giovedì, marzo 14, 2019

Gocce d'inchiostro: Il prigioniero del cielo - Carlos Ruif Zafon

Non appena mi sono separata dal mio amato Paul Auster, mi sono avvicinata alla libreria più grande della mia camera accaparrandomi, quasi come priva di volontà, della quasi malconcia copia del terzo libro della quadrilogia de Il cimitero dei libri dimenticati. Prendendo il libro, poggiandolo sulle gambe a mò di leggio, entrando nella Barcellona degli anni '40 come se non me ne fossi mai andata.
Sapevo che Daniel Sempere, Fermin, la dolce Bernanda mi avrebbero accolto con un certo calore, un certo affetto; immaginavo già l'espressione che sarebbe apparsa sui loro visi non appena sarebbero venuti a conoscenza della mia visita. E come invitandomi ad entrare, ho bussato alla porta della libreria Sempere. Qualcuno ha aperto l'uscio. Ed io sono entrata.






Titolo: Il prigioniero del cielo
Autore: Carlos Ruif Zafon
Casa editrice: Mondadori
Prezzo: 21 €
N° di pagine: 349
Trama: Nel dicembre del 1957 un lungo inverno di cenere e ombra avvolge Barcellona e i suoi vicoli oscuri. La città sta ancora cercando di uscire dalla miseria del dopoguerra, e solo per i bambini, e per coloro che hanno imparato a dimenticare, il Natale conserva intatta la sua atmosfera magica, carica di speranza. Daniel Sempere - il memorabile protagonista di "L'ombra del vento" è ormai un uomo sposato e dirige la libreria di famiglia assieme al fedele Fermin con cui ha stretto una solida amicizia. Una mattina, entra in libreria uno sconosciuto, un uomo torvo, zoppo e privo di una mano, che compra un'edizione di pregio de "Il conte di Montecristo" pagandola il triplo del suo valore, ma restituendola immediatamente a Daniel perché la consegni, con una dedica inquietante, a Fermin. Si aprono così le porte del passato e antichi fantasmi tornano a sconvolgere il presente attraverso i ricordi di Fermin. per conoscere una dolorosa verità che finora gli è stata tenuta nascosta, Daniel deve addentrarsi in un'epoca maledetta, nelle viscere delle prigioni del Montjuic, e scoprire quale patto subdolo legava David Martin - il narratore di "Il gioco dell'angelo" - al suo carceriere, Mauricio Valls, un uomo infido che incarna il peggio del regime franchista.

L
a recensione:

<< ... adesso è uno dei nostri, gente che non ha volto nè nome da nessuna parte. Siamo fantasmi. Invisibili ... >>

