domenica, luglio 10, 2022

Sette gocce in sette giorni: romanzi vissuti in una settimana 2°

Vado avanti, nel mio percorso ideato qualche anno fa, in coincidenza della pandemia a dire il vero, e giungo in un momento della mia vita in cui di romanzi ancora da leggere e vivere ne rimangono pochi. La pila della vergogna decresce sempre più, e quanto è entusiasmante debellare da una lista di letture l’ennesima opera che, in una manciata di ore o giorni, ha scandito momenti di vita che si sono intrecciati alla mia. Zeppi di sentimenti, di eventi che sciorinano forme archetipe di modernità, graffiando il mio animo come solo poche cose riescono a fare. Tutta una serie di cose cui sono avvezza. Un guazzabuglio di sensazioni cui sono abituata, conoscenze che non mi sono poi così nuove, per esempio, molto meglio di quel che credevo.

Ed ecco che l’ennesima situazione accadde con l'approccio a sette letture che divorai nel giro di una settimana, che nei gorni trascorsi dal nostro ultimo incontro, mi indusse ad analizzarne le differenze. Evidenziare quegli << effetti >> di una così breve permanenza, riflettendo molto sui registi stilistici che i suoi autori hanno adoperato per raccontare, raccontarsi, distinguendosi nel bel mezzo di un coro di voci, suoni e ombre. Un’ampia gamma di generi e stili a tema classico di cui questi sette romanzi spiccano per il gusto per il passato estremamente poetico, quieto, illusorio e prorompente in cui la visione tormentata della vita non sarebbe possibile se non approvata dal cuore. Lo spirito di una ragazza avrebbe planato sopra la rovina della materia, e il crollo dei mondi recato con se tutta la sua selvaggia dolcezza e audacia, aggrappandosi alla bellezza dei sogni perché dimentichi delle cose più rivelanti della vita.


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Titolo: La ragazza delle storie
Autore: Lucy Moud Montgomery
Casa editrice: Flower
Prezzo: 9, 90 €
N° di pagine: 250
Trama: Una mattina di maggio, Beverley e Felix lasciano Toronto per raggiungere l'Isola del Principe Edoardo e trascorrere alcuni mesi ospiti dello zio Alec e della zia Janet. Nel corso del lungo viaggio in treno, l'emozione dei due giovani fratelli è accresciuta dall'impazienza di arrivare finalmente in quella terra ricca di fascino che il padre ha descritto loro accuratamente e alla quale sentono di appartenere pur non avendola mai vista. Ad attenderli ci sono la vecchia fattoria immersa nella natura rigogliosa, il frutteto dei King e gli abeti rossi, i compagni di giochi e la cugina Sara Stanley. Nota a tutti come la Ragazza delle storie, Sara si rivelerà un'abile e irresistibile narratrice e i suoi mirabili racconti accompagneranno le avventure del giovane gruppo. L'esperienza di quei mesi sarà meravigliosa. I ragazzi conosceranno la dolcezza delle gioie semplici, la bellezza dell'alba, il sogno del mezzogiorno, la pace delle notti spensierate. Ascolteranno la pioggia d'argento sui campi verdeggianti, le tempeste tra gli alberi, le foglie sussurranti. Sperimenteranno la fratellanza con il vento e le stelle in gioiosa compagnia.

La recensione:

