giovedì, luglio 27, 2023

Gocce d'inchiostro: I racconti di Canterbury - Geoffrey Chaucer

Dai tempi del liceo, più precisamente dalla seconda superiore, non leggevo ne tenevo in mano un libro che fosse ambientato nel Medioevo. All’epoca consideravo certi romanzi come delle letture troppo impegnative, troppo noiose per farmi perdere, incastrare la mia anima in un imbuto di eventi da cui presto o tardi ne sarei rimasta intrappolata. All’età di quasi trent’un anni però scrivo orgogliosamente, che ho scovato il coraggio utile per approcciarmi ad un’opera come questa e che, nonostante le difficoltà iniziali, mi diede non poche soddisfazioni. Alla fine, qualcosa era accaduto. Ero rimasta intrappolata in un'altra epoca, in un altro mondo e come i pellegrini protagonisti, mi sono unita attorno a un gigantesco tavolo, ascoltando ognuno di loro. Mediante la parola avrei << difeso >> e diffuso la quotidianità, interpretato la modernità, compreso i mali del secolo, contrastando qualunque entità o forza maligna impedisse un certo progredimento. Consolidate in svariate forme o summe, comparandosi ad altre altrettanto belle opere che, a dispetto de Il Decamerone da cui l’autore prese esempio, la sua cornice è più statica. Come disse il suo autore, ammaestramento in quanto nel suo piccolo concede grazia, affinché la nostra anima possa essere redenta da ogni peccato.

Titolo: I racconti di Canterbury
Autore: Geoffrey Chaucer
Casa editrice: Mondadori
Prezzo: 11, 50 €
N° di pagine: 600
Trama: Nell'Inghilterra del XIV secolo un gruppo di pellegrini diretti alla tomba di Thomas Becket a Canterbury si intrattiene raccontandosi una serie di novelle. È questa la cornice dei ventuno Racconti di Canterbury , composti tra il 1386 e il 1400. Benché l'opera – un caposaldo della letteratura universale – sia rimasta incompiuta, queste novelle costituiscono una grandiosa e multiforme epopea della società medioevale inglese. E grazie alla rara dote di penetrazione psicologica dell'autore diventano qualcosa di più del pur notevole e vividissimo affresco storico: si trasformano nella rappresentazione simbolica dell'itinerario spirituale dell'uomo lungo il cammino della vita.

La recensione:

 

Si, amor mio, la mia sete d’amore è così grande, che io gemo come una tortorella fedele, e non mangio più di una fanciulla.

 

