lunedì, luglio 03, 2023

Gocce d'inchiostro: La portalettere - Francesca Giannone

 A volte litigo con la mia coscienza, mi dibatto in fiumi di parole, frasi, emozioni che trapelano da pagine bianche, che sbattono le porte a un mondo tendenzialmente monotono ma per me straordinario, soprattutto nel momento in cui prendono vita certe storie. Le storie di cui parlo sono prevalentemente quelle i cui ricordi custodisco gelosamente, quasi piccoli tesori nascosti il cui valore inestimabile si intensifica, nel momento in cui decido di viverle o riviverle.
Ho però sbattuto le porte alla mia comfort zone e ho assalito il mio spirito di rimproveri vari perché il romanzo di cui vi parlo oggi non era previsto, nella lunga lista della mia Tbr. Eppure, questa storia possedeva qualcosa che mi impedì di non accogliere la sua chiamata, e senza alcun sforzo di andare d’accordo con la sua autrice. Non che l’autrice mi avesse fatto alcunché, semplicemente io e la narrativa italiana non andiamo d’accordo. E, in genere, sforzandomi vada così, con La portalettere mi indusse a vivere esattamente una storia molto carina ma niente di più. Perché da una storia famigliare, un romanzo apparentemente storico mi aspettavo qualcosina di più. Ma nulla che lo ricordi immancabilmente come illeggibile o che non possa raggiungere vette di straordinario interesse, e che, inevitabilmente, fanno adito con gli oscuri echi del passato.

Titolo: La portalettere
Autore: Francesca Giannone
Casa editrice: Nord
Prezzo: 19 €
N° di pagine: 416
Trama: Salento, giugno 1934. A Lizzanello, un paesino di poche migliaia di anime, una corriera si ferma nella piazza principale. Ne scende una coppia: lui, Carlo, è un figlio del Sud, ed è felice di essere tornato a casa; lei, Anna, sua moglie, è bella come una statua greca, ma triste e preoccupata: quale vita la attende in quella terra sconosciuta? Persino a trent'anni da quel giorno, Anna rimarrà per tutti «la forestiera», quella venuta dal Nord, quella diversa, che non va in chiesa, che dice sempre quello che pensa. E Anna, fiera e spigolosa, non si piegherà mai alle leggi non scritte che imprigionano le donne del Sud. Ci riuscirà anche grazie all'amore che la lega al marito, un amore la cui forza sarà dolorosamente chiara al fratello maggiore di Carlo, Antonio, che si è innamorato di Anna nell'istante in cui l'ha vista. Poi, nel 1935, Anna fa qualcosa di davvero rivoluzionario: si presenta a un concorso delle Poste, lo vince e diventa la prima portalettere di Lizzanello. La notizia fa storcere il naso alle donne e suscita risatine di scherno negli uomini. «Non durerà», maligna qualcuno. E invece, per oltre vent'anni, Anna diventerà il filo invisibile che unisce gli abitanti del paese. Prima a piedi e poi in bicicletta, consegnerà le lettere dei ragazzi al fronte, le cartoline degli emigranti, le missive degli amanti segreti. Senza volerlo – ma soprattutto senza che il paese lo voglia – la portalettere cambierà molte cose, a Lizzanello. Quella di Anna è la storia di una donna che ha voluto vivere la propria vita senza condizionamenti, ma è anche la storia della famiglia Greco e di Lizzanello, dagli anni '30 fino agli anni '50, passando per una guerra mondiale e per le istanze femministe. Ed è la storia di due fratelli inseparabili, destinati ad amare la stessa donna.

La recensione:

