domenica, dicembre 29, 2019

Gocce d'inchiostro: Il colibrì - Sandro Veronesi

Da una finestra virtuale dall’aria luminosa ma vaporosa Sandro Veronese comparve come un fantasma, si presentò con un piccolo e breve romanzo e per qualche giorno mi condusse nel magico luogo dove tutto ciò che accadde accadrà per un motivo. Leggere la società circostante. In tutta sincerità, di libri attuali e realistici ne leggo a bizzeffe, e ciò che espugna Il colibrì a mio avviso non possiede nulla di nuovo, sorprendente o sconcertante che si discosta da altri romanzi. Cornici che ho visto trovarsi all’altezza delle mie aspettative, della mia personalissima visione, che senza alcun intervento o disturbo, il meccanismo che si aziona è un guadagno per comprendere meglio e affondo ciò che ci circonda.
Il pregio di questo romanzo è certamente lo stile; intorno a una storia il cui lirismo, la cui poesia ricorda quella di Siddharta si dipanano le vicende di un uomo comune, un po’ solitario e sfortunato la cui vita prese un giorno una svolta decisiva.
Senza fare troppi spoiler, il risultato è un sufficiente modo di interpretazioni di una realtà attualissima ma distorta, che per certi versi resta attaccata a chi legge, ma poi ci scivola addosso come niente fosse. E da qui, il mio parere non propriamente entusiasta ma rubato da pensieri frastagliati di ciò che ha significato più per me la sua lettura. La gente che l’ha letto prima di me è stata davvero entusiasta. Io non proprio, ma tutto sommato soddisfatta per la sua utilità, che solo a quel punto mi ha staccato dal mondo e portato via.

Titolo: Il colibrì
Autore: Sandro Veronesi
Casa editrice: La Nave di Teseo
Prezzo: 20 €
N° di pagine: 368
Trama: Il colibrì è tra gli uccelli più piccoli al mondo; ha la capacità di rimanere quasi immobile, a mezz’aria, grazie a un frenetico e rapidissimo battito alare ( dai 12 agli 80 battiti al secondo ). La sua apparente immobilità è frutto piuttosto di un lavoro vorticoso, che gli consente anche, oltre alla stasi assoluta, prodezze di volo inimmaginabili per altri uccelli come volare all’indietro… marco Carrera, il protagonista del nuovo romanzo di Sandro Veronesi, è il colibrì. La sua è una vita di perdite e di dolore; il suo passato sembra trtascinarlo sempre più a fondo come un mulinello d’acqua. Eppure Marco Carrera non precipita: il suo è un movimento frenetico per rimanere saldo, fermo e, anzi, risalire, capace di straordinarie acrobazie esistenziali.

La recensione:

Una parola che è veleno e cura per la ferita del futuro quando ci manca; e che quindi in un certo senso non serve a nulla. Perché in realtà, anche se cura “una” ferita, la vera accanita speranza di tutti gli esseri umani quando sono onesti con loro stessi è che la ferita non capiti mai.

