In qualche modo si torna a valicare i confini di mondi che in passato abbiamo vissuto. Che si provino i medesimi sentimenti della prima volta, alla prima lettura, con tante altre storie che reclamano la tua attenzione, non riesco a distaccarmi dal corpo, diventare materia e guardarmi attraverso gli occhi di un altro. Non riesco a non giudicarmi, in quanto di primo acchito la lettura di questo romanzo mi ricordò il celeberrimo La lettera scarlatta, romanzo che mi segnò solo dopo una ennesima rilettura. Si, nel senso che non lo considero fra le mie migliori letture ma un romanzo assolutamente degno di nota. Il romanzo d’esordio della Blackmore, un piccolo frammento, inestimabile, audace, solenne, moralista e dignitoso che si è incassato fra le pieghe del mio animo come non credevo, è la possibile forma letteraria di romanzo a tema il cui messaggio perpetuerà nel mio spirito per molto più di tempo di quel che credo. Perché mediante un sofisticato, poetico meccanismo storico letterario terrà saldo il legame che incorre tra presente e passato, oggetto di ignominia alla miseria, allo squallore economico e sociale di un secolo che sembra ormai perduto e il suo coraggio di combinare le basi di una storia complicata, uno stile aulico, solenne, poetico che come una ferita brucia ancora sulla mia pelle. Coscientemente riassume bene quanto fosse ingiusta la vita di qualsiasi donna sul finire del 1600. Quasi un cervo che non si lascia prendere, nonostante talvolta si sia fermato esausto e assetato, ma determinato a scappare, vivere, sopravvivere.
Titolo: Le streghe di Manningtree
Autore: A K Blakemore
Casa editrice: Fazi
Prezzo: 18, 50€
N° di pagine: 336
Trama: Inghilterra, 1643. Il Parlamento combatte contro il re, la guerra civile infuria, il fervore puritano attanaglia il Paese e il terrore della dannazione brucia dietro ogni ombra. A Manningtree, una cittadina della contea dell’Essex privata dei suoi uomini fin dall’inizio della guerra, le donne sono abbandonate a se stesse; soprattutto alcune di loro, che vivono ai margini della comunità: le anziane, le povere, le non sposate, quelle dalla lingua affilata. In una casupola sulle colline abita la giovane Rebecca West, figlia della vedova Beldam West, «donnaccia, compagna di bevute, madre»; tra un espediente e l’altro Rebecca trascina faticosamente i suoi giorni, oscurati dallo spettro incombente della miseria e ravvivati soltanto dall’infatuazione per lo scrivano John Edes. Finché, a scombussolare una quotidianità scandita da malelingue e battibecchi, in città non arriva un uomo: Matthew Hopkins, il nuovo locandiere, che si mostra fin dal principio molto curioso. Il suo sguardo indagatore si concentra sulle donne più umili e disgraziate, alle quali comincia a porre strane domande. E quando un bambino viene colto da una misteriosa febbre e inizia a farneticare di congreghe e patti, le domande assumono un tono sempre più incalzante… Le streghe di Manningtree è la storia di una piccola comunità lacerata dalla lenta esplosione del sospetto, in cui il potere degli uomini è sempre più illimitato e la sicurezza delle donne sempre più minata.
La recensione:
Ognuno di noi è un'anima penitente. Ognuno di noi è un'anima proiettata lungo la strada del Paradiso, ma che durante il tragitto, si lascia andare a comportamenti poco cristiani o impuri per considerarla come tale. Si tratta però di riuscire a godere di ogni singolo viaggio, in qualunque prospettiva la vita ci pone dinanzi, facendo però di certe cose una sorta di pellegrinaggio interiore da cui l’individuo, l’essere, dovrebbe fare ammenda. La redenzione, l’espiazione dei peccati può essere di grande conforto, specialmente se a darne un certo contributo o sostegno è la fede, il dialogo incessante che si instaura fra l’anima del peccatore e il Creatore, nel mantenere intatto non solo questo contatto ma anche l’anima. L’anima pura, nella sua assoluta essenza, è una forma utopica di concretizzazione morale che solo l’Altissimo potrà un giorno lavare, in vita continuamente soggetta a forme di potere che per prevalere o uscirne indenni è stato necessario sporcarsi di certi peccati, porgendo l’altra guancia, quanto facendo sentire il tono non propriamente cristiano di certi discorsi, forme o paradigmi in cui la vita, scaltra e crudele, sa sempre come trarre in inganno.
