Gli autori che leggo, le storie di cui mi piace cibarmi fungono da balsamo per lo spirito. Di questi balsami, queste parole, mi rendo conto, ne sentite, o leggete, tante volte. Ma sarebbe come dire che sono nata con i capelli scuri, anziché con i capelli dorati. Una menzogna! E le menzogne a me non piacciono, in quanto la letteratura è’ un fondamento del mio spirito in cui poi posso mettere su un complesso meccanismo di tante cose. Queste tante cose le domino mediante scrittura e ciò che ne ricavo, alla fine, è quasi sempre legato alla mia identità. Ma questa è un’altra storia.. Di romanzi in cui bisogna << caricare >> il cervello, nella mia carriera di lettrice, ne ho letto tantissimi. Sino all’altro giorno ricordavo quando, a fine anno, decisi di impelagarmi nelle avventure o disavventure del giovane Proust, anima tormentata dal cuore debole e tenero, che per un mancato bacio o affetto nei riguardi della sua cara e amata mamma, concepì la Ricerca come esaltazione del Tempo, della coscienza che prevale e le modalità in cui esse sono strettamente legate all'individuo. Come un organismo intrinseco alla sua stessa natura.Come feci in tanti altri momenti, quando si parla di letteratura non mi tiro mai indietro, dinanzi a niente e nessuno. Non mi tiro mai indietro, in generale, qualunque cosa si tratti, ma i libri, lo sapete, svolgono un ruolo predominante. Tuttavia tale ruolo è, delle volte, soppiantato dalle mie modalità di interpretazione di un romanzo: quante volte piluccato il mio cervello tentando di uscirne non solo coinvolta e travolta, ma consapevole?!? Questo post non vuol togliere niente né aggiungere alcunchè sia stato detto o fatto in passato. Semplicemente esplicare, ancora una volta, il mio amore per la parola scritta, quei romanzi impegnativi ma che sono il respiro di un’intera esistenza. La mia.
In uno scambio di ruoli, in uno scambio di interlocuzioni fra materia e carne, corpo e spirito è necessario preservare il tutto specialmente nel momento in cui il mondo sembra stia per avviarsi lungo il lento processo della distruzione. Scavalcando o valicando qualunque barriera, tenuta così stretta ai bordi di quest’anima passionale ma turbolenta che, persino adesso, a distanza di qualche giorno dalla sua lettura, mi tiene salda alla sua presa.
Titolo: Maestre d’amore
Autore: Nadia Fusini
Casa editrice: Einaudi
Prezzo: 19 €
N° di pagine: 192
Trama: Nessuna scrittrice come Fusini sa fare della materia shakespeariana un'autentica guida per il cuore moderno e i suoi affanni. Questo libro è una danza. Danzano una danza d'amore i personaggi di Shakespeare, danzano la filologia e la scrittura con gli affreschi di una Londra early modern pennellata con felicità ed esattezza, danzano le parole con i giochi delle parole, danza il lettore, che entra ed esce nelle tragedie e nelle commedie di Shakespeare come fossero scene della vita, anche se è consapevole nello stesso istante di vivere la gioia della letteratura, senza sosta dentro e fuori dagli intrecci e dalle trame per vedere che ne fa la letteratura della vita. «La donna è l'ora della verità per un uomo; non c'è niente di piú vero. Scrivo questo libro per dimostrare la verità di tali parole», dice Nadia Fusini al lettore e alla lettrice, chiamati in causa spessissimo nelle pagine con domande che sono inviti alla danza della conversazione: «... del resto non è forse vero che in amore siamo tutti attori? Tra gli amanti chi riceve di piú? Chi spende di meno? In amore, non è osservabile il paradosso secondo il quale chi piú dà, non diventa piú povero? ... Che il godimento sessuale in sé e per sé non crei un rapporto con l'altro, lo sanno bene Antonio e Cleopatra. Non è proprio qui la tristezza del coito?» Questo è un libro sull'amore prima ancora che un libro sulla letteratura, e Giulietta, Ofelia, Desdemona, Cleopatra, la Bisbetica, perfino Jill e Jack, ci raccontano quale fu l'«immensa novità» con cui Shakespeare, la mente e il corpo di Shakespeare, pensarono il femminile e il maschile all'inizio dell'epoca moderna. Forse aiutati in parte dal fatto che a teatro i ruoli femminili dovessero essere interpretati da giovani attori, forse per l'usanza del cross-dressing che imperversava nella Londra dell'epoca, la mente e il corpo di Shakespeare ci parlano di un corpo d'amore che non è «né femmina, né maschio, ma femmina e maschio insieme», ci dicono che «per vivere, che è la stessa cosa che amare, bisogna disobbedire», che le donne vivono «l'avventura eroica di amare in una concezione paritaria della differenza». Ci parlano insomma dell'«ambiguità scandalosa dell'amore». E alla fine di tanto eros , al lettore sembra di scoprire di nuovo a che cosa serva per davvero la letteratura: non a imparare a vivere, ma a vivere. Una questione di etica.