lunedì, settembre 08, 2025

Gocce d'inchiostro: L'uccello che girava le viti del mondo - Murakami Haruki

Il mondo ritratto in queste pagine è un mondo che ha vasti richiami a quello incantato, in cui l’illusione, il surreale e l’assurdo si mescolano ad aspetti di vita quotidiana che si scontrano o incontrano, fra belle donzelle affamate di sesso e telefonate nel cuore della notte, apparentemente superstiti  di una razza persa e disorientata che ha poco in comune col romanzo precedentemente recensito. Ma con Murakami è così: i luoghi che disegna e in cui vorrei viverci mi fanno dimenticare dove vivo, perdere letteralmente il senso del tempo, completamente immersa, al punto di non saper distinguere la realtà dalla finzione, la mia vita, i miei affanni sul mondo, costruita e sorretta giorno dopo giorno da esperienza di vita che ne arricchiscono il mio bagaglio culturale. Non fosse stato per i rumori esterni, la quotidianità che presto o tardi mi induce a svegliarmi, non credo che da questo ennesimo splendido ritratto umano sarei uscita tanto facilmente.

Eppure in questo immenso arazzo c’è un complesso di vita, fiati, respiri di figure che camminano sul sentiero insidioso della vita, quella passata e quella futura, quasi una profezia lasciata ad un tempo indefinito. O almeno così mi parve, quando mi ci approcciai, quando ci arrivai fui come cullata da un sogno la cui impressione si è mantenuta positiva per tutta la sua durata. Visitatrice attenta e curiosa, sopravvissuta ad un mondo apocalittico che rispecchia perfettamente la grandezza di certe tragedie, in una zona remota del mio cervello ho visto il protagonista, alter ego del suo autore, valicare i cieli celesti del mio iperuranio, viaggiando in un mondo di infinita bellezza. Certe storie giungono nel tuo cerchio personale quando meno te lo aspetti. Sono lì, scolpite in un foglio invisibile, in attesa che tu li viva, li legga, li senta. Una profezia, un mantra? Forse, la semplice constatazione dell’immutabilità della vita che è sempre gioia e violenza, piacere e tortura. In letteratura, quella con la L maiuscola, a me piace tutto questo. Non amo più infatti le storie sdolcinate, semplici, quelle corredate da un corollario di situazioni in cui una ventata di sofferenza è repentinamente spazzata da un amore irruento, sorprendente, persino spontaneo. Nel mio piccolo, ho costruito il mio mondo di carta con serenità, passione, in un marasma di delusioni e incredulità, il tutto sotto l’osservazione attenta del mio blocnotes preferito. Ma è questo per me il vero respiro della letteratura: scalpellare una scrittura che traduca la nostra anima. La mia.

L’uccello che girava le viti del mondo ha molte di queste caratteristiche, di cui ho potuto cogliere la voce del suo autore provenire da zone remote, lontane libera di andare dove ho desiderato. La tacita promessa di assaporare, in un futuro non troppo prossimo, il fresco e dolce sapore di questa storia. Una favola moderna dalle tonalità drammatiche e intense, la cui lettura avventurosa ha destato persino coloro che non sono più abituati a leggere storie di questo tipo. Storie che riescono a farmi rammentare così bene chi siamo. Un omaggio ai ricordi dell’infanzia, pieno di candore e semplicità in cui ci si rifugia in arti espressive il cui ritmo un po’ lento e cadenzato e una morale triste, esplica il bisogno di saper trovare il coraggio di andare avanti. Piacevolissima favola che dà luce a un mondo visionario e affascinante, il genere di storia che saprà di certo entusiasmare i più piccoli ma anche gli adulti, riesumando dal passato ricordi belli e piacevoli che pensavamo di aver dimenticato del tutto.

Titolo: L’uccello che girava le viti del mondo

Autore: Murakami Haruki

Casa editrice: Einaudi

Prezzo: 17, 50 €

N° di pagine: 832

Trama: In un sobborgo di Tokyo il giovane Okada Toru ha appena lasciato volontariamente il suo lavoro e si dedica alle faccende di casa. Due episodi apparentemente insignificanti riescono tuttavia a rovesciare la sua vita tranquilla: la scomparsa del suo gatto e la telefonata anonima di una donna dalla voce sensuale. Toru si accorgerà presto che oltre al gatto, a cui la moglie Kumiko è molto affezionata, dovrà cercare Kumiko stessa. Lo spazio limitato del suo quotidiano diventerà il teatro di una ricerca in cui sogni, ricordi e realtà si confondono e che lo porterà a incontrare personaggi sempre più strani: dalla prostituta psicotica alla sedicenne morbosa, dal politico diabolico al vecchio e misterioso veterano di guerra. A poco a poco Toru dovrà risolvere i conflitti della sua vita passata di cui nemmeno sospettava l'esistenza. Un intrigante romanzo che illumina quelle zone d'ombra in cui ognuno nasconde segreti e fragilità.

