L’obiettivo era di conoscere questa Dea. Salambò. La più bella di tutta Cartagine, la cui voce dolce e delicata rimbombava ancora fra le stanze polverose del mio spirito. Fui felice di conoscerla, come se conoscerla fosse la chiave di un tipo di ostracismo che francamente avrebbe potuto non esserci. All’origine di uno scontro sanguinoso come quello di Cartagine c’era, effettivamente, la presa al potere fra sovrani e ricchi possidenti. Non un dettaglio irrilevante ma un dato di fatto da cui ne conseguirono tante cose.
Salambò aveva il fascino degli antichi poemi omerici che al liceo ho visto, ho scrutato e poi dimenticato. E, sorrido, nel mentre ripongo queste poche righe, nel constatare come, dal passato si può trarre spunto e con una lente d’ingrandimento osservare a lungo ciò che non avevo visto all’epoca. Ma solo adesso esaminare un popolo in cerca di una loro etnia, di una redenzione, se non addirittura di un sovrano. E, alla fine, sottrarsi a una dinastia la cui voce, i cui gridi d’aiuto rimbombano ancora nelle mie orecchie. Ebbero un certo influsso su di me per cui ho dovuto prestare una certa attenzione ai raggi di una storia che, alla fine, ha bruciato, in pieno viso, anche me.
Titolo: Salambò
Autore: Gustave Flaubert
Casa editrice: Ippocampo
Prezzo: 25€
N° di pagine: 400
Trama: La riscoperta del capolavoro di Flaubert attraverso le illustrazioni di un’artista Art déco di una modernità sconvolgente. Mentre Cartagine è in lotta contro i mercenari assoldati nella Prima guerra punica – esasperati per non aver ricevuto il compenso pattuito –, uno dei capi della rivolta, Matho, finisce per innamorarsi della figlia di Amilcare Barca, dopo averla intravista a una festa. Romanzo epico dallo stile esuberante, Salambò ha avuto nel tempo diverse edizioni illustrate, grazie a nomi come François-Louis Schmied e Georges-Antoine Rochegrosse. Nel 1928, per la prima volta, si cimenta in tale impresa anche una donna, Suzanne-Raphaële Lagneau(1890-1985), con 76 illustrazioni a colori il cui stile, essenziale ed elegante, anticipa quella « linea chiara » che si imporrà soprattutto nel fumetto a partire dagli anni Cinquanta. Con questa lussuosa edizione, L’ippocampo si propone di ridare finalmente il giusto merito a un’artista troppo a lungo dimenticata.
La recensione:
Mi piacciono i classici. Sono la linfa vitale della mia intera esistenza. Porto sicuro in cui approdare pur di combattere qualunque assalto esterno, ma anche segno o fonte di inestimabile e inesauribile conoscenza che non cesserà mai di esistere. Diamo sempre per scontato che quando ci si imbatte in un classico ogni cosa sia inaccessibile, difficile, criptico o enigmatico, e ci pare di avere - chissà come e perchè - una sorta di diritto tutto nostro di interpretare o accedere in questo mondo. Tutto ci pare così ricco di dettagli doviziosi e non ci meravigliamo se poi, dopo una ricerca accurata e approfondita, che ha risucchiato tempo ed energie preziose, scoviamo qualcosa di << meno accessibile >>, di necessaria analisi: spesso senza di essa neppure consapevoli di poterla capire.
Nutrire l’anima di questo tipo di alimenti è diventata per me una cosa naturale, almeno negli ultimi anni. Le mie letture non prevedono più testi i cui temi sembrano quasi privi di logica e che non mi sottraggono non più di una manciata di ore, processo istintivo che nel tempo è divenuto come un meccanismo naturale. Eppure ogni tanto mi sorprendo a ringraziare quella buona stella, che in un momento imprecisato della mia vita, mi abbia condotta dinanzi a questo cammino e così dato alimento, sostentamento alla mia anima semplice. Si mangia, ci si rimpinza di opere cervellotiche, enigmatiche, difficili il cui messaggio, quasi sempre, non coincide con quello che rimpiazza la banale idea di scovare una lettura interessante, magari osservandola e vivendola molto più del dovuto.
Nella letteratura classica tutto è possibile. Recentemente ciò l’ho compreso a metà strada del percorso straordinario della Recherche, i cui idiomi romantici fondati su aspetti filosofici di una natura romantica e sentimentale, insegnano ed invitano a guardarsi dentro, perché quello era il mondo, mentre l’individuo era intrappolato in prigioni dell’anima da cui è impossibile fuggire.
A volte mi sono chiesta se ne valesse la pena di celebrare certi avvenimenti letterari come epifanie o ricorrere a stratagemmi affinchè la sua lettura fosse rimandata a data da destinarsi, ma un evento o una ricorrenza che offrono qualcosa di speciale, del periodo storico narrato o un dolce sospiro dell’anima, scalfiscono una pietra invisibile che solo alla fine celebrano giorni o addirittura settimane del percorso intrapreso. Così prima di affondare qualunque speranza che certi mondi non siano adatti a noi, l’intero refettorio letterario e artistico risponde con alcuni versi in prosa che invitano alla sua lettura, silenziosamente ci augurano buon viaggio e di vivere non solo questa vita, ma, come essa, tante altre.