Lucy Maud Montgomer, che donna straordinaria dovrà essere stata! La prima volta che la conobbi mi ammaliò talmente tanto da scombussolarmi, da ragazza dovrà essere stata piuttosto sola. Chissà quante volte, nel silenzio delle sue riflessioni, avrà dovuto aggrapparsi all’insana idea che sarebbe stato un uomo, un matrimonio combinato, dei figli a tenerla in vita, a donargli la felicità, quel paradiso mancato tanto agognato quanto sperato. Ma la realtà era più atroce di qualunque magnifica illusione, e cadere nelle grazie di un uomo non sarebbe stato di certo una passeggiata. Gli unici che detenevano un certo potere, e anche quando ci si sarebbe voluti arrendere, ribellare, sarebbe stato alquanto vano. L’autrice di Anne dei tetti verdi non fu solo una donna dall’animo profondo e appassionato, una romanticona che fece delle parole l’unico appiglio su cui aggrapparsi per non lasciarsi ottenebrare dalla fitta coltre delle illusioni e delle nefandezze, ma una solida intellettuale, coscienziosa e ambiziosa che mediante scrittura potè non sentirsi invasa. Era stata una delle sue più grandi paure, dover vivere con i fantasmi del suo passato cose più grandi di lei stessa, in cui risiedette con certo timore, una certa timidezza. Il caso volle, che le sue eroine di carta in un certo senso esprimono questo suo forte desiderio di rivalsa. Se pensiamo all’eccentrica Anna, che nella sua stanza sbatteva i piedi su un pavimento logoro e vecchio, il naso macchiato d’inchiostro, la mente persa chissà dove pur di scovare l’ispirazione, pensare, vedendo con gli occhi di un altro.
Anche la protagonista di questa storia, così come la dolce Anne, ebbe una stanza tutta per sé, che in oneste chiacchierate con la sua anima semplice e appassionata, confessò le sue paure per l’assenza di solitudine, l’eccessiva quantità di fiato in circolo tra due paia di polmoni, il coraggio di esprimerle su carta affinchè qualcosa dentro di lei andasse al suo posto. La vita avrebbe potuto splendere sul serio, in cui l’anima avrebbe prevalso su tutto, accordandosi di poter restare per lunghi o brevi periodi in religioso silenzio senza contaminare l’aria di alcunchè. A volte il semplice atto di esprimerli a voce alta avrebbe fatto impallidire ogni cosa. Ma la Montgomery ebbe questo potere.
La ragazza delle storie, breve commedia cortese che suscitò in me un certo fascino e una certa ammirazione, sin dal primo momento in cui vi misi piede, fu quella metafora di libertà mancata, sopravvalutata che furono la linfa vitale di un piccolo frutteto che fa germogliare e crescere i fiori di un piccolo melo, così come l’amore, la fede, la gioia, in cui il mondo del fanciullo entra in contatto con quello degli adulti, non completamente comprensibili, vagabondi e passeggeri di fuochi ardenti, focosi.
Ho smesso di chiedermi in quale momento questa piccola ragazza venne a bussare alla mia porta e prese controllo della mia vita, non credendo che ciò avrebbe comportato novità, cambiamenti, sorprese. Non credevo che potesse entrarvi a far parte, per la semplice ragione che certe letture bisognerebbe a mio avviso compierle in età giovanile. La piccola protagonista di queste pagine è una ragazzina di quattordici anni, che non aveva idea di cosa ci fosse nel mondo, cosa significasse la parola << amore >> o << affetto >>, lei che dormiva su un vecchio e scricchiolante letto dal materasso smilzo e logoro, girovagata da un posto ad un altro fin quando non conoscerà l’arte delle parole. Non avrebbe mai potuto immaginare che il linguaggio inesprimibile di suoni, voci potessero nascondere un cuore d’oro, e accogliere nel proprio grembo famigliare uno scricciolo vagabondo e solitario che laverà via qualunque impurità spirituale, qualunque inimicizia con gente del villaggio o dei dintorni. E mai si sarebbe potuto immaginare una cosa del genere. No. Vivere tranquillamente, asserviti a Dio, soggetti alle mani di un Fato egoista e crudele, con l’unico scopo di vivere pregando purchè il Maligno fosse sconfitto, è l’unica strada accessibile. Simbolo di una rinascita, lo scopo di distruggere il “vecchio” nel far prevalere il “nuovo”, il disegno strabiliante di una sorta di pellegrinaggio spirituale in cui l’immaginazione vince sul reale, quasi incaricata a spiccare in mezzo ad un marasma di miserie, povertà, in cui la bontà d’animo coincide con il potere di essere integrati col prossimo. Inizialmente poco ben concepibile l’idea che la magia di certe storie potessero prevalere sulla realtà, con questa sua fervida immaginazione di essere stata esiliata in un luogo in cui una famiglia confortante nel quale si è radicata in ogni modo possibile, ma ben presto con una sua identità. Una sua voce, un facile esempio educativo che a mio avviso ogni lettore dovrebbe trarne esempio. Qualcosa di più della semplice descrizione di mere sofferenze, di aspirazioni cristiane che confluiscono tutte nella possibilità di purificare il prossimo. Una specie di paradiso, che chi decide di imbattersi fra le sue pagine non potrà uscirne vivo. Non potei ignorare nemmeno io, il suo forte desiderio di rivalsa e di sopravvivenza.
Anche se, solo alla fine, ci si rende conto di aver trattenuto il respiro. Il fiato corto, i battiti accellerati, le sorti di questa giovane donna nelle mani di qualcosa o qualcuno che non ha ancora una sua forma. Qualunque fossero i miei sentimenti al riguardo, qualunque cosa si fosse instaurato fra me e lei, la determinazione di lasciarsi alle spalle, in rovina, sogni o progetti che avrebbero potuto garantire tranquillità morale, confluirà in un disastro cosmico.
Generando la nascita di nuove forme di vita che per molti sono idiomi a dir poco impossibili, la bellezza del racconto avrebbe tenuto in vita quella dei sogni, la magia di cose perdute e poi ritrovate. Lasciar perdere? Assolutamente no! Non era uno dei suoi problemi, lei che non disse mai una bugia – o quasi -, non prese mai niente che non le venisse donato e ricambiato, doni assolutamente inaspettati.
La verità è semplice. Questa ragazza, alla fine, ha contagiato anche me, le cui vicende si fusero col ricordo di una successione di eventi: quelli che compresero la famiglia della stessa Montgomery, nel periodo di secessione della guerra. Malinconico e curioso, confortevole come un abbraccio non del tutto caldo ma sentito, nel quale è stata delineata una storia dal sapore agrodolce. Abbellita da minuziose curiosità, voli pindarici di fantasia, un tuffo nel passato in cui l’idea di raggiungere la felicità è un sogno che non si infrangerà del tutto. L’impulso, il lampo di compassione, l’ingenuità infantile, tutto questo compreso pienamente. A sorprendermi, la tenacia del confidare, dell’affrontare, la determinazione nel montare sogni o speranze che mi hanno condotta in una modesta fattoria inglese. Un quadro artistico, architettonico, semplice ma soave che supera ogni avversità, ogni pericolo, ogni pregiudizio. Una vittoria personale in cui predominano il perdono, il rancore, la compassione, ma anche l’amore, l’amicizia, il desiderio di ritagliarsi un posto tutto nostro nel mondo.

Valutazione d’inchiostro: 4 e mezzo

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Titolo: Fantasia
Autore: Matilde Serao
Casa editrice: Otto/Novecento
Prezzo: 18 €
N° di pagine: 280
Trama: «Quando muore uno scrittore, vorrei che chi gli vuol bene lo commemorasse in silenzio rileggendo di lui il libro più caro, non solo per ravvivare la gratitudine e il rimpianto, ma anche per riconoscere alla prova questo primato dei poeti e degli artisti, anche di quelli più affannati e derelitti, sul resto degli uomini: che il meglio di loro rimane sempre vivo e respira. Per affetto a Matilde Serao, io mi rileggo sotto questa abetina Fantasia, che ha quarantaquattr'anni. Davanti al frontespizio è una litografia col ritratto della scrittrice quando ancora ella aveva un mento solo e un collo fuor dalle spalle rotonde. [...] Se oggi uscisse un romanzo con questa rapida presentazione di dieci, di venti ragazze, chiuse in collegio, allineate sui banchi della classe o della cappella, definite al primo tocco, Caterina, Artemisia, Ginevra, Carolina, e Giovanna che senza leggere, gli occhi socchiusi, mordicchia una rosa, e la pallida Lucia dai lenti capelli, dalle labbra troppo rosse, che si regge la fronte con la mano e guarda il professore attraverso le dita, sarebbero gridi di meraviglia: sia detto senza offesa pei viventi.»

La recensione:

Non mi ci volle molto per stabilire come Matilde Serao scrisse un romanzo che mi piacque molto. La sua scrittura, il suo modo di scavare dentro l’anima di chi legge. I romanzi fungono quasi sempre da sbocco sul mondo. Apparentemente risme di fogli, vergate d’inchiostro, che per molti non hanno completamente senso. Per me, la vita. Forme di interpretazione dell’anima che sebbene induce a restare in solitudine, mette in relazione il mondo di qua con quello di là. Ti assorbe a tal punto da porre la tua anima in discussione, confrontarla con quella del suo autore e con quella dello stesso romanzo, addirittura, pensando di essere approdati in una specie di paradiso intellettuale, e siccome di paradisi intellettuali non se ne ha mai abbastanza, la mia sete di curiosità aumenta sempre più specialmente quando si imbatte in opere di autori sconosciuti. Incagliata in una vicenda che non ha esistito se non nella mia testa, a volte stanziando più del necessario perché con l’anima appesantita dal senso di forte amarezza che aleggia tutt’intorno dovuto dall’impossibilità di non poter essere completamente liberi, belli, uguali, dinanzi all’Eterno Giudice, in cui conversazioni morbose con l'anima stessa l'ammalano a tal punto da annientare ogni rimasuglio del nostro spirito.
Questa meravigliosa Fantasia di cui ci parla l’autrice fu qualcosa che mi costrinse a tornare sui miei passi, più volte, perché il flusso dei pensieri è stato così denso, accattivante, fresco, che è stato davvero difficile ignorare il mormorio della sua anima, non poter immergersi in una Napoli bella, sorridente, voluttuosa in cui si aspira a un’ideale in cui bisogna sacrificarsi pur di maturare un animo acerbo, privo di frutti. Abbracciando la fede, il Cristianesimo, non ricordando di aver mai letto niente di simile prima di ora, incuriosita da questa immagine della Creatività, dell’esercizio intellettivo come forma atipica di egocentrismo in cui si riversano passioni, sogni repressi, illusioni, che sorridono caldamente a relazioni interconnesse fra vecchio e nuovo, surclassando quegli idiomi in cui l’individuo è un essere senziente ma finito che rincorre la felicità. Godendo di ogni cosa ci pone dinanzi la vita, interpretandola e custodendola con gelosia.
Sulle prime restai in disparte. Una volta presa l'abitudine, una volta instaurato un certo rapporto con Lucia, non è stato poi così disagevole sentire come mia la storia di questa donna, e della sua fragile e insicura <<condizione esistenziale >>, diapositive che scorsero davanti ai mie occhi rapidamente e defilato. Da qui ho potuto osservare tutti gli andirivieni di questa fanciulla, avvertire sensazioni o sentimenti contrastanti che serpeggiavano attorno con il timore che qualcuno potesse farsi del male, l'assenza di figure solide e reattive di cui il tempo e la vita non potranno più restituirci. Niente e nessuno che potesse dirmi quando entrare o uscire senza che avessi bisogno di permesso o consenso. Dapprima lo stupore di non scorgere alcuna parvenza di felicità, alcuna traccia di serenità o spensieratezza, in gruppi di anime la cui vita è stata devastata, recisa, mettendo in discussione tutto ciò cui si credeva di conoscere. Sarebbe stato più facile ignorare quella voce interiore che in un modo o nell'altro ci costringe a ricordare. Sarebbe stato più facile non trattenersi e fuggire lungo una strada che avrebbe portato alla redenzione, al benessere fisico o interiore. Doveva esserci una spiegazione purchè la sua autrice mi condusse nel sotterraneo buio e oscuro della mente umana, e sebbene le risposte e gli innumerevoli quesiti che mi attanagliano restano ancora sospesi in una gigantesca bolla, la sua lettura si è rivelata alquanto esauriente.
Pian pianino mi sono adatta alle norme di vita professate da un’autrice per me sconosciuta come Matilde Serao. C'erano una quantità infinitesimale di personaggi, uomini violenti e disgustosi. Mi ha davvero tormentato il pensiero che una donna egoista e lamentosa come Lucia conducesse un’esistenza insoddisfacente, sebbene i suoi tentativi di salvarsi e restare in vita non li si può definire ridotti al minimo. Da qualche parte le era stato riservato uno sprazzo di felicità. A dire il vero quando si pensa alla felicità si è un po’ egoisti e Lucia non dava peso a nient’altro se non il voler più sentirsi abbandonata non risolvendo i problemi che spesso la vita ci riserva. Lamentarsi è un passo talmente fragile di difendersi dall'ineluttabilità di un non ritorno. Dunque si può dire che questo volume getta una particolare luce sulla condizione dei suoi protagonisti, sul loro adattarsi nel momento dell'atto in se. Fantasia infatti non ci fa ingerire più di quanto avrebbe dovuto, sedimentando nell'anima di chi legge un forte sentimento di solitudine, malessere, sofferenza, e per guarire da ciò sarebbe stato necessario molto più di un semplice gesto di conforto. Esercitando su Lucia un comportamento controllato, rigoroso e costante, pian pianino imparerà cosa voglia dire assimilare la vera essenza della Vita.
Continuo e perpetuo vagheggiamento completo di una donna apparentemente forte ma debole che segue un ideale, l'ideale di riscattarsi dal gioco dell’insoddisfazione, dell’inettitudine in uno stato angoscioso, profondo, drammatico e insano cui aspirerà ingenuamente senza però mai raggiungerlo.
Districata perfettamente fra esperienze e generazioni che non mi appartengono più in cui la voce della protagonista spicca in un coro di voci, nel frastuono del silenzio e dell'immobilità. Raccontataci come la vita semplice e inappagante di una donna comune possa divenire una confessione sussurrataci con una certa forza e insoddisfazione morale, che ha sprigionato una melodia che è arrivata dritto dritto al mio cuore rimpicciolendolo, frantumandolo in minuscoli pezzettini da cui si possono ancora scorgere frammenti di un mondo prismatico.

Valutazione d’inchiostro: 4

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Titolo: Indiana
Autore: George Sand
Casa editrice: Donzelli
Prezzo: 24 €
N° di pagine: 244
Trama: Indiana è nata nell'isola di Bourbon, al largo del Madagascar, nel mezzo dell'Oceano Indiano. Ma il lettore la incontra in una ricca dimora della campagna francese nei panni di madame Delmare, sposa infelice di un matrimonio combinatele dalla zia, che ha voluto così riscattarla da una vita da schiava, all'altro capo del mondo. Rassegnata a un'esistenza priva di gioie, Indiana si lascia andare a uno struggimento che sconfina nella consunzione, al fianco di un marito vecchio e collerico, e sotto l'ala protettiva del taciturno sir Ralph, fedele ma troppo compassato amico d'infanzia. Ed ecco che una notte irrompe nella villa l'affascinante Raymon, un aristocratico di belle speranze, da poco trasferitesi in campagna, che tutto sovverte. Raymon l'affabulatore dapprima seduce Noun, la bella domestica creola, e poi rapisce il cuore della stessa Indiana. L'incostanza delle passioni e l'ingannevole personalità di Raymon spingeranno Noun a gettarsi nel fiume in piena, e Indiana a oscillare senza tregua tra lo sdegno e l'attrazione irresistibile. Nell'andirivieni di quel pendolo sentimentale, è tutto un incalzare di eventi: la fuga disperata a Parigi, la morte cercata sulle rive della Senna, la bancarotta del marito, il forzoso trasferimento nell'isola al largo dell'Africa, il precipitoso rientro in Francia a bordo di un mercantile, la messa a repentaglio dell'onorabilità. Sullo sfondo, l'evolversi del personaggio di sir Ralph, sempre avvolto in un alone di inquietante opacità.