La recensione:


“Una volta scesi da quel palcoscenico, tolteci le maschere che indossavamo a beneficio gli uni degli altri, tutti quanti noi eravamo soltanto delle masse di carne instabili e maldestre. Semplici masse di carne calde di vita, dotate di un'ossatura…”


Il tardo pomeriggio mi vide recarmi in un bel posto che ogni tanto amo visitare - una Tokyo spettrale e suggestiva.

Dopo aver letto un numero spropositato di racconti mi ero messa a vagare per casa come un'anima in pena, cercavo la storia giusta che facesse al posto mio e alla fine mi accorsi di avere una strana fame. Dopo qualche giorno mi resi conto che stavo letteralmente morendo di fame. Non si trattava di una fame come tutte le altre. Una fame non alimentare, ma letteraria che m'indusse a divorare questo romanzo: ennesima storia surreale nonché teatro di ricerca in cui sogni, ricordi e realtà si fondono. Presumendo che il mio autore giapponese preferito illuminasse i corridoi bui della mia anima.

Ho sempre avuto un debole per questo autore, sin dal primo giorno del nostro incontro, e in un momento imprecisato della mia vita le sue storie mi colpirono con violenza. Trasmettono solitudine, tristezza, facilmente rintracciabili in pagine bianche il cui pallore minacciano come una sottile lama. Nel silenzio delle mie giornate, ho avvertito le radici di questa solitudine propagarsi serpeggiando. Ed io, che di solitudine disgraziatamente ne so qualcosa, ho sentito questo come un qualcosa che mi appartiene.

Per qualche momento, col cursore che continuava a lampeggiare con la regolarità di un battito cardiaco, aspettavo col fiato sospeso che mi venissero date le parole. Parole che mi hanno turbato e allo stesso tempo evocato immagini vaghe e lontane.

Mi sono lasciata cullare dalla sensazione di essere circondata da ombre evanescenti prigioniere. Restavo semplicemente seduta lì, seduta sulla mia poltrona preferita, assorbita completamente dalla storia. Però nel mio inconscio stavo aspettando che la luce di questa nuova storia rischiarasse le tenebre del mio animo. Quel raggio di sole abbagliante che per poco tempo veniva sporadicamente rammentando i miei più validi motivi per cui abbia deciso d'imbarcarmi in questa storia. Considerando che Murakami è un maestro nel creare l' "atmosfera", quando meno me lo aspetto, prima o poi doveva accadere. Aspettavo solo questo, l'arrivo di un bel raggio di sole. Era l'unica cosa che desideravo aspettare. La luce era li. Dovevo solamente metterla a fuoco. E nel momento in cui ciò accadde, quasi senza rendermene conto, conobbi la potenza di quell'abbraccio.

Dentro di me resta sempre una brama intensa per Murakami, così come il piacere dei libri. E L'uccello che girava le viti del mondo - in un periodo a dir poco lungo per i miei standard trascorsi a leggere con avidità, sotto una massa informe di nuvole di svariate dimensioni che minacciavano il giorno: il grigiore scuro metallico sprigionava scintille; le note di qualche musicista rap che levandosi raggiungevano il soffitto accompagnando il rumore fragoroso dei tuoni dentro le nuvole - la natura stessa sembrava restare immobile, in questi momenti, logorandosi nell'assistere a questo spettacolo fantasmagorico che scivolava nella malinconia.

Avevo ancora nelle orecchie brani della sua poetica musicale, che avrei ascoltato e riascoltato. Cercavo di distinguere il vero dal falso, immergendomi completamente, e solo dopo cominciando a distaccarmi dal protagonista Toru. Da questo contenitore un po' vuoto e inconsistente che costituisce la sua persona. Un individuo che conobbi e so di conoscere molto bene.

Pensando, crescendo, respirando, vivendo, trasformandosi in storie, le parole di questo ennesimo straordinario ritratto della realtà umana mi hanno trascinato in un pozzo oscuro e profondo, in cui i personaggi hanno preso vita nel momento d'iniziazione della loro esistenza. Mi sono avvicinata a tal punto che, guardandoli negli occhi, ho avuto la sensazione di essere toccata. Li scrutavo fin dentro il loro animo, come se fossero in una casa vuota e deserta al cui interno non ci sono né mobili né tende. Solo uno spazio vacante. Ho avvertito la loro paura, i temibili pensieri che li assillano di notte, all'idea di essere soli, al buio, lontani da migliaia di prospettive in qualunque direzione guardino. Impegnati in una muta ricerca, attraverso le parole sembrano contemplare scene da un ottica completamente diversa. Scene per loro famigliari e a noi estranee, cariche di significato, appartenenti a un labirinto buio e sotterraneo dove non s'intravede nemmeno uno sprazzo di luce.


... mi sono sempre sentito come un guscio vuoto. E quando uno vive come un guscio vuoto, per quanto lunga sia la sua vita, non si può dire che abbia veramente vissuto. Dal cuore e dal corpo di un guscio vuoto, nasce solo la vita di un guscio vuoto.