Andai via dalla mia banalissima vita, mi allontanai, con le cuffie nelle orecchie e il mio bloc notes, alla mano. Ci sono sempre e solo due modi, per me, per estraniarmi da chi mi circonda: nel silenzio fitto e quieto che aleggia nelle prime luci dell’alba e, nel pomeriggio, con la musica sparata nelle orecchie, affinché il mondo esterno non mi sovrasti con il suo lento fragore. In entrambi i casi però il processo di lettura è sempre lo stesso, e, alla fine, ciò che considero maggiormente importante è il viaggio intrapreso. Le sensazioni o emozioni suscitate, viaggi di carta e inchiostro apparentemente banali, che, in una manciata di pagine, divengono speciali, straordinari. Questo romanzo, pur quanto sia stata una lettura davvero molto carina, non è divenuto speciale. La memoria sicuramente annienterà qualunque ricordo serbo, ancora intatto, della sua lettura. Ma amando tanto leggere, ed essendo parecchio veloce, questi sono disgraziatamente le conseguenze cui vado incontro, ma che evocano gli albori di qualcosa che c’è stato e che il tempo perpetuerà per il resto dei nostri giorni. O forse no, perché quella della Giannone è sicuramente una storia molto carina, un omaggio da parte dell’autrice nel ricordare la sua bisnonna, ma traballante e poco << visivo >> che ha intonato una melodia, un coro di voci concitate ma che non hanno attanagliato il mio cuore, le mie viscere. Ma che felicità quella di rievocare un’altra epoca, quanto possa essere tenace l’amore che cede il posto al passato, su uno sfondo apparentemente famigliare ma distante e guardare dalla finestra virtuale della tua casa il paesaggio non proprio attinente a ciò che mi aveva sussurrato il cuore, ma di cui la Giannone avrà tratto ispirazioni da autori del calibro prima di lei. Quando non mi affacciavo a questa finestra il mondo distante di cui si parlava non mi sembrava non così distante dal mio, un frammento storico che avrebbe potuto essere approfondito ma oppresso da un sudario di storie d’amore, legami recisi dal tempo che seppur fulcro primordiale di ogni cosa, svaniscono così come appaiono: nel nulla.
Per la prima volta da tanto tempo, ho deciso di approcciarmi alla lettura di un romanzo di narrativa italiana senza serbare alcuna remora, alcuna perplessità. Quanto buttarmi a capofitto affinché la sete di curiosità che attanagliava le mie viscere si acquetasse, comodamente seduta sulla mia poltrona preferita, col Kobo sulle gambe a mo’ di leggio, Francesca Giannoni non è la Elena Ferrante che amo, né tanto meno si avvicina – mi spiace, ma è così. Ma La lettrice, di cui fortunatamente non è stato scritto da nient’altro se non dal bisogno di rievocare un frammento del passato, il suo e più precisamente quello della sua bisnonna materna, con una sferzata di sentimentalismi ed emozioni varie che effettivamente travolgono e coinvolgono in un quadro italiano prettamente carino, impressionistico, è emblema di coraggio, determinazione ma non forza perché quando Anna avrebbe dovuto spiccare per la sua <<particolare >> predisposizione di voler lavorare e dunque avere diritto al libero arbitrio, il motore che la spinge ad abbracciare tutto questo, il suo continuo pellegrinare fra una famiglia e un’altra, una casa e un’altra, si consolida in un viaggio letterario normalissimo, un viaggio compiuto da migliaia di lettori che al giorno d’oggi intraprendono per arricchire il loro bagaglio culturale e personale, con la netta differenza che Anna, la protagonista, non visse ai giorni nostri, e il suo desiderio nonché bisogno di lavorare fu un refuso, un punto alla fine di un capitolo di cui personalmente avrei voluto che la sua autrice argomentasse. Non che abbia le competenze letterarie per criticare o giudicare un opera, un testo letterario, ma il bello in tutto questo penso stava nel comprendere i personaggi, leggerli a tal punto da comprendere qualunque ragione li spinse a prendere quella determinata decisione, a comportarsi in quel determinato modo, non solo lasciandosi alle spalle una vita domestica che l’avrebbe rinchiusa sempre più nel prototipo della casalinga sottomessa quanto << spiegarci >> perché avvertì questo desiderio di essere libera e soprattutto cosa esso comportò In relazione al periodo storico, all’approccio con il prossimo, agli eventi che, come piccoli tasselli di un puzzle, sono stati sparsi qua e là in un paesaggio apparentemente famigliare ma esacerbato. Vederla “muoversi” non come una qualunque, ma come emblema di riscatto e libertà. Diretta in nessun posto in particolare, né filo conduttore di un progetto architettonico le cui basi sono debolucce, parecchio scarno ma che si alimenta di emozioni. Sentimenti scaturiti dalla semplice lettura di missive, messaggi, spesso mai raggiungibili, di cui io ho osservato imbambolata ma dibattendomi fra il possibile e il discutibile. Anna avrebbe portato messaggi, questo romanzo avrebbe dovuto trasmettere qualcosa. Francamente, nonostante sia trascorso qualche giorno dalla sua lettura, ancora non ne conosco l’origine. Perciò pur quanto si sia tentato di ripristinare il passato, rievocarlo cioè, La portalettere conserva questo aspetto peculiare ma non sfoga negli scambi individuali che il ricevimento di una missiva dovrebbe comportare né la stessa Anna, figura che l’autrice tenta di ricordare e serbare il suo ricordo nella mente di chi legge quanto conferma come anche lei sia stata una figura di passaggio. Ma questo è spesso il prezzo che ho da pagare se presumo di leggere qualcosa che affonda le radici nel passato, divertirmi a credere che prima o poi qualcuno dei personaggi si fosse svegliato e avrebbe effettivamente iniziato a << raccontarsi >>. Come se fossi a spasso con amici di vecchia data, e poi di colpo, non appena viri su tutt’altra direzione rischi persino di dimenticarlo. Ovviamente non è qualcosa di voluto o volontario, ma di conseguenza è un gesto che esprime più di qualche parola. E nonostante tenti di rimettere a posto ogni cosa, ciò ti fa sentire quasi colpevole. Colpevole per aver fatto centro, anche questa volta! Ma non così impressionante da non sentirmi coinvolta, non così criticabile da non aver potuto sorridere nel momento in cui giunsi al suo epilogo, non così tendenzialmente cinica da confidare che il suo prossimo figlio di carta sia più concerne e in relazione alle intenzioni dell’autrice.

Valutazione d’inchiostro: 3+

2 commenti:

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