La recensione:

Ho rotto qualunque << obbligo >> con quegli autori cui avevo promesso di un eventuale incontro, smaltendo giorno dopo giorno la pila della vergogna, non sapendo però che l’atto di leggere così tanti libri, presto o tardi, mi avrebbe indotta a vivere esperienze di vita di cui ancora non riesco a dare un senso, ma ciò che amo particolarmente è l’intimità che si instaura in questi casi fra lettore e autore, escludendomi da una realtà irreprensibile e soffocante. Impedendomi persino di prendere alcuna decisione o in considerazione l’idea di un altro assalto nella fortezza del mio cuore. Lo stesso valse con Indiana, lettura di stampo francese la cui anima, così intoccabile ed evanescente, è l’illusoria fantasia di una felicità utopistica che si dimena alla luce di una rinascita nottura, più reale di ciò che sembra.
Se non avessi letto questo romanzo, da oltre un anno che languiva sullo scaffale, se solo il semplice atto di leggere e cimentarsi nelle maglie di una vicenda che pian pianino divenne sempre più complicata e impossibile, il contrasto fu abbastanza chiaro. Una rigida separazione fra ciò che voleva un cuore giovane e impulsivo e ciò che fu permesso dalle circostanze, che vivono ingabbiati di tremori e violenze, e di cui non è possibile fare niente per tenerli fuori da pensieri notturni.
La fragilità, il suo essere vulnerabile e sensibile, quella sorta di audacia delirante che si manifesta come una crisi nervosa negli esseri più deboli, Indiana fu quell’eroina dotata di una certa forza il cui carisma si cela nelle innumerevoli possibilità di contrastare qualunque sacrificio. L’impossibile contro il possibile, le fantasie romantiche e notturne contro realtà diurne, l’amore come forma di assetto esistenziale, tutto così preciso e inequivocabile in cui l’amore è una linea netta di un confine psicologico che capita quando meno ce lo aspettiamo, spaventandola a tal punto da non sapere nemmeno chi fosse.
I primi giorni di giugno mi costrinsero a valicare l’anima di una storia bellissima e indimenticabile in cui risiedetti per poco tempo, troppo poco a dire il vero, che ha lasciato un segno indefinibile nella mia anima, la cui genesi era ai miei occhi così nebulosa che il vero obiettivo non stava nell’attesa, nella presa folle dell’impazienza ma nel saper ritrovare la felicità in lande deserte di compianto e solitudine. Non si può fare niente di eclatante quando si parla di moralità, anima, se non aspettare che siano gli stessi personaggi a comprenderlo. Ma ho amato questa storia semplicemente perché la stessa Indiana non riusciva a vedersi felice e stare a fianco di una persona che avrebbe condiviso il suo amore, assaporando i piaceri della vita in ogni sua forma o assetto, perché solo così la fiamma della vita non si sarebbe spenta, non si fosse rivelata ambigua proprio come sembrava fosse diventata, e con una buona dose di fortuna condotta dinanzi alle porte del Paradiso.
L’amore ha il suo tempo. Ogni cosa ha il suo tempo. La dolce Indiana ha sperimentato le gioie del cuore nel bel mezzo dell’assetto di uno stato totalitario che predomina, subentra su ogni cosa come un effetto scatenante che innesca una sorta di avversione. Chissà se in mezzo a tutto questo, nel bel mezzo di uno scontro mortale come quello delle guerre napoleoniche, le conseguenze a cui si va incontro non sono così numerose. Apparentemente avvolta in quella patina di drammaticità, quell’effetto scatenante che sconvolgerà l’esistenza dei popolani, simboleggia la stessa autrice, che quando fu adolescente visse questo periodo come mossa da desideri e impulsi repressi che avrebbero dovuto imprimere dottrine e paradigmi all’epoca inesistenti. Indiana infatti, è così ostinata, ombrosa, conscia di avere la lingua tagliente e la risposta pronta, nascosta dietro strati e stradi di orgogliosa tenacia, ma così debole agli incauti sussulti del cuore. Ma detentrice di una forma di potere che l’avrebbe sovrastata in mezzo a una massa di contadinotti e pusillanimi, speranzosi di poter raggiungere quello stato di profonda beatitudine che solo una buona dose di libertà avrebbe potuto donarci. Quasi inavvicinabile ma da cui è stato possibile ricavarne assetti della società che predominava la Francia sul finire del 1800.
Si interpreta la vita, il mondo esattamente com’è: una declamazione appassionata, una commovente e romantica dimostrazione classica. Non è forse questo il senso che racchiudono queste pagine? Metafora di forme di inestimabile intelligenza cui ci si districa a fatica, ci si adatta con disagio poiché non conforme alla società circostante serbando una certa fiducia nel futuro delle idee, nella bontà di Dio, nel destino delle rivoluzioni, mentre qualcuno contempla l’Etere e gli altri astri, si respira il profumo delle piante selvatiche e la natura canta il suo eterno idillio, soffocando i pianti di chi non riesce a trattenersi, languendo o morendo nelle sue prigioni. La terra appare così quella landa desolata che altri non è che il riflesso e l’eco di una generazione di cui ci si sente desiderosi di distogliere lo sguardo distogliendolo dall’immaginazione verso un ideale di quiete, innocenza, fantasticheria. La diversità, l’originalità, i rapporti figliali, la paura del diverso, dell’ignoto sono alcuni di quegli assetti che si incarnano nella dolce Indiana in quanto detentrice di un certo potere. Quello dell’intelligenza che la contraddistingue, quella forma di incomprensione che la rendono inquietante, pericolosa agli occhi del mondo, da cui sembra impossibile scorgere quel lato buono, quell’assetto diverso. Elevandosi a simboli di possibili relazioni fra la sfera umana e quella divina attribuendogli così una parvenza di protezione.
Una lettura per nulla semplice che parla continuamente di fede, di battaglie del cuore, e che ha un chè di trascendentale poiché mosso da diverse angolazioni, maggiormente umili, quasi impotenti, a cui ci si appassiona con un certo coinvolgimento emotivo. Accrescendo non solo il disagio morale iniziale e il tono drammatico del romanzo, ma anche un sentimento d’amore reverenziale che ho riposto nei suoi riguardi.

Valutazione d’inchiostro: 4 e mezzo

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Titolo: Un lungo fatale inseguimento d’amore
Autore: Louisa May Alcott
Casa editrice: Rizzoli
Prezzo: 10 €
N° di pagine: 320
Trama: Philp Tempest, un avventuriero giovane, ricco e scapestrato; la bella Rosamond che vive in un'isola solitaria al largo delle coste inglesi sotto la tutela del vecchio nonno. Ecco i protagonisti di questo romanzo di Louisa Alcott. Una storia torbida e sensuale, fatta di fughe, passioni lecite e illecite, di cupi misteri, di sospetti inquietanti. Una vicenda che sembra precipitare per l'eroina quand'ecco nel finale sarà soccorsa da un personaggio insospettabile. superare gli immancabili "filtri" a come stringere il momento della vendita, da come mantenere i rapporti con i clienti, fino al galateo internazionale della vendita.