Non ho mai creduto di essere un’anima pura. Semplice e buona, assolutamente, ma non pura. Quella è una prerogativa riservata a chi si appresta a varcare i cancelli celesti, quanto rigorosa e a volte severa con una durezza che disgraziatamente ho abilmente costruito nel tempo come una corazza, una corazza cui ogni tanto a fatica resta intatta, a fare piccoli passi sul mondo e bilanciare continuamente il mio corpo, il mio spirito. Alla fine, pur quanto ci si impegni, l’anima è e sarà sempre macchiata da gesti, atti impuri che solo un esame attento, una riflessione sulla vita potrà lavare, evaporare, giustificando certe azioni con gesti benefici o positivi che avrebbero riparato ciò che sembrava rotto.
Anche le figure ritratte in questo romanzo, opera d’esordio di un’autrice americana che non conoscevo ma che la curiosità mi ha costretta ad avvicinarmi, soprattutto nel periodo halloweeniano, l’ultimo che ci siamo lasciati alle spalle, furono vittime di incidenti che erano confinate in forme di vergogna sociale, in un periodo storico come quello dell’Inquisizione, espresso egregiamente mediante la presenza di un uomo, l’Inquisitore, che celato dietro una maschera, come un carnefice pungola le donne, le vittime sacrificali, soggette a conflitti e disordini misogini. L’Inquisizione, con l’aiuto di chi sosteneva certe pratiche che coinvolse, pur essendo di giurisdizione ecclesiastica, anche il potere civile, dal momento che i regnanti considerarono generalmente la religione «come il primo bene de' popoli e come eziandio il più forte baluardo della pubblica sicurezza», collaborando con i poteri ecclesiastici alla repressione delle eresie, «sempre infeste all'altare insieme ed al trono», costrinsero il popolo a dimenarsi fra l’incuria, l'alfabetizzazione, l’ignoranza, il cosiddetto male del secolo, piazzandosi sulle proprie teste come il peso di una condanna, la cui autrice puntava su un forte messaggio. Perpetuando nella mente di chi legge non per il tema trattato, quasi in disuso per l’epoca in cui è presentato, quanto puntando un’ascia a favore di quelle vittime sacrificali e sacrificabili che confidano in un intervento divino, dato che il Diavolo è incarnato nello spirito e l’anima deve essere continuamente depurata. La natura del peccato coronata dall’ignoranza, dalla credenza che ogni cosa impura fosse soggetta a peccato o vessazione, alimentandosi, nutrendosi da quell’invisibile marciume, concime per i fiori del demonio.
L’uomo è così incorruttibile da non poter concepire alcuna possibilità all’assoluzione, la comunità suddivisa in uomini fedeli a Dio e uomini fedeli al Demonio che sguazzano nel suo sudiciume, in un astruso mondo per gli ingiusti invita ad immaginare, intavolare delle alternative per sopravvivere.
Ho mantenuto intatta la mia anima, per non lasciarmi trascinare dalle incontrollabile strisciare di un mondo in cui l’aria malsana, greve di disperazione attecchì ogni cosa, qualunque forma di apparenza che potesse essere rispettata. Sebbene Dio, così misericordioso e comprensivo, avrebbe potuto attecchire qualunque colpo inflitto ma in cui la malvagità, l’oscurità resta ai bordi, il peccato persiste come forma eccezionale. La mente non riesce a liberarsi dalla schiavitù dell’ignoranza, a diradare la cortina di quelle false credenze che condizionano la sua psiche, quanto conferire quel piacere di saper cogliere la coscienza come un bastone col quale poter camminare.
Valutazione d’inchiostro: 4 e mezzo
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