Convivendo in questa realtà che loro hanno scelto, nonostante questo comporti qualche problema, ho avvertito uno strano senso di vuoto, di sconforto, come se ogni rimasuglio della loro felicità fosse stato spazzato via. E, lasciando un segno del mio passaggio, ho visto i loro sogni. Sogni che compiono mediante profonde riflessioni filosofiche, limitandoli ad essere una semplice via di transito per se stessi.

Il mio incontro con Toru è stato come una collisione fra due mondi che restano tuttavia nettamente separati. Le sue parole, il suo racconto, così pieno di avventure e assurdità, scivolarono lentamente nella mia coscienza in un luogo diverso da quello di cui ero circondata fino a quel momento. I ricordi emergevano nelle tenebre lontane della coscienza e, nonostante la mancata logica, lasciano ammutoliti, curiosi, spingendoci, per un momento, a voler intraprendere anche noi questa strada insidiosa. Attingere a una realtà che non ha le caratteristiche della landa selvaggia a cui siamo abituati, ma qualcosa di simile al mare. In cui si avverte qualcosa che possa definirsi come un amore immenso. Cosmico.

Il surrealismo magico che lo resero famoso, qui, è vagamente accennato in quanto l'autore racconta il romanzo come se disfacesse i nodi della corda della sua giovane età, rivedendo i fatti lentamente. Ci parla un po' di più del protagonista e di un periodo estremamente delicato della vita cui si resta facilmente feriti. Più acuta e penetrante la generale malinconia che sovrasta i suoi romanzi. Gli stessi personaggi, infatti, avvertono il dolore e la solitudine come un malessere incurabile. Inducendoli a condurre una vita negativa e ingiusta con qualcosa di estremamente iniquo, parassiti di una materia che non gli appartengono.

L'uccello che girava le viti del mondo è un romanzo profondamente introspettivo che risulta un po' carente, a tratti fastidioso, per le continue digressioni narrative che intaccano e sporcano questa storia, privo d'identità. Un ripetersi continuo e lento che oscilla fra buio e luce, in cui la nozione del tempo traballa come un vagone su un asse in equilibrio precario. Non il migliore romanzo di quest'autore, zeppo di frammenti di pensieri che si riversano impedendoci però di carpirne il significato. Parole affiorate dalle tenebre e in poco tempo riassorbite dalle stesse.

Per quanto abbia cercato di sforzarmi a capire in maniera scrupolosa e obiettiva, per gran parte del romanzo non sono riuscita a capire cosa volesse dirmi. Dove si trovasse il nesso, nonostante i suoi ragionamenti fossero così logici e chiari. Ma quando cercavo di metterle in relazione fra loro, non potevo evitare di essere sopraffatta da una certa confusione. Questo però non significava che l'autore non avesse in mente una soluzione imprecisa. Lui l'aveva. Solo che la teneva nascosta.

Aggirarsi in un deserto sconfinato senza alcuna bussola, chiuso in un lungo labirinto.

Nel giro di una settimana mi sono totalmente immersa nella storia che "ascoltavo", prendevo appunti, leggevo da non desiderare altro. Halloween appena entrato era stato popolato da figure appartenenti non al mio mondo ma a quello di Toru, del suo gatto e sua moglie. Durante la lettura sentivo come "mia" la sua voce e assieme a May e Creta e al resto della grande famigliola viaggiavo con la mia immaginazione, lungo i quali si sono rivolti costantemente, in questo lasso di tempo, i miei pensieri. Era un modo carino per rinunciare, anche se per poco, alla mia vita. Calarmi completamente nella storia dei personaggi di Murakami e volgere le spalle a un mondo in cui sono in voga l'insoddisfazione e l'ingratitudine. Sentirmi placare, cullare dalla sicurezza di una storia surreale che tuttavia non ha sortito l'effetto desiderato. Una buona storia che abbacinasse sempre più un frammento di finzione. Che ha placato il mio entusiasmo ma appagato, allo stesso tempo.

Quando finirò di scrivere questa recensione, di lui, so che scomparirà nuovamente col suo fare misterioso e taciturno, e tutto sarà finito, dopo avermi parlato di tutto e di niente, facendomi godere in tranquillità la bellezza di una realtà parallela in cui avrei fatto perdere spontaneamente le mie tracce. E, in mezzo a questo mare d'assurdità, con il suono dell'uccello - giraviti che si diffondeva dai rami di qualche impotente quercia, dispiegando le ali come se stesse per prendere il volo da un momento all'altro, sono stata tuttavia bloccata in questa realtà parallela priva di logica. Non avevo alcuna possibilità né intento di lasciare questa dimensione. Quel posto sembrava stagnare, come se una forza gigantesca avesse costretto il corso della natura a fermarsi.


Tutti pensano ci sia qualcosa di più grande, più complicato e più bello a far girare il mondo. Invece lo fa girare lui, si sposta da un posto all'altro e man a mano che si sposta va a stringere le viti. Sono viti molto rudimentali, sembrano quelle dei giocattoli. Basta solo farle girare. Però le può vedere solo l'uccello - giraviti.


Valutazione d'inchiostro: 4

2 commenti:

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