La recensione:

Parlando di questo romanzo, riportando queste poche righe, a lettura conclusa da nemmeno un ora, mi ritrovai dentro un nuovo rapporto con me stessa. Sentivo un legame più intimo con la lettura; in questi giorni mai le parole hanno funto da migliore surrogato per la mia anima semplice e appassionata, e la mia esistenza non potrebbe considerarsi tale se non fossi diventata la persona che sono, più comprensiva e paziente, perché ho visto e osservato il mondo sotto svariate prospettive, sotto una nuova luce, osservando ogni cosa, persino le sue viscere come se appartenessero ad un'altra, non una me che rincorre la piena felicità. Non so dire se tali legame intensificato sia da attribuirsi come un bene o un male, migliore o peggiore. So solo che, il mio intento di smaltire la pila della vergogna mi sta inducendo a proseguire lungo una strada di mai più ritorno. Andare avanti e non voltarmi indietro, nemmeno per un istante. E sapevo che, nel momento in cui tutto ciò sarebbe finito, sarebbe stato motivo di grande gioia e orgoglio per me: smaltire tutte queste letture che languiscono sulle mensole delle mie strapiene librerie avrebbe comportato…. Ad acquistare nuovi libri. Di libri infatti non se ne ha mai abbastanza, si avvicina il mio compleanno… e quale motivazione, se non quella di pensare a se stessi comprando libri? L’autobiografia della mia vita, lo confesso, è piuttosto scarna. Nel giro di due anni sono cambiate tante cose, la mia vita ha voltato completamente faccia. Certe cose sono rimaste delle costanti, e una fra questi il mio amore per la letteratura. L’esigenza di divorare pagine su pagine, parole di cui non ne so scovare una vera e propria origine, e adesso il Caso ha voluto mi buttassi fra le braccia di un’autrice che ad inizio anno riscoprì con Una ghirlanda per ragazze. Di colpo si comprende come queste storie erano inzuppate di sentimenti così veri, concreti e genuini che avrebbero << macchiato >> persino l’anima dei più coriacei, e l’amore reso ribelli, combattenti di forme individuali che non credevamo possibile. Mancava solo un po’ più di sentimentalismo; il cuore ha sussultato per gran parte di queste meravigliose vicende, ma non ha potuto spiccare fra le avverse stelle con quel lirismo tipico di certe storie.
Rose, la dolce e ingenua Rose, che non ha fatto altro che aspettare, avrebbe dovuto aspettare un altro po' per ottenere ciò che desidera il suo cuore, perché la vita quando ti pone delle sfide e ti induce a metterti in gioco ti costringe a guardarti dentro e comprendere chi sei. Con un’eroina come Rose, la mia permanenza in queste pagine è stata piacevole, coinvolgente, a volte comprensiva, a volte indolente, dimostratasi una piacevolissima compagnia nel momento in cui il contesto e il retroscena di certi eventi mi coinvolsero a tal punto da confidare in momenti di puro e vero riscatto. Le condizioni morali della povera Rose, infatti, fin troppo deboli e malaticce, il suo rapporto altalenante col bel Philip, il suo segreto amore con Ingrid, rivelazioni sconcertanti di un passato che pur quanto si sia tentato di nascondere spunta quasi sempre a galla, furono tutti elementi che mi coinvolsero a tal punto da non saper più distinguere la realtà dalla finzione, così inappagante e monotona, nonché una prosa chiara e scorrevole che riflettono l’anima dello stesso romanzo.
Quella di Un lungo fatale inseguimento d’amore è un’opera tendenzialmente bella e romantica, ma anche ruvida e impulsiva, che mi ha sorpresa moltissimo perché impelagata in una faccenda in cui il romanticismo non è inteso nel puro senso del termine. Quanto un modo per accettare questo tipo di sentimento confrontandolo a pensieri inviolabili e drammatici in cui guadagnarsi la fiducia dei protagonisti è stata un’impresa, sebbene sembrava regnasse una certa tranquillità d’animo.
Litania sofisticata, turbolenta e magnetica che mi ha ammaliata intensamente, ha lacerato il mio cuore ancora giovane, nonostante tutto attorno si sia celato un mondo di tenebre e ombre, Un lungo fatale inseguimento d’amore descrive la rappresentazione perfetta di un grande e appassionato amore che sembra richiamare la semplicità e l’autenticità delle tragedie antiche, non elevandosi però sul reale come il magnifico romanzo di Emily Bronte ma infrangendo le solide barriere che caratterizzano una prosa semplice e scorrevole. Affascinata dai misteri e dalla forza dei sentimenti che imperversano nell’animo di Rose, ma destinata a non saperne cogliere del tutto l’intima, tragica, essenza in cui i confini fra la vita e la morte sono sfumati come la patina di insoddisfazione che tutto avvolge. Avventura amorosa di due anime dannate, contrite, legate da un amore indissolubile - fino a quando esaleranno il loro ultimo respiro, per poter così finalmente farli fuggire nell'unico luogo dove né il cielo né l'inferno potranno mai trovarli - che precipita irrimediabilmente, scena dopo scena, in una catena di catastrofi.

Valutazione d’inchiostro: 4 e mezzo

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Titolo: La tana del verme bianco
Autore: Bram Stoker
Casa editrice: Fanucci
Prezzo: 12 €
N° di pagine: 300
Trama: Nel cavernoso distretto del Derbyshire, in Inghilterra, circola una leggenda terribile, di lontana origine druidica, su un mitico serpente pronto a uscire dalle viscere della terra. Ma è davvero solo una leggenda? O sotto le voci raccontate si annida una tremenda verità? Cosa nascondono gli oscuri personaggi che popolano Castra Regis, la dimora ai limiti del distretto della dimora della famiglia Caswall, e l'erudito ma violento signorotto del luogo, i cui poteri paranormali sono oscuri e forti quanto le tempeste che scuotono le montagne vicine? E chi è Oolonga, il suo misterioso servitore così abile nei riti voodoo? Ma soprattutto, quale spaventoso segreto nasconde l'aristocratica e affascinante lady Arabella March, la nobildonna che cammina senza timore in mezzo alle vipere e aspira alla conquista di Castra Regis?