Si tenta quasi sempre di trarre un certo coraggio, nel momento in cui si decide di appropriarsi a certi testi, leggerli, recensirli. Lasciare un segno del tuo passaggio, affinchè in un futuro non troppo lontano, qualcosa resterà attaccato alla tua anima. I racconti di Canterbury esplicano innanzitutto quanto io mi sia sentita orgogliosa di aver superato anche questo scoglio letterario, e generalmente questo entusiasmo di cui parlo non mi lascia del tutto indifferente perché, a modo mio, mi rendono più grande di quel che sono. Ingenuamente mi innalzano nell’Etere, con la mia piccola stazza, e per qualche tempo resto lì, a vagare beata. Perché per me certe opere sono delle vere e proprie sfide, e se mi incaponisco a volerle vincere, niente e nessuno può farmi cambiare idea. Fatto sta che, nel bene e nel male, questo mio essere determinata e caparbia mi ha sempre portata lontana, e, nel tempo, a gioire di tante fatiche sprecate. Tante energie adoperate, con o senza l’istruttivo esempio di letterati, professori. Semplicemente leggendo per acculturami, saziare quella sete incontrollabile di sapere, lentamente venendo a patti con qualcosa che altera quasi sempre un po' il mio universo personale, cominciando a << capire >> chi scrisse e cosa pensò, e quando giungo poi alla fine immagino sempre che il peggio fosse passato.
Non avevo considerato come I racconti di Canterbury fosse un guanto di sfida che avrei accolto dopo qualche mese, dall’inizio dell’anno, e che la sua lettura sarebbe stata rivelante, indispensabile per il mio apprendimento culturale, e ora che mi trovo qui a riporre nero su bianco queste poche righe, ora che ho compreso tutto, la cosa demoralizzante in tutto questo è che, all’inizio, non ne ero del tutto consapevole. Devo prima leggere, fare esperienza, come un gesto di puro riflesso, del tutto indipendente dalla mia volontà, e solo quando mi ci butto a capofitto comprendo di avercela fatta.
La tenzone, ovvero lo scambio culturale che gente umile di svariato ruolo intreccia mediante dialoghi di vita quotidiana e da cui la stessa arte del conversare è una forma di rifacimento umano, il corpo, lo spirito non poterono ignorare una certa propensione all’anima mediante altri connotati esterni.
L’autore, Geoffrey Chaucer, prese spunto dal mastodontico Decamerone di Boccaccio in cui non solo riversò innumerevoli dottrine basate esclusivamente sulla fede, il dare bontà e carità quanto tentativi di esplicare la sopravvivenza umana, in balia di forze potenti ed esterne che hanno rovesciato completamente il loro universo personale. Perché i pellegrini, i cavalieri di cui si fa cenno, avrebbero dovuto svolgere un certo ruolo, sopravvivere ad ogni cosa, affidandosi alle cure di un Dio buono, misericordioso che solo grazie a lui avremmo potuti essere redenti. Completamente liberi. Interpretando ogni dettame religioso, ogni virtuosismo imposto, combattendo e reagendo.
Nel giro di una manciata di giorni, quasi una settimana a dire il vero, Canterbury divenne quella meta accogliente in cui l’arte del pellegrinaggio avrebbe portato ad elargire certi doni, sfuggire da qualunque cosa, intensificando l’ardore morale mediante l’apprendimento di un linguaggio particolare, speciale, quasi volgare e divertente, continui riferimenti a un sapere basso sorretto da una trama a cornice in cui è rappresentato ogni ceto sociale.
Una bella raccolta di racconti che racchiude una sequela di fatti, scene ed eventi avventurosi, incalzanti, e sede di questi eventi una risma di fogli in bianco e nero che funsero da espediente per mettere in contatto il mondo di qua con quello di là, ospitando una popolazione lontana ma  comune ma attanagliata dalla presenza di figure che sconvolgeranno il loro universo personale, una fetta della quale non crederà all’influenza occulta delle cose o degli esseri ma al caos che detiene un certo potere superiore a noi stessi: l’uomo influenzato dalle superstizioni osserva vagamenti, superficialmente casuali, e non prosegue nella sua continua ricerca di  se e della propria identità quando si domanda cosa possa esserci al di là dell’Ignoto. Se bisognerebbe guardare dove non è possibile osservare, sussurrando dall’esile voce flebile di qualche creatura lunghi drammi provenienti da forme e luoghi impronunciabili.
Di Geoffrey Chaucer non avevo ancora letto niente. Queste Racconti di Canterbury furono un tentativo per conoscerlo, e sebbene non me ne sia innamorata, capì però che merita di essere annoverato fra quegli autori da tenere in considerazione. Non certamente la grande passione che andavo cercando, non credo facilmente qualcuno eguaglierà Thomas Hardy, ma interessante e illuminante, e l’occasione volle che in una settimana intensa, ma produttiva e solitaria cancellò qualunque dubbio o remora iniziale. Per il momento bastava questa raccolta. Dopo seguirà sicuramente altro, e quando approdai al rapporto completo, ad instaurare un legame fra me e l’anima dell’autore, nel sesto mese dell’anno riuscì persino a sentirmi appagata. Viaggiatori provenienti da lontano e che gridano strazi di fede, fantasmagorie di un mondo che sussurra qualcosa a cui bisogna prestar fede, l’anima che diviene liquida non un incontro di menti ma nozioni filosofiche, mistiche, esoteriche che sottraggono esilio alla cittadella della nostra coscienza nel momento in cui si superano i limiti e ci si domanda cosa ci sia oltre l’ignoto. L’uomo pensante sa scrivere, esprimere ciò che pensa, ha la sensazione di sfiorare il mistero dell’esistenza, così impenetrabile per i suoi sensi rudimentali e imperfetti, cercando così di sopperire con lo sforzo dell’intelletto ma non comprende cosa dovrebbe essere invece esaminato, esplorato, affinché ogni forma di mistero sia spinta e eliminata. Tratto dal sogno di eguagliare un’opera mastodontica come quella del Boccaccio, dall’illusione di un’altra esistenza in cui Dio diverrebbe finalmente giusto dopo essere stato crudele, cieco.
Sarcastico, ironico, vivace ma che cade in un limbo di oscenità, cupezza che non annienta solo lo spirito ma anche la mente, I racconti di Canterbury scandagliano i limiti del possibile, della fede, dell’intelligenza umana, qualunque forma di coscienza in cui l’uomo è preda di realtà illusorie che forse esistono solo nella nostra testa.
Un romanzo che ho apprezzato e compreso lentamente, in cui la vita torna a trionfare sulla negligenza, ma lo fa nel modo più primitivo possibile, nel più crudele dei modi, con l’uomo che torna ad essere l’essere umano limitato e curioso di sempre impartendo così la conoscenza mediante dialettica, scambio reciproco di idee. Un’opera che scandaglia il labile confine del possibile e del reale, che taglia qualunque legame col mondo esterno ed elimina qualunque segno di remora o incertezza. Simbolo di quella modernità che presto avrebbe determinato quella che è la letteratura cortese più affascinante degli ultimi tempi.

Valutazione d’inchiostro: 4

2 commenti:

  1. Non conosco; gli unici libri letti ambientati (in parte) nel medioevo sono la saga di Hyperversum di Cecilia Randall; ottima recensione, grazie

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