venerdì, luglio 22, 2022

Gocce d'inchiostro: La macchina del tempo - H G Wells

A un certo punto, capita che durante il corso della tua vita ti imbatti in percorsi che sorprendono nel loro fulgore. Osservo i titoli che compongono ancora la mia pila della vergogna, e sfilo la mia copia nuovissima de La macchina del tempo di H G Wells consapevole che, pazientemente, ha atteso per più di due anni. A quando risale il suo acquisto? Francamente non lo ricordo, ma il tempo e il Destino hanno voluto mi trovassi qui, in sua compagnia, solo sul finire di un mese estremamente zeppo di eventi, novità, annichilente e sfilente, da cui ho combattuto giorno dopo giorno per restare lucida. Quando il momento in cui potei usufruire della sua compagnia, diffidai di cosa avessi fra le mani: sinceramente, la narrativa fantastica non è un genere letterario che amo. C’è qualcosa nella sua verve …. Mi dico fra me e me, ma non riesco ad andare oltre le semplici possibilità che non sia quel genere di lettura che risponda al mio animo, un po' perché non riesce a zittire quella vocina interiore del mio animo in cui odia dover abbandonare una lettura, così, su due piedi, un po’ perché non ero veramente sicura.
Fu così che la settimana che ha costellato gli ultimi giorni di giugno mi vide valicare i luoghi magnetici di una dimensione in cui l’obiettivo è quello di esplorare il tempo, domarlo in ogni forma e sostanza, donandogli così una certa forma, combattendo afifnchè le condizioni degli individui migliorino fino a raggiungere l’apice. Un po' affascinata, un po' infastidita, fu così che mi sono trascinata La macchina del tempo per molto più tempo del previsto pensando che resistere avrebbe equivalso a superare qualunque barriera, consapevole che le sue pagine contenevano messaggi, barlumi di verità che in un certo senso hanno cambiato la mentalità degli individui.

Titolo: La macchina del tempo
Autore: H G Wells
Casa editrice: Einaudi
Prezzo: 10 €
N° di pagine: 144
Trama: Dopo angoscianti avventure, riuscirà ad andare ancora piú lontano nel tempo, in una Terra senza piú tracce di uomini, abitata soltanto da crostacei con «occhi maligni» e «bocche bramose di cibo». Fantascienza, critica sociale, romanzo distopico: il capolavoro di Wells è soprattutto l'opera di un grande visionario e Michele Mari, nel ritradurlo, ha trovato pane per i suoi denti. L'incontro tra lo scrittore-traduttore e uno dei suoi romanzi preferiti era destinato a produrre scintille.

La recensione:

 

Noi veniamo temprati sulla macina del dolore e della necessità, e a me sembrava che lì quell’odiosa macina si fosse finalmente rotta.

 