La recensione:

Questo romanzo giunse in un momento assolutamente prevedibile. Non in autunno, quando questa lettura sarebbe stata perfetta per il periodo halloweniano, bensì verso la metà del mese di giugno, quando la mia anima era appena stata sballottolata in un college inglese, che avrebbe dovuto soggiornare per più di un pomeriggio, ma rivelatosi improponibile e assolutamente irripetibile per gli scarsi effetti cui subì. Fu così che il pomeriggio successivo partì all’insegna di un viaggio che in un certo senso esaudisce il mio desiderio di smaltire l’ennesimo classico della pila della vergogna proseguendo così lungo questa strada, migliorando tantissimo giorno dopo giorno, e fu questo un periodo di grandi soddisfazioni, grandi cambiamenti, momenti in cui ho valutato e ponderato me stessa per ciò che mi avrebbe riservato il futuro e il modo per cui io avrei abbracciato certe << modalità >>: uno stile per sopravvivere agli effetti indesiderati e inaspettati della vita.
E così eccomi fra le pagine dell’ennesimo capolavoro di Bram Stoker, quando partì ero in compagnia di un giovane studente reclutato da suo zio, che lo informò del suo desiderio di averlo in casa sua, reduce da viaggi indescrivibilmente belli, e la parola avventura aleggiava tutt’intorno come fiati di vapore che si disperdevano nell’atmosfera. Per forza di cose, ho paragonato questo romanzo a uno dei miei tanti suoi capolavori: Dracula. Certo, non perché ce ne fosse l’esigenza, semplicemente perché volevo << vedere >> se entrambe le opere toccassero i medesimi temi, e in effetti di paura, di timori che attanagliano la coscienza umana, soprattutto dinanzi a entità di cui non se ne conosce la provenienza, l’origine, se ne parla. L’illusione dell’affetto sperato che desta turbamento, la fede che si insinua come elemento per incastrare il Male, infondere coraggio affinchè il Bene possa sopraffare ogni cosa. Nella sofferenza del silenzio in cui ogni flusso di pensiero è destinato a diventare beneficio. Un malessere generale che fornisce elementi adatti all’autocelebrazione in cui il decadimento emotivo e morale attacca qualunque forma egoistica e crudele. Mediante tutto questo si osserva ciò che non è possibile vedere, interpretando l’illusione di queste entità che avrebbero dovuto sovvertire qualunque ente maligno.
Di eventi memorabili La tana del verme bianco possiede ben poco. Ho letto questo romanzo consapevole che non avrei riscontrato alcun effetto negativo, ma un ammaliamento generale di ciò che avrei potuto vedere – o non vedere-, in cui il tempo sembrava fosse stato solidificato in un delirio interiore che annullano ogni speranza di comprensione, di salvezza. Stoker infatti non avanza niente che possa definirsi impressionante, quanto rivela assetti dell’identità umana che sono le contraddizioni degli stessi personaggi. Si legge partorendo sin dal principio l’idea che sia questa mangusta a incutere terrore, turbamento, ma in realtà sono gli stessi personaggi a nutrire piacere per il male altrui. Lady Arabella diviene quel contenitore perfetto mediante cui essa si muove per infliggere il male, ma se il suo sonno non fosse stato destato da questa non sarebbe divenuto l’incubo di molti. Adam è turbato dalla presenza di questa creatura, ma il suo muoversi è dettato da motivi egoistici che individuali. Figure non propriamente maligne ma nemmeno così buone che continuano a non farsi influenzare dalla sua venuta.
Ho colto l’opportunità di leggere questo romanzo valutandola in ogni sua forma e assetto, senza alcun sentimento di tedio che aveva invece accompagnato qualche lettore prima di me, bensì con la pensosa dolcezza dell’arte che si cela nella letteratura gotica ottocentesca, nei fissi spettrali atteggiamenti di una creatura orripilante rinchiusa in una tana, con lo sguardo attento di una lettrice che fa di queste storie il suo pane quotidiano. Certe storie, del resto come quasi tutti i romanzi classici e la narrativa contemporanea che amo particolarmente, mi fanno perdere completamente la testa al punto di verificare e constatare che la realtà circostante a confronto è una mera visione di ciò che è anziché di ciò che avrebbe potuto essere. Lasciandoci turbare da certi preconcetti, dalla lentezza di certe scelte stilistiche, ma completamente sedotta dal suo tono piatto, un po' lento della storia.
Con un montaggio di sorprendenti rivelazioni, lettere, dove tutto è svelato gradualmente, una sorta di sfogo interiore alla solitudine, che lentamente corrode e annienta lo spirito di chiunque in cui l’orrore e la minaccia fanno da pilastro a un crescendo di emozioni. Ci si aggrappa alla bellezza dei ricordi facendoli rivivere al presente, sopravvivendo alla bellezza della storia romana e delle divinità greche, così antica e suprema la cui essenza è impossibile consolidare in poche parole. Territorio colmo di superstizioni, ricordi vividi e terribili in cui ogni traccia, ogni disegno è forma di qualcosa. Qualcosa di non sempre spiegabile, ma magnetico e assolutamente godibile.

Valutazione d’inchiostro: 4

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Titolo: Carmilla
Autore: Joseph Sheridan Le Fanu
Casa editrice: Feltrinelli
Prezzo: 10 €
N° di pagine: 235
Trama: Carmilla, la prima vampira della storia della letteratura, e il dottor Hesselius - medico e metafisico tedesco -, il primo detective dell'occulto, sono i due principali protagonisti di questa raccolta di storie "gotiche". Un testo chiave, la cui influenza sarà fortissima in tutta la letteratura del Novecento sui fantasmi. Tè verde (1869) è il racconto del reverendo Jennings che, dopo la lettura di "certi volumi antichi, edizioni tedesche di testi in latino medievale", mentre torna a casa con l'omnibus, vede comparire una misteriosa scimmia, che da quel momento in poi, tra improvvise sparizioni e scoraggianti ricomparse, continuerà a seguirlo fissandolo con bramosia maligna. Il giudice Harbottle (1872) è la funesta cronaca della nemesi piombata su Mr Harbottle, uomo malvagio e corrotto. Carmilla (1871-1872), infine, il più famoso dei racconti di Le Fanu, narra le astuzie e i languori della vampira Carmilla. Le storie di questo volume non sono paurose perché fantastiche, bensì paurose perché vere: riflessi del nostro essere, voci della nostra coscienza, proiezioni della nostra angoscia, immagini duplicate del nostro volto inquietante. Le Fanu ci invita a guardare nello specchio del reale con la consapevolezza che quanto vedremo non sarà la verità, ma una sua ombra confusa, il riflesso baluginante di qualcosa che sfugge al controllo della ragione.


La recensione: 

Ma morire come muoiono gli innamorati… morire insieme, per poter insieme vivere.

