Stavolta il Fato mi aveva condotto in un luogo famigliare, che inizialmente mi ha estraniata, disorientata, e anche se non nego mai la lettura di un buon libro, checche esso sia conosciuto o sconosciuto, ho ceduto con un certo slancio sin dal primo momento in cui Andrew cominciò a parlare. Fuori posto, un piccolo sassolino in una scarpa, che si avviò lungo una strada da cui non vi farà più ritorno nel quale tuttavia si sentirà estraneo, esattamente come mi sono sentita io sin dal primo momento, quasi a disagio, radicandoci con una certa estrema difficoltà. Eppure il bello della sua lettura sta nel squarciare il velo delle convenzioni; oltrepassare un limite che traccia il passaggio di certe figure, certi funnamboli che non sono propriamente buoni né cattivi, che si affannano a sopravvivere. Impegnati nell’eterna e sconfortante lotta di sopraffare il Male. Quasi come un derivato poema russo, una reliquia sacra descritto con un certo distacco emotivo, ho osservato il tutto trincerandomi dietro coperte di solitudini, diffidenza, cappe di silenzio e inquietudini talmente intensi da divenire quasi disturbanti, assordanti, fragorosi. Un istillato di crudele realtà russa il cui messaggio molto bello, però, è un urlo dalla soglia dell’insoddisfazione morale di chiunque. Di chi è costretto ancora a << vivere >> in uno stato totalitario perverso e crudele e di chi giorno dopo giorno ne trae vantaggio, come una sorta di effetto devastante e scatenante.
Autore: Keith Gessen
Casa editrice: Einaudi
Prezzo: € 20
N° di pagine: 360
Trama: << Questo è un paese terribile >>: è così che nonna Seva, classe 1919, accoglie Andrej, il nipote che è tornato a Mosca dagli Stati Uniti per prendersi cura di lei. È il 2008 e anche se il grigiore sovietico e il regime comunista sono un ricordo, Andrej sospetta che Baba Seva, benchè un po’ svanita, abbia ragione, non foss’altro per il consumismo tossico che assedia la Mosca patinata del nuovo millenio. In fondo, però, al ragazzo non dispiace essere tornato. La casa della nonna ha custodito intatti i ricordi della sua infanzia, quelli accumulati prima di partire con la famiglia e di diventare un esule suo malgrado. E poi a New York non aveva tanto di meglio da fare. Sarah lo ha lasciato malamente, e la sua carriera di docente universitario è di una promettente precarietà. La proposta di suo fratello Dima che di solito si occupa di Seva – doveva lasciare con una certa urgenza la Russia, non si sa bene perché – è arrivata proprio al momento giusto. A Mosca, la vita di Andrej è completamente diversa. Deve adeguarsi alle abitudini della nonna: la spesa al mercato, le sfide agli anagrammi, la visione obbligata del telegiornale della sera. Ma non mancano momenti di grande tensione, come l’imminente bisogno di acquistare delle pantofole bielorusse, le visite da Emma Abramanova, la cui dacia è oggetto di bruciante invidia, o la scoperta di verità impensabili sul passato della famiglia. Dopo poco, Andrej sente il bisogno di frequentare altri giovani. Nonostante qualche primo, inevitabile attrito con gli autoctoni, il ragazzo esce con alcuni amici del fratello, trova una squadra per giocare a hockey, comincia a frequentare un gruppo di attivisti socialisti e incontra Julija, un’affascinante dottoranda. Più impara a conoscere quel paese, che la nonna aveva definito così terribile, più Andrej si convince di voler rimanere. Ma davvero per lui il ritorno in una patria impunemente abbandonata per anni può essere senza conseguenze?
La recensione:
A volte sai già cosa sta per succedere qualcosa di brutto, ma non ti serve saperlo, ed è come viverlo due volte!
Fu uno strano modo di
approcciarsi ad un autore sconosciuto come Gessen, bardandomi del mio bloc
notes, della mia penna a sfera e andando in un luogo in cui ho fatto perdere le
mie tracce molto dopo dal suo approccio della lettura. Un professore di lettere
classiche che ha scelto di stare per una manciata di mesi dalla nonna in Russia
e un’idea di libertà che cozza contro quella ritratta, un trentaquattrenne
dallo sguardo vacuo e incomprensibile, che funse da contraccolpo agli assalti
esterni di una vita sempre uguale a se stessa. Non mi reputo il tipo di
lettrice che ama perdere tempo a parlare del più e del meno con personaggi le cui
storie di vita non possiedono niente di speciale. Il primo approccio con
Andrej, infatti, non fu dei migliori. Pieno di domande sul rendimento
letterario di questa trama, apparentemente inesistente(ottima ma non essenziale
), sul suo lavoro di professore e amante delle parole, sul suo sentirsi in una
gabbia e desideroso di una rinascita. Di motivi di questo genere, di romanzi
che trattano tematiche simili che mi spingono ad accreditare a quel romanzo,
quella lettura una particolare preferenza ad altre, sui miei sentimenti che
riverso poi in pagine di diario che hanno un’importanza forse solo per me
stessa, quello che spero di ottenere studiandoli, standoci e non altrove, sono
le questioni, i modi per cui il romanzo si pone. Non mi è mai piaciuto leggere
della vita quotidiana, bensì che la stessa acquisisca luminosità, bellezza. Sembrava
tutto questo un paese terribile, e per buona parte del romanzo è stato così. Ma
l’esordio non ha accresciuto questo parere, adesso definito e netto,
scoprendolo poi in ogni forma e sfumatura.
