tanto su qualcosa o qualcuno consegue un certo riscatto. L’individuo è un essere solitario, un sodalizzo che trae profitto dalla spietatezza, dalla brutalità, da forme di diniego o rifiuto che si sovrappongono alle calamità, a innumerevoli quantità di castigo nel solo fatto di esistere, nel momento in cui riconoscono che la morte è una liberazione. Piccoli grandi dettagli che fanno parte della bruttezza umana, che in soprassalti di coscienza, beffato, denigrato, maltrattato, rivela una natura quasi mostruosa.
In un manto di cupa dannazione da cui mi sono potuta raccapezzare, osservando il tutto sotto diverse prospettive, L’uomo che ride si muove dal basso, nel drammatico dramma di un teatro di azioni che scombussolano chiunque., ed io ne sono rimasta così affascinata, così stranulata nel comprendere com’è stato possibile potesse esserci così tanta intensità letteraria. Questa è letteratura! La parola forse più difficile per molti autori moderni, ma una scialuppa di salvataggio per quegli scrittori che uscirono lentamente dai secoli più bui della storia. Da Victor Hugo ho imparato come nei suoi romanzi i messaggi sono celati nella bellezza, nella descrizione dei secoli più bui della Storia, nella razza umana, nel suo << modo >> di approcciarsi alla vita, descritti nella maniera più difficile, ma così intelligentemente … forse è stato questo fattore che sotto una massa fosforescente di parole, delusioni, passioni, il sovraccarico di informazioni riposte in L’uomo che ride che comprende, credo deriva esattamente da questo. E’ mediante un linguaggio forbito, sagace, ammaliante, denso, quasi che il romanzo fa luce sul concetto di eternità come qualcosa di intrinseco al tempo ma anche al tipo di potere che esercita l’uomo nel soggettare il prossimo in cui la forza brutale della natura, le sue innumerevoli leggi, impediscono di respingere l’enorme palpito tenebroso. La furiosa tempesta del sentirsi perennemente impotenti, incompresi, soli, perfino nel momento in cui si è disposti ad accettare sbalzi numerosi di volontà, che confluiscono in una << tranquilla >> tregua, carica però di forme sinistre, malvagie, preda di morti di fame, parassiti. Il popolo rendeva omaggio alla monarchia, mentre la dinastia si risollevava in una ritrattazione poetica e gloriosa e trionfante, nell’istante in cui il passato divenne futuro e il futuro passato.
Sulla soglia di una storia che perpetuerà nei meandri della mia coscienza per parecchio tempo, in cui echeggierà il nome di questo orripilante uomo, L’uomo che ride è intriso di quella magia che confidavo di riscontrare e che niente e nessuno mi avrebbe impedito in questa mia lenta avanzata. Incontro obbligato con la letteratura medievale, squarci di vite lontane e passate che altri non sono che un concentrato di efficienza, sporcizia, disordine, il non essere più grande di quel che è già, che evidenziate in un maestoso e contorto insieme, mi hanno concessa l’opportunità di rifugiarmi per quasi due settimane, con vigore, coraggio, agilità e passione. Impossibilitata ad astenermi da questo viaggio, tenebroso e crudele la cui immagine brucerà come un cerchio nero che perseguita a lungo la vista dell’imprudente che ha fissato a lungo il sole.

L’amore vero non si affievolisce. Essendo tutto anima, non può intiepidirsi. Una brace si copre di cenere, una stella no.

Valutazione d’inchiostro: 5

4 commenti:

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