 

Si parla di leggende, di creature affascinanti, misteriose, avvenenti ma assetate di sangue, che il Caso ha posto come ostacolo alla sua inutile vita alla dolce Laura che ancora adolescente accolse assieme alla sua famiglia una misteriosa ragazza e sua madre nel loro fatiscente castello cercando di trovare la pace per poi svanire completamente. Chi fosse questa ragazza, da dove provenisse, chi fosse la donna in sua compagnia, sono tutti fattori che il lettore scoprirà lentamente e solo dopo, gestendo l’emozioni umane ponendole dinanzi a elementi in cui il reale e il possibile entrano in collisione. Le superstizioni, l’immaginazione è radicata nella coscienza di chi legge, destando le paure più assopite del suo animo. Ma il passato è una fonte straordinariamente succosa e sostanziosa in cui affondare le radici per comprendere chi siamo e cosa siamo. L’autore con questa figura anticipa quel genere letterario che diverrà un cult per la letteratura gotica, rifacendosi alle leggende antiche, ai miti e alle passioni sopite nell’animo. E quando Le Fanu creò questa entità aveva lasciato fosse il lettore a comprenderne la sua natura completamente corrotta. Si dipana così una storia non completamente corrotta, brillante e indimenticabile, perlomeno per me, attraverso cui l’autore volle come esprimere un messaggio in cui uomo e natura entrano in collisione. Donano quasi l’illusione sia alla stessa che a chi legge l’idea di qualcosa di forte che non gli appartiene del tutto.
Per quelli della mia generazione, lettori e non, l’ideologia di vampiro, i suoi tratti, le sue fattezze celebri e orripilanti, la bramosia di sangue e potere, l’odore di sale e ruggine resteranno il simbolo del fascino perduto della vecchia letteratura gotica americana. Definisco vecchia perché il XXI secolo ha soppiantato nuove forme di vampirismo. Molto più veloci, stucchevoli, romantiche, ma è una tipologia di letteratura che all’epoca mi affascinò tantissimo: inspiegabilmente, ero caduta anche io fra le braccia dell’algido Edward Cullen. Il romanzo di Le Fanu tuttavia non mi ha << soffocato >>, senza concedermi un attimo di respiro né dominato da una folle sete di sapere e conoscenza, in cui l’odore di vecchio invade ancora le mie radici. La vista di un mondo che ho già visto e disgraziatamente non ha sortito il mio fascino ma miglior esempio di come l’uomo si immiserisce nel momento in cui non riesce a rispondere all’ignoto.
Carmilla dunque non mi ha conquistata completamente, ma ritorcendo nel passato, nell’antichità fa luce sul potere che fu investita questo vampiro, non scacciando alcuna forma quanto ascoltando la ragione. Conoscendo così se stessa, valicando i confini del possibile e dell’impossibile.
Sentimenti come l’isolamento e la tristezza, la conoscenza come l’amore spiccano in un cielo ammantato di stelle osservandole splendenti, brillanti sopra scintillanti torri di città di vetro quasi avessero emesso un canto. Un perfetto suono tremolante che si è propagato nell’universo la cui natura prevede che tutte le cose siano divorate, il tempo era una bocca sanguinaria che divora da dentro.
Ho scorto come questa bellissima creatura era nata dal nulla e dal nulla scomparirà. Godendo di illusioni dell’immaginazioni, dell’immortalità che disgraziatamente hanno asservito al Male senza curarsi dei desideri di Dio e della Grazia concessa quella cioè di non bruciare fra le fiamme dell’inferno bensì nelle ombre della terra. Del resto, non si tratta di figure macchiate di impurità create a immagine e somiglianza di Gesù Cristo nella sua infinita perfezione?
Come credevo, tutto ciò mi ha suscitato un guazzabuglio di sentimenti contrastanti. Avevo trovato tutto ciò estremamente interessante ma non affascinante. Vivendo in questa landa deserta, in mezzo a queste creature estremamente tormentate, imparando che si può interpretare un’opera come la si vuole ma niente e nessuno toglie lo splendore e la magnificenza delle sue tematiche. Perché pur quanto cerchi di scrivere lunghi e inutili sproloqui, riporre nero su bianco le mie più nitide impressioni al riguardo, ho imparato come l’idea di << capolavoro >> è spesso sopravvalutata o meglio adoperata in contesti irreversibili. Questo romanzo esprime qualcosa che esula dal capolavoro, dal trascendentale e potente che non conosce alcun limite. Perché proiettato in un paradiso pagano dinanzi a forme dissonanti ma non prive di redenzioni finali, ho scorto queste figure come piccoli grandi Prometeo strappare stelle lontane, eterne, illuminando la luce di un cammino fosco e tetro grazie a cui è possibile comprendere tante cose.

Valutazione d’inchiostro: 3

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Titolo: Le affinità elettive
Autore: Johann Wolfgang Goethe
Casa editrice: Feltrinelli
Prezzo: 9 €
N° di pagine: 336
Trama: "'Le affinità elettive' sono, di tutti i romanzi di Goethe, il più artisticamente perfetto. [...] Che cos'è l'affinità elettiva? Lo chiedo a un vocabolario, e leggo: 'è la proprietà di alcune sostanze di reagire tra loro formando composti nuovi'. Ci si chiede che cos'abbia a che vedere questo con un romanzo, dove sono in ballo personaggi umani. E la prima sorpresa è questa: che Goethe applica le leggi della chimica, delle scienze naturali, alla psicologia degli esseri umani. [...] Un romanzo positivo? Sì, perché grande opera d'arte, che come tale è positiva sempre; ma non come opera 'edificante' (se le opere edificanti possono mai dirsi positive), perché al contrario esso è un libro che turba, che sgomenta, che pone mille interrogativi e non ne risolve alcuno: ma è forse questa la sua vera e unica positività.

La recensione:

Fin qui niente da dire. Parlare di classici è sempre un pegno. Perché scrivo questo? Perché un lettore, una lettrice, una volta terminata la lettura di un’opera classica paga il suo debito di aver << usufruito >> della sua compagnia, anche solo per una manciata di ore, dovendone descrivere la bellezza o per meglio dire elevarsi sul reale per camminare di pari passo col suo autore. Quasi sempre è un processo difficilissimo. Questa recensione è difficile. Sempre alla ricerca di qualcosa che possa appagarmi completamente, scovare parole che forse non hanno un senso se non per me stessa, indizi che vanno contro la mia morale di perfetto e concreto e che quasi sempre mi conducono a guardarmi dentro. Ma sono una lettrice troppo onesta per compararmi ad un uomo illustre come Goethe, come Jane Austen, le sorelle Bronte, o, a Steinbeck o Philip Roth. Creare l’illusione che queste parole saranno lette da qualcuno, se non forse solo da me stessa, e so che quanto scrivo non ha un vero e proprio fondamento. Troppi discorsi vacui, troppe parole messe così – a caso? – troppe confessioni che probabilmente non rivelerò mai a voce alta. La scrittura è questo, per me.  Esaminarsi in profondità capendo ciò che ti dà forza e ciò che invece, indebolendoti, dovrebbe essere affrontata. Scopro del buono in ogni lettura che compio, in ogni personaggio descritto, c’è un fremito nel momento in cui le nostre anime entrano in contatto. È qualcosa che mi mantiene all’erta, mi induce a pormi delle domande. È qualcosa che mi avrebbe fatto del male? Pronta a tutto.
Questo inutile e forse insensato discorso per dire, che Le affinità elettive non mi parvero più “accoglienti” di quando il Caso volle che ci conobbimo, dieci lunghi anni fa. Bazzicavo nei meandri del fantasy, in mondi popolati da vampiri e licantropi. Cosa ci facevo io in una brughiera incolta, nel bel mezzo di una disputa fra due coppie? Ma al tempo non sfuggì il mio stata male fra le sue pagine, senza indicare le vere e proprie cause. Questo romanzo lo avrei riletto quando sarebbe stato il momento giusto. Il momento più adatto giunse alla soglia dei trent’anni il che forse a mia volta ero pronta a tutto questo. Pronta a vivere per la persona amata e con la persona amata con la medesima intensità che Goethe riversa in queste poche pagine, scacciando qualunque forma maligna, accogliendo il cambiamento come forma di comprensione, immortale momento in cui la personalità avrebbe conservato qualcosa che restasse perpetuamente avvinta.
Farsi travolgere dalla trama non era un buon punto di partenza per apprezzare completamente un classico della letteratura tedesca come questo. A poco a poco ci si dimentica chi siamo. Ci immergiamo a tal punto da confondere la realtà dalla finzione, decidendo cosa e chi avrebbe scritto il mio Destino. La Bellezza, il Mito, il rapporto fra uomo e natura si intersecano in qualcosa di estremamente provato, quasi tragico, ma in cui si instaura un rapporto di forte condivisione fra lettore e autore. Il paesaggio ameno in cui lo sguardo si perde, la fantasia che indugia con passione, la determinazione a comprendere l’uno e l’altro, la natura che una volta compresa rendono possibili unioni più profonde, entro certi limiti.
Non si è mai certi che l’amore possa trionfare in queste pagine, sino alla fine. E quand’anche, va registrato che passa a setaccio la figura di uomini misericordiosi, altruisti, comprensivi, che cercano di appropriarsi molto più di quel che potrebbero avere, lasciandosi andare ad assetti intraducibili in cui la vita è celata dal suo intrinseco rapporto con l’arte. Le relazioni umane e il mito attraverso cui si raggiungono svariate forme di felicità.
Johann Wolfgang Goethe si assunse l’onere di mantenere le sue posizioni visive e sociali, compito che assolse raggiungendo il cuore di chi legge in una posizione di spicco da quello del mondo circostante, e una volta arrivato ai vertici la smania di allontanarsi, di fare nuove scoperte, percorrere il mondo affinchè certi segreti insulsi limitano il cammino, conducono lungo una strada  segnata dall’abitudine. È stato così che quest’opera entrò nelle stanze oscurate del mio animo, sbarcando negli ultimi giorni del mese di giugno, arrivando a possedere il mio cuore ritrovandomi ad ascoltare gli incauti sussulti di un cuore estremamente dolce ma sofferente. A volte è inevitabile che io mi lasci influenzare dal tono malinconico che generalmente prevedono certe giornate lavorative, che generalmente coincidono con quello del mio animo, che pur quanto combatti per non lasciarmi influenzare alla fine l’unico rimedio è quello di non pensarci. Vivere la vita non pensandoci, non dimenticando. Distraendomi affinchè ogni cosa svanisca. Ma un incontro di menti eccelse, di frasi e sillogismi vari, un’intesa fra corpi, una mancanza di inibizioni così prorompenti da lasciarti tramortita che covano forme perse di talento, smarrite nel dolore, il cui forte senso di tranquillità a cui aspira Carlotta cozza con la natura inquieta di chi parla, oppresso dai meccanismi insidiosi della società. Il rifiuto del compromesso, la coerenza con se stessi, il vedere la sconfitta non tanto nella morte ma nell’annientamento della società in cui è evidente la disuguaglianza fra generi, rappresentano un’intera generazione che si oppose con ingenuità alla società circostante. In Le affinità elettive ci si ritrova avvulsi in questa forma d’arte non potendo rompere e inframmentare il legame che si instaura inevitabilmente fra lettore e autore, l’unica cosa che tiene in vita l’anima del romanzo e il suo essere permeato da una travolgente ondata di romanticismo che azzera qualunque forma di malinconia, senso di inadeguatezza, che sembrano voler trasmettere nient’altro che svariati significati, in particolare cosa significa stare nel mondo. L’inizio della vita e il relazionarsi col prossimo in cui ci si ritrova a vagare in una landa desolata col desiderio insopprimibile di scovare un canto di culla, facilmente riscontrabile nella straordinaria sensazione in cui l’arte si riversa nelle tradizioni. L’anima è pervasa da un’indicibile e forte senso di serenità. La natura aiuta a infervorare tali sentimenti ma soprattutto di non brancolare nell’angoscia da cui non si vede nient’altro che esseri minerali che divorano ogni cosa. Pur di non riconoscere la tristezza bisognerebbe bearsi della natura, pur di accogliere l’amore bisognerebbe entrare col mondo circostante attraverso l’osservazione di ciò che ci circonda, non diffamando niente e nessuno ma ponendoci tutti sullo stesso piano. Le affinità elettive è avvulso in un aura che sfugge a qualunque definizione precisa di amore, ma il cui eco o voce è stato a dir poco inconfondibile, così diverso da tutto ciò che ho letto sino a ora. Un misto di eleganza e tran tran sentimentale, in cui la quotidianità è contaminata dalla bellezza dei sogni, dell’arte, della scrittura, il tutto vergato da una scrittura controllata, di forte impatto, nel quale si convive con le tendenze anarchiche della società circostante, nel quale vi sono accesi rancori, ma nel romanzo proiettato in un atmosfera pacifica.

Valutazione d’inchiostro: 4

6 commenti:

  1. Tra i libri che hai citato ho letto "Le affinità elettive", la chimica applicata alle passioni umane le rende eterne nel tempo e protagoniste di una forza distruttiva e irresistibile. Ci narra l'utopia romantica nel suo tragico risvolto. Una lettura da consigliare :)

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  2. Ma quanti bellissimi libri! Anche io ho deciso di leggere sette libri in sette giorni, inizierò una di queste settimane! Sono libri molto brevi ma che sono sicura mi daranno grandi soddisfazioni! Tra i tuoi devo dire che ci sono tantissimi titoli interessanti, in particolare mi interessa quello di Lucy Maud Montgomery perché ho amato "Anna Dai Capelli Rossi"! Però sono tutti bellissimi, davvero ❤️

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    1. Grazie 🤗❤️ te lo consiglio caldamente quello della Montgomery. A me è piaciuto tantissimo 🤗🤗

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