Nel corso della mia vita, di combattenti letterari, ora che ci penso, ne ho letto molto molto pochi. E quei pochi letti, finiti nel dimenticatoio. Leggendo tanto, dedicando del tempo a quegli autori che considero vitali come l’aria che respiro, sembra più che logico che certe << figure >> la mia coscienza le fagociti ma li annulli, completamente, nel tempo. Quest’anno sarà all’insegna delle nuove possibilità, delle nuove opportunità, di progetti che sono stati idealizzati e iniziati nel tempo e adesso soggetti a un lavoro finale di finitura, di conclusione. Burr giunse in un momento in cui questi progetti di cui faccio cenno non erano nemmeno a metà dell’opera, in un momento in cui desideravo leggere di un uomo celebre come Gore Vidal ma in cui ho potuto godere del viaggio. A volte certe letture possono essere benefiche, di grande aiuto per mantenere in forma non solo lo spirito ma anche la mente che l’anima durante il loro impervio cammino. E molto meno grandioso di quel che si crede, la figura austera di Burr si mimetizza nelle maglie di un racconto in cui l’approccio umano è di forte spessore e il tono alleggerito da forti digressioni relativi alla vita privata del valoroso Burr, in un tuffo nel passato che è preludio di un epoca, di un frammento storico in cui l’America aveva emesso il primo vagito.
Titolo: Burr
Autore: Gore Vidal
Casa editrice: Fazi
Prezzo: 20 €
N° di pagine: 608
Trama: New York, 1833. Il colonnello Aaron Burr, settantasette anni, si è appena sposato. È ormai un anziano politico considerato da molti un mostro, ma è determinato a raccontare la sua storia. Sceglie di confidarsi con un giovane giornalista, Charles Schermerhorn Schuyler. Insieme, esplorano il suo passato. Nel 1804, da vicepresidente, Aaron Burr sfida in un duello la sua nemesi politica, Alexander Hamilton. Lo uccide. Nel 1807 viene arrestato, processato e infine assolto dall’accusa di tradimento. La cronaca che emerge è la parabola travagliata di un uomo, statista di successo spesso temuto, sullo sfondo del continuo dramma civile di una giovane nazione. E laddove l’antieroe protagonista è un affascinante gentiluomo, i suoi avversari altro non sono che comuni mortali: George Washington è un ufficiale militare incompetente che ha perso la maggior parte delle sue battaglie; Thomas Jefferson è un ipocrita che ha ordito un complotto contro di lui; Alexander Hamilton è un opportunista di nascita bastarda troppo ambizioso.
La recensione:
Secondo me quello di parlare di un paese, il proprio, è una delle migliori dichiarazioni d’amore che possano esserci. Il rapporto che Gore Vidal ebbe con la sua terra natia, ovvero gli Stati Uniti d’America, però non fu ideale e non perché mancasse la volontà di renderlo come tale, soprattutto da parte del suo autore, quanto perché era divenuto un senatore che si oppose, per gran parte della sua vita, ad alcune regole, a Roosevelt, fautore di un nazionalismo economico ( protezionismo ) i cui maggiori interventi erano isolati, favorendo il libero commercio e il libero scambio culturale. A forza di gridare, metaforicamente parlando, chiaramente, specie nel suo paese natio, Vidal si accorse come la vita era una giostra di azioni, uno scambio continuo di dare e avere, possedere o ricevere,ma che poi i devoti tentarono di spingere la nazione ad evitare accordi internazionali, pieni di abnegazione, pronti ad isolarsi in piccoli agglomerati in cui il più forte avrebbe potuto predominare sul più debole. << Perchè combattere >>, essere sospesi fra passato e presente, affina un certo acume della realtà, aggiunge una visione non convenzionale quanto audace del mondo, che accostato a grandi fautori della letterara americana per eccellenza, come Truman Capote e Norman Mailer, favorisce quell’idea di libero scambio, la gradevole abolizione della schiavitù nei sindacati operai, in cui la figura di un uomo che genera nell’imediato un certo fascino, un uomo che ha le fattezze di un Dio, dotato di un amor proprio che lo rende incurante del prossimo, è il desiderio dell’autore di poter essere integrato in quelle forme autoritarie, non solo come cittadino ma anche come essere individuale in carne e ossa, che gli furono tolte, considerandole esse stesse delle istiuzioni assolute e supreme fino alla fine. Evidenziandolo da un certo dualismo, una certa tensione, un certo distacco fra autore e creatura, che anziché amalgamarsi, è garanzia di forti tensioni, ho visto in Burr la rappresentazione di quella vittoria che avrebbe prevalso, avrebbe vinto su quelle nazioni, su chi impedì il libero arbitrio o il libero scambio di merci o prodotti che avrebbero dovuto sostentare il paese, evitando di stringere alleanze con le nazioni pur di garantire unità al paese. Trasmettendo un forte senso di solitudine, forme di isolamento che sono insite nel cuore e che in Burr non producono un effetto scatenante quanto alimentano il coraggio, il desiderio ardente, misto a validità storica, a creare qualcosa, inscenare sfide iconografiche dei padri fondatori della storia degli Stati Uniti d’America che rappresenta un pezzo di persone, una fetta di agglomerato politico e sociale di una serie di eventi che costellano il paese nel XIX secolo.
Non mitigando niente, quanto facilmente rintracciabile in un’anima ardente di dignità, umorismo in cui il processo, la linfa vitale è quella da cui deriva ogni cosa, il passato, così intrasformabile o immutabile. Quella di Burr è un’epoca incuneata nel capitalismo in cui si tenta di comprare la propria libertà e in cui le anime che costituivano quel capitale che era spesso messo << al bando >> erano coloro che salvaguardano la terra, fabbricavano mattoni e chiodi per costruire case.
A questo punto reso ai miei occhi accessibile, diradando quella cortina di diffidenza che le prime battiture iniziali avevano creato come una spessa coltre, indicando in Burr quegli innumerevoli tentativi che la storia degli Stati Uniti esamina ed esplora, oggi favorevole all'intervento armato mediante l'organizzazione di sicurezza nazionale come la NATO o l’ONU. Niente affatto rassicurante, ma tour di force di immaginazione storica straordinaria che tuttavia non brilla di trama quanto per il ritratto che l’autore fa del suo alter ego, questo combattente così algido e inavvicinabile a cui solo il suo fidato valletto potrà vicinarsi, un condottiero tuttavia goffo e un pò inverosimile la cui voce è stata alle mie orecchie sorda ma cui confido di poter ascoltare mediante la lettura dei volumi successivi. Ma la cui validità, l’idea di fondo promulga un’idea di realtà, di libertà individuale assoluta, irriverente e intellettualmente abile in cui si lotta per la realizzazione di un mondo completamente diverso, migliore di quello che si aveva sotto gli occhi. Per nulla rassicurante, ma che è fondamento del pensiero vidaliano. L’imperialismo statunitense è preludio di quel fatidico passaggio degli Stati Uniti da repubblica a impero, a cui ci si aggrappa con solidarietà, forza pur di affrontare incautamente qualunque assalto esterno, qualunque rinuncia statale.
Primo volume di sette, Burr è una slegata confederazione di stati federali che promulgano ed incarnano i cosiddetti padri fondatori degli USA, in cui Gore Vidal dipinge mediante pennellate cupe di un impero romano che possa rivaleggiare le varie potenze europee, in cui la legge, se rispettata, potrà sorreggere quel potere esecutivo e legislativo che incorreva da tempo.
Valutazione d’inchiostro: 4
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