martedì, dicembre 24, 2019

Gocce d'inchiostro: Il prigioniero felice - Monica Dickens

Poco a poco proseguo imperterrita il mio proposito di divorare romanzi che languiscono sullo scaffale da qualche tempo, prima che si concluda l’anno.
Prima che infatti il 2019 termini ci sarà certamente un momento che alimenterà i miei propositi letterari dell’anno venturo, uno sbuffo di fumo nel mio piccolo focolare, la cui matassa, salendo, si allargherà fra le stanze buie della mia coscienza come se un gigante posasse la sua mano sull’apertura di un camino. Tutto ciò sarebbe stato provocato da un regalo inaspettato, di cui conosco già il suo contenuto, e che decreterà la prima lettura dell’anno 2020.
Non ho tuttavia potuto fare a meno di tenere a bada quelle che non sono state altre che le mie più fervide impressioni, nei riguardi di una lettura il cui odore sa di antico e penetrante, e poiché il tempo va ad accorciarsi sempre più, l’ho accolto nel mio personalissimo cantuccio non sapendo che cosa aspettarmi. Vi ho portato speranze, reciso progetti, sognato ad occhi aperti. Il risultato è un sogno vittoriano, romantico ma un po’ triste, che in qualcosa di estremamente nascosto, delicato, simbolico, rivelante, ha segnato il mio cammino in aggiunta a quello degli anni letterari.
Dal “grembo” dickensiano, deriva così Il prigioniero felice, la cui autrice fu la pronipote di Charles Dickens e che, mi piace affettuosamente adesso chiamarla, la Dickens al femminile. Come è stato possibile ignorare completamente la sua esistenza?
Quello che segue è il mio parere, a caldo, di un triste racconto di vite che in un certo senso mi sono appartenute. Mi hanno indotta a gettarmi sulle spalle la monotonia del giorno, la drammaticità di alcuni eventi, giungendo irruentemente come un ospite indesiderato nella stanza del giovane Oliver ascoltando ciò che mi avrebbe detto. Toccata dal un certo coinvolgimento emotivo, il cui messaggio conferisce una mancata libertà interiore che in un momento di estatica felicità cozzò con la vita e il processo inesorabile del tempo.



Titolo: Il prigioniero felice
Autore: Monica Dickens
Casa editrice: Eliot
Prezzo: 14, 90 €
N° di pagine: 320
Trama: La guerra è finita ma niente è ancora tornato alla normalità per Oliver North. In convalescenza per l’amputazione di una gamba, il giovane reduce è prigioniero nel suo letto, sistemato nella stanza principale della casa, da cui osserva il viavai dei membri della sua complicata famiglia. Le sorelle, la madre, i nipoti, una cugina e persino una ex fidanzata approfittano della sua condiizone di spettatore affettuoso per confidargli i propri problemi. Ee’ un modo per passare il tempo e pian piano Oliver ci prende gusto: dà consigli, suggerisce strategie, manovrando dietro le quinte le esistenze degli altri. Ed è così impegnato a occuparsi degli affari altrui ( provocando anche una serie di pasticci ) da non badare a ciò che lo riguarda, ovvero i suoi sentimenti verso qualcuno che ha molto a cuore la sua sorte: Elizabeth, la preziosa quanto riservata infermiera personale.
La recensione: 

Nessuno di noi pensava che la nostra vita sarebbe cambiata. Non ci veniva mai in mente che avremmo potuto invecchiare, o diventare più ricchi o più poveri, o che avremmo potuto vivere in un altro posto, o che potessimo essere travolti da una crisi familiare. La nostra vita era costituita solo da noi, e basta. Non siamo mai stati felici in modo delirante né miserabilmente depressi. Eravamo soddisfatti, tranquilli e al sicuro. Compiaciuti di noi stessi.