Sandro Veronese scrive piuttosto bene e in un romanzo di meno quattrocento pagine ci dice esattamente ciò che qualche anno fa sentì, o meglio, vide con i suoi stessi occhi, credendo che da quel momento un pezzo di quell’anima persa si fosse attaccata alla sua. Per forza. Veronese è alquanto acclamato nella letteratura italiana odiena, che spesso è caldamente ricordato mediante altri lavori precedenti, pionere nella grande lotta contro la << repressione >>. Sotto certi versi, dovrei essere fiera che un mio nazionale e compatriota fa dei suoi romanzi degli squarci politici e sociali. Specchi su cui riflette la sua personalissima visione, checchè essa sia positiva o negativa, ed intrappolando il pensiero astratto su carta formula la sua “protesta” nell’unico modo per cui si destreggia meglio, alla testa di quei poveri poeti o artisti italiani che fecero le loro opere una denuncia sulla realtà circostante. La sua punta di lancia della resistenza politica a un governo che impedisce qualunque forma di libertà o espressione e alla sua terroristica repressione fu la letteratura. Il colibrì, infatti, esplica ciò che ha reso Veronesi un uomo che sa destreggiarsi con le parole, facendolo un opinionista, un critico, pronto a compiere passi sorprendenti pur di mantenere salda l’iniqua distribuzione della ricchezza individuale e difendere le oppressive istituzioni delle classi dominanti.  Disobbedire alle leggi, a chi ci sovrasta, è sinonimo di forza, di ribellione, è una cosa che ho imparato ampiamente a vedere nei romanzi di Philip Roth, e che quando mi imbatto in questo tipo di storie mi premuro a combattere unanimamente.
Quello di Veronesi non è stato un atto memorabile ne criminoso, ma un atto liberatorio e di denuncia nella lotta fra l’individuo e la sua libertà spirituale: che si tratti di pittura, scultura, o la stessa letteratura, si tratta di forme d’espressioni da cui ci si può sentire liberi, sebbene non a tutti gli effetti. E Veronesi non avrebbe dovuto propinarci il concetto di ricordi, strettamente legato all’individuo, se nonostante la loro potenza è imprigionato in una certa immobilità. Chiama alcune forme spiritistiche di libertà, ma non rovescia questo suo sentirsi immobile, imprigionato nemmeno con un certo corredo di ricordi. Forse sembro presuntuosa a scrivere tutto questo, ma uno scrittore come Veronese, se tiene così tanto alla salvaguardia dell’individuo, non dovrebbe temere per la sua incolumità? Dopotutto non è solo; è un essere imperfetto esattamente come tutti gli altri, fa parte di un piccolo grande esercito che giorno dopo giorno combatte guerriglie, lotte che forse non avranno mai fine. Tutto questo non è stato altro che un grande e terribile fiasco. Non era necessario giungere sino a qui pur di assistere ai miei occhi ad una volontaria reclusione, che è persino in disaccordo con le necessità e le aspirazioni della sua persona.
Eppure, ho voluto continuare ad ascoltare. Ben o male, ciò che narra Il colibrì non è nulla di inventato o fantasioso, ed è stato qui che ho potuto finalmente cogliere la sua importanza, quasi annoiata di essere continuamente sballottolata da un posto ad un altro, da un ricordo ad un altro, per la ragione che mi ha così impedito di andarmene quando mi imbattei in questo stato di fastidiosa immobilità, in quanto impossibilitata a riconoscere e spiegare le motivazioni per cui ogni cosa è avvolta in tale atmosfera.
In letteratura, ma così come in antropologia, l’uomo si è sempre interrogato sulla natura infruttuosa del suo essere. Da sempre è angosciato dall’incertezza della risposta, domande che derivano certamente da un certo numero di esperienze che caratterizzano il nostro bagaglio culturale. L’uomo, infatti, è come un essere animale superiore e potente, e guardandosi attorno, vede il mondo e fa alcune ponderazioni. Il mondo appare così indistinto, lontano a se, come qualcosa a cui è stato costretto a separare. In questa percezione, Veronesi ritrae l’uomo come conoscitore di qualcosa a lui sconosciuto, ma nella quale è radicata la perpetua insoddisfazione dell’uomo. E anziché metterlo alla ricerca di un Creatore, un Dio, anche qualcosa di necessariamente fuori di sé, resta sospeso nella sua improduttività.
Questo è il temibile concetto per cui non ho amato Il colibrì, che sebbene l’avessi visto inizialmente come un nuovo squarcio sul mondo, ben presto l’insoddisfazione è sedimentata nel mio animo. Tanto meno ho considerato questo libro quello strumento in cui si cerca la conoscenza di sé, la conoscenza dell’IO.
Così come in Siddharta, i cui temi sono parecchi cari a quelli dell’autore tedesco, l’uomo resta in una dimensione alquanto limitata in cui l’atto dell’agire è errrore o deviazione. Il << problema >> in questo romanzo sta nel modo in cui lo si percepisce, che per quanto mi riguarda ha recato grande insoddisfazione: l’insoddisfazione di non aver potuto vedere questo piccolo uccellino spiccare il volo. Abbandonarsi ad una realtà infruttuosa, insana, impossibilitato a muoversi o agire come avrebbe dovuto essere: una figura impregnata di luce. Opaco, vacuo, per l’appunto, mi è parso così questo colibrì, che a dispetto già di quello bellissimo della Tartt non mi ha permesso di fuggire da una realtà completamente diversa da quella attuale, pausa tormentosa del mio spirito. E dunque la sua meravigliosa essenza è stata tralasciata, impossibilitata ad oltrepassare una trama apparentemente semplice.
Nonostante abbia una struttura, questo romanzo è un contenitore di ricordi e squarci di delicati pensieri che prendono vita, mediante una serie di ragionamenti che nascono dall’esperienza di se stessi e del mondo. Ma riflettore di un vuoto raccapricciante che fa riscontro del terribile cosmo dell’anima di chi legge, è una storia che alla fine si è rivelata infinitamente lontana dai miei presupposti, dai miei concetti individuali, da qualunque forma di miracolo che presto o tardi dovremmo andare incontro.
Valutazione d’inchiostro: 2 e mezzo

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