Un racconto dunque, che mi è
parso essenzialmente lungo, nonostante lo abbia letto in una manciata di
pomeriggi. Una storia che necessita di essere centellinata, composto come un
poema russo distruttivo e ingannevole in cui bisogna opporsi per essere uniti,
unanimi alla vana lotta di uno stato totalitario che prevale su tutto. Nessen,
da questo punto di vista, produce un lavoro a mio avviso egregio. Se lo si
legge con gli occhi di una storia di vita di persone che lottano per la
sopravvivenza, si procede per momenti slegati che entrano nel vivo di un’azione
che non è fisica bensì dialettale, pensieri o impulsi che fungono da atti di
propaganda, ribellione poiché surclassati da tormenti dell’anima, ideologie
estremamente legati al passato che sconvolgono, devastano. Qualcosa di più di
una semplice storia di vita, dunque: un lungo romanzo in miniatura. Un frammento
di storia nel quale ci si guarda allo specchio con gli occhi di un altro che nonostante
proiettato su un paesaggio moderno è talmente radicato nel passato in cui la
poesia, il lirismo, il sentimento cozzano con situazioni estremamente
devastanti e impossibili da comprendere appieno.
Imbattermi in questo romanzo
mi ha donato alcune difficoltà. Gran parte di ciò che vortica nella mia testa,
credo, sia qui, riportato su carta. Ma la maggior parte dei pensieri che non
hanno un senso se non per me stessa, mi consumano – letteralmente – poiché sorge
la cruenta spontaneità, per non dire necessità, come succede tante altre volte,
di andare a raccogliere le idee, durante un momento di assoluto silenzio,
solitudine, nel quale il romanzo appena terminato mi appare come quella strada
appena percorsa dalla quale io ne sono uscita stravolta. Con Un paese terribile
è accaduto più o meno questo. Scrivo “più o meno “ perché di romanzi come
questi, tranquillamente stanziati sulla mensola di una libreria fin troppo
capiente, ne ho letto a bizzeffe. Da Vita e destino, ad esempio, ho
imparato moltissime cose da figure dal passato dilaniato. Da Limonov ho
scorto gente umile che affronta la vita con forza e coraggio. Da ogni lettura
compiuta imparo molto, e ciò è per me motivo di grande orgoglio. Ma con questo
romanzo, seppur molto bello, non ho udito quella vocina pulsante del mio cuore
dalla quale avrei esultato per aver appreso l’ennesima bellissima storia. Oppressiva,
irritante, drammatica ma non altrettanto bella come i suoi originali. Fondata
in una grigia, buia disperazione dell’anima,di cui la pazienza e la precisione
hanno funto da collegamento a una lotta per la sopravvivenza alla
sopravvivenza, che in un periodo cruciale della storia, molti hanno compreso la
differenza fra il vivere e l’esistere.
Ciò che accade in questo
paese terribile è una situazione analoga a ciò che ho appena descritto, un urlo
devastante e altisonante della cruenta e tenace resistenza di una lotta contro
chi difese se stesso con la sofferenza umana, la brama di libertà. Nascosto
sotto edifici moderni, fra il fragore di una città apparentemente prospera, a
cui vi ho preso parte isolandomi con la gente del posto, immedesimandomi nei
panni del protagonista, rifugiandomi dal singolo e riconoscendo solamente l’insieme.
Un luogo, dunque, molto simile alla Stelingrado dei poeti russi, di quei
romanzi storici che certi testi ci propinano, che per quanto forte e
inavvicinabile, non si ferma dietro niente e nessuno per difendere il principio
di libertà. Poiché impossibilitati a contribuire allo scoppio di una
rivoluzione al predominio di una certa libertà, l’unica speranza per poter
vivere.
Valutazione d’inchiostro: 4
Non conosco; ottima recensione; grazie
RispondiEliminaA te 🤗🤗
EliminaThanks for your review:)
RispondiEliminaThank you 🤗
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