venerdì, agosto 13, 2021

Gocce d'inchiostro: Pian della tortilla - John Steinbeck

Quando un autore o autrice istiga la mia curiosità, alimenta quel piacere intenso di sorvolare quei confini inestricabili ma bellissimi della letteratura, in poco tempo può trasformarsi in qualcosa di straordinario. Recentemente, nei miei salotti letterari e nel mio blog, ho ospitato un uomo che, senza chiedere niente di particolarmente importante, né niente di straordinario, fece della sua passione un lavoro che lo condussero a valicare i confini di terre straordinarie ma violate. John Steinbeck, quanto sostenne in più di una sua intervista, non aveva un metodo particolare o preciso. Era semplicemente uno << psichiatra >> di quella fetta di società che era costretta a sentire quasi in trance, anche per contatto, quel male del secolo che gravava sulle loro coscienze come fardelli troppo pesanti. Io stessa ho avvertito il mio essere e continuare ad esserci per pura curiosità, che non ho riscontrato alcun problema per comprendere certe cose. Non ho motivo di non credere che ciò che leggo non sia esclusivamente romanzato. Forse i personaggi, alcuni luoghi ma non gli eventi. Io non ne dubito.
La vita presto o tardi ci concede anche piccoli attimi di felicità. Pian della tortilla, nonostante lontanissimo da Furore o La valle dellEden, è un romanzo picaresco che è dotato di una sottike comicità, che proietta chi legge in uno scenario straordinariamente bello ma distante a cui ci si affida aggrappandosi a qualunque assetto comunicativo e sociale. È ovvio che l’esordio di un autore genera sempre qualche dibattito, ma in Steinbeck era già presente quella dote innata che scalciava per fuoriuscire. Il tempo presto gli avrebbe suggerito altre cose da fare, altri capolavori da scrivere, di cui pian piano la mia libreria si arricchirà esponenzialmente.

Titolo: Pian della tortilla
Autore: John Steinbeck
Casa editrice: Bompiani
Prezzo: 11 €
N° di pagine: 263
Trama: << Pian della Tortilla >> è il quartiere di Monterey in cui vivono i paisanos, un luogo dove sopravvivere è il fine primario. Discendenti dei primi californiani, formano una colonia di gente povera ma felice, di perdigiorno amorali ma intimamente inconscienti nelle cui vene si intreccia sngue messicano, indio e spagnolo. Tra questi vive Danny, che ha ereditato due case e vive con sette paisanos cui ha concesso il diritto di dimorare nelle sue proprietà. Le giornate passano tra bevute e corteggiamenti, truffe ed espedienti, mentre il lavoro viene considerato l’ultima risorsa per procurarsi i mezzi di sussistenza.

La recensione:

 

Un’anima purificata, e insomma salvata di fresco, è indubbiamente un’anima in pericolo più di ogni altra, poiché tutto al mondo cospira contro di lei.