Dio mio, quella di Salambò sicuramente se la merita egregiamente! Lasciata sola nell’immensità di un cosmo in cui non ho dovuto rimproverarmi nulla, nemmeno di aver rimandato la sua lettura a data da destinarsi, quanto, senza darmi alcun peso, senza farmi sentire in colpa, certa che la sua magia, così infusa di veleno e romanticismo, fu comunione della vita, un istintivo accordo sul come guardare al mondo e su dove andare. E ora quale migliore cosa che non vivere di lei? Ognuno a suo modo, vive certe esperienze come espressioni di vita, e così è accaduto con questo capolavoro.
Queste parole, seppur possano apparire belle, non bastano però per riassumere la bellezza che è celata in questo testo. I sentimenti contrastanti, che si sono dibattuti nella mia gabbia toracica, illudendosi di poter smarrirsi in un deserto di uomini e poi ritrovarsi in un luogo in cui il terrore, la paura e il sangue si insinuano nelle nostre coscienze, fra le soavi note di dolci arpe, affinché l’aria potesse placare col sangue e l’amore, se non ricambiato, alimenta l’odio in un'atmosfera spettrale di rosa e morte antiche e morali, cullati dal palpito di un mondo oscuro in cui è immersa ogni cosa, zuppo di malinconia e tragicità.
Questa magia, questa atmosfera con cui mi sono potuta adornare non è bastata tuttavia a inzuppare il mio spirito di percosse o battaglie che ha decimato la popolazione in piccole comunità, demeriti, sul conto della diversità fra razze. L’incomunicabilità fra spiriti in cui la vita era distrutta dalla realtà, la consapevolezza che Dio non esistesse e la vita rappresentata come un dramma senza scopo e l’unica ragione per vivere era quella di combattere per amore a cui bisogna resistere, idealizzata ma non corrisposta al reale.
Romanzo ambientato durante la rivolta dei mercenari del III secolo, conflitto armato combattuto sul territorio africano di Cartagine tra il 240 e il 238 AC, vide le truppe regolari della città e le milizie dell’esercito cartaginese a ribellarsi dopo la fine delle prime guerra punica. Narrato da Polibio con una straordinaria dovizia di dettagli a cui bisogna attenersi all’idea che la guerra, così irreversibile e inesorabile, senza alcuna possibilità di tregua, avrebbe colto ogni essenza: nazionalismo, razzismo, doppiezze politiche e battaglie brutali o di lealtà, valori intellettuali razionali o di ogni risorsa. Protagonista assoluto di una sequenza di cause ed effetti all’infinito e la concezione della storia come maestra per la temperanza, il comportamento altrui da cui bisognerebbe imparare, fare ammenda e comprendere.
Fra finzione e realtà, Salambò divenne quel racconto di viaggio che Flaubert celebrò attraverso la lettura di testi antichi, in perenne confronto fra materia e forma, non ponendosi alcuna distanza tra sé e lo spazio che si percorre quanto ciò che si vive e la visione netta e chiara che colga ogni segreto nella convinzione che non esista alcuna frontiera invalicabile fra spirito e materia, nemmeno fra soggetto e mondo circostante. L’esaltazione del paesaggio, Cartagine recisa da un brusco scontro bellico, coinvolge in una splendida esaltazione dei sensi e l’occasione di vivere un’esperienza eroica molto forte. Il viaggio diviene così illusione del mondo non imponendosi sul reale quanto fornendo mere illusioni di soddisfazioni menzognere. Resurrezione di un mondo perduto che tuttavia rimanda all’origine, all’innocenza o al sacro, e l’ebbrezza mistica dinanzi alla materia primordiale sempre modulata da una retorica del meraviglioso.
La ricchezza, lo sfarzo appaiono come pallide labbra diffuse su chiunque, nell’inaspettato apparire dall’aspetto inerme. Vedere un Dio che non si distingue dalla sua raffigurazione significa acquistare una parte della sua virtù e in un certo senso dominarlo.
Precursore del romanticismo, Flaubert esplica in questo testo il desiderio di amare, la morte, l’inconsistenza dei sogni e di quelli che si manifestano sempre e in modi improvvisi nei personaggi che portano ad inclinazioni della realtà e al vero, da quegli idiomi più sublimi a quelli più bestiali, grotteschi, degradanti. E il guardare le cose come oggetti mutevoli e sempre variabili che sveleranno il grottesco insito in ogni azione umana, misurando i limiti della conoscenza, sbeffeggiando la stupidità, penetrando nella zona d’ombra della realtà affinchè l’immagine data sia veritiera e più significativa della natura umana. E i miti umani che si riversano nella scrittura conducono allo scetticismo e a una profonda disillusione che potrà essere esorcizzata solo grazie a un riso grottesco e liberatorio.
Scenario solenne che appare nella sua severa opulenza ma dominata da un teatro di azioni in cui la gente è costretta a lasciare le loro terre, il loro luogo natio imponendosi sul popolo mediante pene o crocifissioni che sottolineano a sottomettere i suoi cittadini all’impossibile, all’impossibilità di possedere un armata colonica fenice come Cartagine, rifiutando un tipo di alleanza che avrebbe condotto a rispettare il più forte su chi la protegge. Vincendo sull’impossibile, concedendo un tipo di riflessione per gli uomini dinanzi ad un Destino furente come questo.
Valutazione d’inchiostro: 5