Scrivere la recensione di un romanzo il cui giudizio non è propriamente positivo non credo sia facile nemmeno per chi scrive da tanto tempo, celeberrimo nel panorama della narrativa italiana e non, chiacchierato e letto in ogni faccia della terra. Nei giorni che seguirono la lettura di questo romanzo mi ripetei mentalmente che quando capitano certe situazioni la << colpa >> non è da riversarla all’autore o allo stesso romanzo, - dipende i casi, perlomeno – ma dall’approccio con cui si stabilisce poi una certa connessione fra la tua anima e quella di chi l’ha scritto. È una bella trovata, questa, per non calunniare un autore del calibro come H G Wells. Del resto, perché farlo, se leggere un suo romanzo non ha soddisfatto appieno le mie aspettative. Non errori stilistici, non frasi disposte a caso. Si parla di letteratura fantastica del 1800, cosa pretendevo? La verità è disgraziatamente sepolta nella consapevolezza che a me non piace questo tipo di letteratura. Mi annoia tantissimo, mi induce a non appassionarmi a niente e nessuno. Osservare la mole per nulla ridotta di un libriccino che, in un altro momento avrei divorato nel giro di qualche ora, trascinarmi dietro per giorni e giorni…. Che sofferenza! La mia anima semplice, appassionata sa che, silenziosamente, riposa un tipo di virtù che nella vita mi ha sempre condotta lontana: sa che la fretta non è mai stata amica di nessuno e che, se avessi sposato l’idea di leggere un romanzo come questo, di cui già dal principio sapevo non avrei amato spassionatamente, la sua lettura non sarebbe stata << sopportabile >> ma una vera e propria tortura. Non che, il momento in cui il dottore giungerà nella terra del popolo dei Morlok, sia stato uno spasso. Ma la mia ambizione continua ad essere quella di smaltire la pila della vergogna, questa lettura doveva essere affrontata ma di cui io non ho sortito alcun fascino. Una certa bravura, certo, una certa influenza sul rapporto intrinseco che si cela fra forme di intelligenza in cui sentimenti forti come la paura serpeggiano come forme cattive e vigili. Una nuova oppressione di fenomeni fisici nonché disamina sulla società d’appartenenza in cui l’individuo non dovrebbe essere posto nella scala delle disuguaglianze razziali quanto comprendere come alla fine siamo tutti figli di uno stesso Dio, e che bisognerebbe comportarsi sempre nella maniera giusta.
Per quanto scrivere è un'attività per nulla semplice, rischiosa e impegnativa, in quanto non riesco ancora ad essere precisa - fissare un punto per non essere persuasa dall'incontrollabile strisciare del mondo, fissando l'ultimo romanzo che in questi ultimi giorni di giugno mi ha tenuto compagnia, collocarlo sulla mensola in compagnia dei suoi fratelli d'inchiostro, posandovi sopra la mano e accarezzandovi il dorso, con una smorfia di insoddisfazione, penso a quanto l'atto della scrittura sia un'arte che ha sempre destato il mio fascino in quanto riporre su carta quello che si ha saldamente ancorato in noi stessi somiglia molto a una lotta, una battaglia accanita contro un'idea che si rifiuta di farsi acchiappare.
Murakami, Zafon, Paul Auster in chiave moderna, ma anche Dickens, Wilde, Proust e, ultimamente, Wells, quanto avranno concepito la cosa con frustrazione, la distanza che sempre resta tra il risultato che si vuol ottenere e l'obiettivo che, pur in maniera del tutto inconscia, costringe ad imboccare una strada completamente diversa. Da quando ho abbracciato la scrittura quel poco di esperienza che ho acquisito mi ha insegnato che quello che si riesce a trasportare su carta è solo un pallido riflesso di ciò che è stato immaginato, per cui ci sono certi romanzi che sono uno specchio dell'anima di chi li ha scritti. La letteratura riesce a dare voce a chi non ha mai avuto voce, e i romanzi vengono concepiti come artifici ordinati la cui funzione è quella di produrre pezzi di vita, irreali o ritoccati. In questo caso, quello di leggere La macchina del tempo, tipo di lettura di cui non ho potuto decantare le bellezze dall'inizio alla fine, non fu quel piombo che ha equilibrato la mia anima. Il contrappeso che mi ha impedito di finire china dinanzi alla malinconia, ne sedotta con toni scherzosi o gioviali nel momento in cui ho visto il mondo.
I romanzi sono sempre stati per me un ponte che collega un’infinità di mondi e, ancora una volta, davanti a una pila di fogli la cui funzione è quella di strapparci dall'abisso nel nulla, conducendo chi legge in una specie di tunnel favoloso all'interno del quale è possibile viaggiare, mi chiedo se quello che ho letto altri non è che la meravigliosa descrizione di un luogo meravigliosamente irriconoscibile, di cui io non ho visto né letto come tale. E' bastato scuotere un po' pur di rovesciare un torrente di idee. Il tempo trattato come una quarta dimensione di un universo apparentemente tridimensionale. Il mondo dipinto come un luogo noioso e ostile, ma ciò dovuto dal fatto di non poterlo percepire nella sua totalità. La presenza di una terza dimensione come una stanza privata dei giochi, che combina nozioni scientifiche che sviluppano una visione particolare di eternità contemplato come un ulteriore dimensione dello spazio, attraverso il quale è possibile muoversi. Non aver potuto interpretare l’anima di questo romanzo è dipeso da me o è stato un segno del destino?
Ho letto un mucchio di storie, storie pericolose o che si rifiutano di abitare la cittadella abbandonata della nostra coscienza, che ti devastano dentro mentre le leggi, oppure che col tempo si rivelano soltanto un mucchio di carta stampata. Quella di H G Wells non ha iniettato nel sangue il veleno di una libertà feroce, delirante in un’epoca in cui la miseria va a rimorchio con la ricchezza. Così lugubre e rumorosa, in una moltitudine di creature in condizioni penose che trascorrono la loro vita all'ombra sinistra di qualche villaggio. Un romanzo che è sempre stato lì ad aspettarmi, a chiamarmi con eccessivo entusiasmo, e con il quale ho potuto scoperchiare il suo contenuto come un orologio per esaminare il meccanismo che lo abita, gli ingranaggi che permisero alle sue lancette di fare a pezzi il tempo.
Un mondo visionario e fantastico che aveva acquisito una sua abituale consistenza ma non conquistato il mio animo. Non raggiungendo vette d'estimabile piacere in vani ed inutili pause della mia esistenza, riposi che disgraziatamente hanno dilatato la mia inesorabile passeggiata verso l'insoddisfazione morale. Accomiatarmi definitivamente, rivelando sentimenti contradditori, come ho potuto immaginare, mi ha sorpreso combattuta sotto diversi fronti: da un lato scoprirsi felici nel constatare che un altro romanzo sia stato liquidato; dall'altra con l'anima frantumata in minuscoli pezzettini per aver constatato tanta insoddisfazione. Una lettura che per mio gusto personale non si è rivelata bellissima né indimenticabile in cui inevitabilmente si cresce, in un complicato meccanismo, mediante scienza, propagandosi dentro di noi come massima di vita, avvolgendo le nostre fragili membra col suo essere innovativo e intraprendente.

Valutazione d’inchiostro: 3

2 commenti:

  1. Oh accidenti, mi sa che sta lettura non è andata tanto bene, visto il voto; mi spiace; grazie comunque della recensione

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