Un’altra storia che ha suscitato il mio interesse fu quella di questo piccolo paesino dell’America rurale, zeppa di contadini, lavoratori, braccianti, agricoltori che, con nient’altro che armi o strumenti, si accontentano della gioia stessa, della beatitudine che deriva da un adempimento di fraternità per vivere o sopravvivere. Imprigionati da forze, elementi supremi in cui ci si batte per l’autonomia, la meritocrazia, l’affermazione di se, unità indivisibile e indistruttibile., che conobbero dolcezza, gioia e dolore. Scrivere di loro, osservarli in cerca di qualcosa che potesse mettere a posto ogni cosa, spiritualmente parlando intendo, andando a visitare un nuovo centro rurale, lì, fra queste cose, venni a sapere che i peggiori criminali erano oramai considerati figure da cui bisognava starci lontani. Pian della tortilla, infatti, trascende sulla volontà umana, fu concepito dalla fervida curiosità dell’autore di conoscere quelle figure che un tempo si temeva.
Una zona di campagna dove molti gli incontri o scontri erano avvenuti negli ultimi anni della Grande Depressione. Sarebbe stato interessante navigarlo in tutta la sua interezza, avrei potuto valicare i confini. Una mattina andai così fino a questa Pian della Tortilla per vedere quali sarebbero state le possibilità di un John Steinbeck ancora << acerbo >>, ma l’unica informazione che avevo era tirar fuori da questo viaggio qualcosa che avesse una sua anima.
Quanto al resto, la storia è bellissima come tanti altri romanzi scritti. Netta la differenza fra capolavori come Furore o La valle dell’Eden o Uomini e topi, ma per salire a bordo di questo nuovo vascello avevo bisogno di un permesso speciale. Dovevo conoscere gli albori dell’autore, mettendo a tacere qualcosa che sgomitava dentro la mia anima. Era la prima volta che mi capitava di nutrire una tale curiosità, e lasciarsi andare e viaggiare da un posto a un altro per avere notizie di ciò che è stato.
Ho scritto questa recensione quasi di getto. Solitamente, durante il percorso di lettura, immancabilmente mi affido alla voce del mio taccuino preferito. Mi lascio subissare da parole, suoni, frasi a bordo di traballanti carretti o barchette di legno insostenibili, in villaggi a chilometri della Grande Mela, con una sequela di conseguenze che si impongono sulla nostra scia quasi volessero arricchire l’animo. Gli uomini! Sempre loro, unità di un unico essere, gli unici a formare quella grande comunità di cui ci si affida muovendoci mediante simboli primitivi. Danny, infatti, incarna esattamente questo prototipo sociale, che descritto come una sorta di superuomo si circonda di cavalieri valorosi, senza macchia ma coraggiosi ma non indistruttibili che periscono nel momento in cui meno ce lo aspettiamo.
Ho avuto come l’impressione di essere stata invitata a sedere dinanzi a alla Tavola Rotonda di re Artù, le cui reclute lo avrebbero protetto sin che morte non li avrebbe separati. La formula che fa funzionare questa opera prima, infatti, fu proprio quella estrapolata dall’amore che l’autore nutrì per il romanzo di Thomas Malory, inculcata dalle innumerevoli letture nel periodo della sua adolescenza. Questa Pian della Tortilla divenne quindi quell’Isola che non c’è che l’autore tuttavia raggiunse nel modo più elegante che si potesse immaginare, proiettando una storia apparentemente semplice in un mondo decadente, corrotto dal materialismo, che lentamente si avviò a una catastrofe. La salvazione verrà presto o tardi, qualcosa guiderà il rinnovamento dell’umanità. Per i membri del gruppo, Danny fu quel semidio, che avendo viaggiato in tutto il mondo, pronunciò il nome di Dio per accaparrarsi il più possibile quelle forze necessarie per sostenere lui e chi lo circondò, come un tempo facevano i membri maschili di una famiglia. Ma poi, rientrando nella vita normale, ritornano nuovamente ad essere chi erano: seguaci di un settore sorretto da un governo crudele e disumano.
Come con altri romanzi, in Pian della Tortilla ho respirato un’aria greve, quasi soffocante, nel cui animo è rimasto appiccicato come una sorta di vuoto. Un solco profondo che sono certa la lettura del resto delle sue opere potrà colmare, prima quasi inconsapevolmente, e in seguito, definitivamente drastico, finchè respirai l’aria malsana che si unificava a quella di figure recise e reiette che tuttavia hanno un cuore pulsante, e che desiderano allontanarsi da questo mondo triste e crudele. Così semplice ma massacrante, drammatico, costellato da dialoghi che mi hanno condotta come un invisibile passaporto, nei paradossi intellettuali di uomini forti e potenti ma << umani >>, che hanno una loro dignità, una certa forza, trasformandosi rapidamente in piccole creaturine desiderose di conforto e amore.
L’eccitazione di un viaggio introspettivo, intimo, quasi universale, le compatte guerriglie di uomini solo ma forti, il pellegrinaggio spirituale che darà vita a qualcosa d’importante, induriti e solidificati dall’addestramento di nuove forme di rispetto, fieri nella loro forma di vita imperfetta, cinse una vita che mi accompagnò in meno di duecento pagine. Chi ero io per irretire tutto questo, per respingere tutto questo, per odiare tutto questo? La guerra, vincere la guerra: nient’altro ha importanza. Grandi colpi al cuore. Steinbeck disgraziatamente li visse con i propri occhi. La morte aveva accolto nel suo freddo grembo troppe anime pure.
Fotografie di vite che mi hanno conquistato, intrigato, destabilizzato, Pian della Tortilla non sarà l’opera più bella della produzione steinbeckiana ma, per quanto mi riguarda, non bellissimo ma indimenticabile. Avevo la mia agenda preferita a portata di mano, piena di annotazioni, frasi sparse, pensieri che annoto ogni qualvolta leggo un romanzo, mentre pian piano avanzo in gironi infernali che non avranno nemmeno un epilogo. E, in un incontro fatale che suggellerà un legame che col tempo si solidificherà, ho visto le speranze o illusioni di giovani uomini svanire come fiati di vapore nell’atmosfera, attaccati all’anima di chi legge e poi lasciati al Caso, alla deriva. Combattenti che non hanno alcuna scelta fra la vita e la morte ma che possono scegliere come morire.
Romanzo pregno di moralità medievale la cui struttura drammatica pone dinanzi a delle contrapposizioni fra il bene e il male, in cui si anela a un cambiamento, romanzo dall’anima complessa che tuttavia si è sposata con quella semplice del mio animo. Assaporando la sensazione di essermi finalmente immersa in un momento storico, maggiormente conquistata dalla potenza dei sentimenti che circondano l’aura di ognuno dei personaggi; sebbene marionette mosse da una mano invisibile, così belli e definiti, stonano tuttavia col suo disegno geometrico ed estremamente complesso.

Valutazione d’inchiostro: 4


2 commenti:

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