Il racconto terminò ed ebbero termine anche le relative impressioni, emozioni o sensazioni che non riesco a tenere a bada, con le sue relative spiegazioni. Per tutto il tempo la voce della sua autrice si era levata più alta di quella del giovane Oliver, con un mucchio di riflessioni dense di vita, morte, sensi di colpa.
Ma l’aspetto degli oggetti esterni, l’importanza che gli si attribuisce, sembrò subissero una notevole crescita a mano a mano che procedevo nella sua narrazione. La nostra coscienza spesso ci induce ad essere protagonisti di qualche crudele scherzetto, diabolicamente studiato, irruenti e imprevedibili, che irremovibili decretano una sentenza a cui si è costretti ad avvalersi. Ho letto Il prigioniero felice immaginando la Vita come un diavoletto dispettoso e monello ridacchiare rumorosamente, mostrando cattiveria e  poco senso pratico. La luce che ogni tanto penetrava da uno squarcio di stoffa, dietro una finestra, riluceva di vita; impregnava non solo ciò che vi era attorno, ma persino i cuori di chi era vicino. Tutto ciò che mi circondava, lo stesso Oliver, esprimeva un terribile senso di mancanza, insoddisfazione, rassegnazione che in un attimo hanno rovesciato ogni cosa, quando la guerra ha prostato Oliver ad uno stato di quasi totale infermità, o piuttosto nella sostanza delle cose. Mutano le cose ma non la loro essenza.
Quando conclusi Il prigioniero felice, il ricordo delle tenere parole dickensiane si spinsero negli angoli più remoti della mia mente, ripetendosi come l’eco di un tempo di cieca e suprema insensatezza. La Dickens, questa volta donna, pronipote di Charles Dickens, compì l’atto di scrivere un romanzo apparentemente semplice, insulso, qualcosa la cui fiamma riverbera ancora fra le pareti bianche della mia camera. Sono state attizzate le braci, con una certa violenza interiore, di una condizione umana che sin dalle prime pagine mi apparve chiara. Il volto di questo giovane uomo era esattamente come quello dell’altro Oliver, quello de Le avventure di Oliver Twist, come avvizzito nell’intensità dello sfrigolio di un cuore che batte regolarmente.
Quando si legge questo tipo di romanzi non si ragiona con coerenza: ci si lascia andare e coinvolgere da emozioni forti, istantanee di vita comune ma sgregolate da eventi o emozioni forti, e da ciò penso derivi il significato dei suoi movimenti netti. Fui sorpresa da questo elemento, poiché la magia celata in queste pagine sta nel desiderio di mancata libertà dei personaggi, il loro stare nel mondo, una cella invisibile da cui non vi è alcuna via di salvezza, quasi quanto la confessione stessa dei loro “peccati”.
Queste, in soldoni, le tematiche di un libro le cui prime pagine sono pagine cariche di dramma, tragicità che sedimenta nell’animo, e che induce il lettore ad elaborare nozioni o idee che incantano nella loro sottigliezza, che li ho percepiti solo come elementi di una vita ostile che sradicano la rassegnazione. L’uomo, infatti, dinanzi al processo crudele della vita non può far nient’altro che rassegnarsi, aggrappandosi ai ricordi e attribuendo ad essi una certa importanza. Senza ricordi, infatti, non sarebbe nient’altro che massa di carne prive di anima. Ed attanagliata dagli eventi del passato, scivolando addosso come la lente di un microscopio sugli oggetti.
Come una spettatrice attenta, mi sono mescolata a gruppi di persone che procedevano strascicando i piedi, con la mano nel petto, e la consapevolezza delle bellezza a cui avrei dovuto assistere. Il cammino impervio di un ragazzo e della sua storia, presumibilmente nella direzione che avrebbe portato dritto dritto a fare breccia nel mio cuore, fu un chiaro riferimento alla crudeltà della vita, e al modo per come l’uomo si aggrappa a sogni o speranze per contrastarla e viverla meglio. In lontananza, l’eco di drammi lunghi, ponderati, vaghi, che sedimentarono nel mio cuore, sprofondando nelle pieghe del tempo.
Quando ci si inerpica nei meandri ostili, ma intensi di certe produzioni letterarie nell'immediato si provano moti di compassione o affetto. Incapace di dare un significato, una giustificazione, per quello che le sue pagine celano così bene: segreti irraggiungibili del cuore umano. Il prigioniero felice non ne è un eccezione, e costruito secondo i piani emotivi più incredibili e convincenti, esplica una certa forza, una bonaria scaltrezza, un amabile, soave apparente totalità di vero uomo, con ritorsioni dell'animo che alla fine avranno una loro giustizia. 
Perla della letteratura vittoriana ed inglese che rientra nel sentimentalismo della produzione dickensiana, in cui ci si trascina nella crudeltà, nell'indecenza per riassumere un fatto realmente crudele che condanna il protagonista a vivere come un anima dannata e alla deriva.
Valutazione d’inchiostro: 4

8 commenti:

  1. Anche io alle prese con un romanzo di quest'editore, ma purtroppo per me mi sta deludendo e annoiando. Tu sei stata decisamente più fortunata! :)

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  2. Ciao Gresi, non conosco il romanzo, ma sembra una bella storia! Buon Natale :-)

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  3. Mi spiace per la delusione; non conosco il romanzo; buona Vigilia di Natale a te e famiglia

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  4. Ciao Gresi! Non conoscevo il libro, ma mi ispira molto, sembra essere perfetto per me. Tanti auguri in ritardo. ❤️

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