Un lettore non dimentica mai le volte che accetta di pagare a una somma esorbitante una storia. Non dimentica mai la prima volta che avverte sulla propria pelle il brivido dell'eccitazione e crede che, se riuscirà a nascondere a tutti la sua mancata coscienziosità, la sua lettura potrà intrattenerlo piacevolmente, fornirgli efficaci mezzi di evasione - grazie alla possibilità di rifugiarsi in mondi ancora inesplorati - e sopratutto quanto più desidera: una storia indimenticabile stampata su un'innocua pagina bianca che vivrà sicuramente più a lungo di lui. Un lettore è condannato a ricordare quell'istante, perché a quel punto è già perduto e la sua anima ha ormai un prezzo.
La mia prima volta fu un lontano giorno di aprile di due anni fa, con un cielo uggioso - che sembrava promettere nulla di buono - e un sole spaventoso che non riusciva ad espandersi tra banchi di nuvole e pioggia. Avevo vent'anni e già da qualche mese muovevo i primi passi all'università alla facoltà di lettere moderne, terreno insidioso per molte matricole o studenti, che languiva in un cavernoso edificio che sembrava avesse ospitato una fabbrica e le cui pareti trasudavano ancora odori solforici che corrodevano perfino il mio zaino color cobalto, ormai annerito dall'incuria del tempo. La sede dell'università si ergeva oltre una distesa di edifici vecchi e malandati, e da lontano il suo profilo si confondeva con quello nudo e verdeggiante di una pianura ritagliata su un orizzonte costellata da macchine e trattori che intessevano un perpetuo crepuscolo nero e scarlatto sopra la mia città.
Il pomeriggio in cui accadde il fatto in questione, mi trovavo in una situazione di precaria incertezza. In un periodo non molto dissimile da questo, con pile e pile di romanzi ancora non letti che aspettano solo il momento propizio per cui io possa impossessarmene.
All'epoca, consideravo amico di lunga data lo scrittore spagnolo Carlos Ruiz Zafon in quanto i suoi romanzi erano state letture splendide e inimmaginabili, mi avevano regalato piacevolissime ore in sua compagnia e, al termine di ogni volume, con una tristezza indicibile nel petto, confidato che la Mondadori pubblicasse, al più presto, qualcos'altro di questo autore.
Intuì che l'ozio e il tedio che generalmente scaturiscono da alcuni tipi di letture, che presto o tardi mi avrebbero stancato per la loro improduttività, col romanzo di Zafon sarebbero state del tutto vane. Dando una breve scorsa al romanzo, seppi con certezza assoluta che tra me e il mio povero portafogli non ci sarebbe stato l'ennesimo dibattito e che, quel grumo di diffidenza che ancora albergava nel mio animo rimirando la copertina, arrivasse a un punto tale che la lettura di quest'ennesima esaltante lettura - imbevuto di mistero, suspense e un pizzico di romanticismo - rappresentasse un sollievo più che una condanna. Dopotutto, stavo soddisfacendo una mia curiosità sotto quest'aspetto, e non concedere un opportunità all'illustre Zafon sarebbe stato il prezzo che avrei dovuto pagare al mio lato sognatrice e romantica.
Quel pomeriggio, infatti, nascosto sotto i vestiti perché mia madre non lo vedesse, mi portai a casa il mio nuovo amico. Furono due giorni di primavera caldi e soleggiati durante il quale lessi Il prigioniero del cielo tutto d'un fiato, in parte perché ero curiosissima di scoprire quale oscuro segreto nascondesse il povero Fermin e in parte perché pensavo che un autore spagnolo di questa portata non potesse essere uguagliato. Iniziai a sospettare che l'insigne Zafon avesse scritto i suoi romanzi per me. E ben presto ebbi la ferma convinzione che, un giorno, avrei imparato a scrivere quello che scriveva il talentuoso David Martin.
Sono stata contagiata dal tono scherzoso nel momento d'iniziazione alla vita drammatica e infelice propiziata da Fermin, e tutto mi sembrava estremamente profondo, impregnato di quella assurda solennità tipica dei romanzi di guerra con la quale la fugacità di un misero atto di redenzione investiva inevitabilmente anche l'atto più insignificante. Schegge di vetro che mettono a nudo ogni personaggio: gente che non ha volto né nome da nessuna parte. Fantasmi intrappolati in epoche e luoghi in cui essere nessuno è più onorevole che essere qualcuno. Mendicanti, ombre che camminano distratte sul freddo cemento di una strada spoglia e polverosa. Figure che nessuno nota e che gli sguardi non riescono a catturare.
Sin dall'inizio, si avverte quel filo di drammaticità che trasuda dalle pagine nonostante l'ironia di alcune situazioni e di alcuni dialoghi. Barcellona, protagonista indiscussa della produzione zafoniano,  diviene qui non solo rappresentazione scenica del romanzo ma anche sfondo di una sfilza di oggetti e situazioni simboliche: strade grigio marrone, ne ampie, ne pittoresche ma numerose nella parte orientale della città;  belle colline, alberi e chiese di marmo antistanti; fiumi che gorgogliano contro l'argine di qualche malfamato porto. Una successione di tappe del cammino di svariati personaggi, macchiati da azioni e gesti ignobili, che appaiono come figure misteriose e imperscrutabili che vagano lungo la riva dell'insoddisfazione, cercando la possibilità di riscattarsi, e redimere la propria anima di peccatore.
Richiamo costante alla libertà d'azione, alla crescita all'età adulta e all'amore vero, Il prigioniero del cielo è da considerarsi come un romanzo di transizione al ciclo di romanzi che si intrecciano nell'universo del Cimitero dei libri dimenticati. Rappresentazione perfetta di una Barcellona che diviene oggetto d'attrazione per una serie infinita di personaggi e il terreno ideale per l'indagine accurata del rapporto fra l'esistenza e la sua rappresentazione fra letteratura e vita. Un vaso di Pandora contenente verità fondamentali che pochi individui sono in grado di comprendere. O, ancora, l'inclinazione adatta a rievocare sensazioni corporee. Rispolverare zone che credevo di aver dimenticato, valutando situazioni che un tempo non avrei mai creduto possibile, facendo amicizia con personaggi che, per qualche tempo, avevo detto arrivederci. Ricostruire la loro storia fino a memorizzarla, come se fosse mia. Annusare le tracce nella speranza di trovare una pista, un indizio che mi consentisse di comprendere cosa turbasse quel povero relitto di Fermin il quale portava a spasso il peso delle sue colpe per un centinaio di pagine, che illuminavano una corte servile affamata di sfavori. In pochissimi giorni ho cercato l'uomo che aveva coltivato una particolare devozione per il "piccolo" Daniel, che aveva nascosto verità sepolte da tempo e che nessuno  sembrava in grado di ammettere. Dovevo rispolverare questa storia per sapere cosa ne era stato di lui. Avevo bisogno di scoprire quello che, per così tanto tempo, aveva taciuto a Daniel, anche solo per ricordargli che qualcuno, una persona che non ha mai nascosto una devozione assoluta per la sua tragica ma appassionante storia, sapeva chi era davvero e quello che aveva fatto.
Mi è piaciuto assaporare nuovamente l'andamento e sminuzzare l'architettura di ogni frase, rileggere di paesaggi urbani a cui l'autore è tanto affezionato, credendo che, se avessi decifrato la musicalità di quella prosa, avrei scoperto qualcosa su quell'uomo che pensavo di conoscere e che un romanzo mi assicurava qualcos'altro. E, solo alla fine, vedere la sua sagoma minuta immergersi nel grande fascio di luce che cala dalla cupola di vetro del Cimitero dei libri dimenticati. Arrestarsi all'ingresso e contemplare a bocca aperta lo spettacolo. 
Valutazione d'inchiostro:  4 e mezzo

10 commenti:

  1. Ho amato, amatissimo, i primi due, ma sono anni che non leggo Zafon. Perché, poi?
    Grazie mille per il promemoria. :)

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    1. Beh, ci sono volte che nemmeno noi lettori conosciamo la risposta! Io nutro un amore profondo per questo autore. Ho una pila di romanzi che attendono e languiscono sullo scaffaled da tempo immemore, eppure Zafon mi ha chiamata e io non ho potuto proprio fare a meno di ascoltare la sua chiamata :)

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  2. Zafón ha creato una serie bellissima, che ho amato da subito! Questo libro forse è quello che mi è piaciuto meno della tetralogia, semplicemente perché l'ho trovato relativamente breve :)

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    1. Comprendo benissimo, Katia! Pure io ne sono completamente affascinata - e assuefatta -, come puoi vedere :) Ogni tanto confido che Zafon scriva un giorno qualcos'altro.. chi lo sa :)

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  3. Non conoscevo questa serie, grazie per la recensione <3

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