Buon pomeriggio, ragazzi! In questa tediosa e ultima domenica di luglio, la recensione di un romanzo sorprendente: Il maestro che leggeva negli occhi della gente. Un romanzo profondo che, in una lunga salita di emozioni ingannevoli, in un mondo invisibile agli occhi, è stato impossibile restare impassibili.
Spero possiate dare anche voi, amici, una possibilità a questo splendido romanzo e che, la luce che indica il cammino dei protagonisti, possa raggiungere i vostri occhi :)
Titolo: Il maestro che leggeva negli occhi della gente
Autore: Pierluigi Tamanini
Prezzo Kindle: 0,99 €
Casa editrice: Self publishing
Trama: La vicenda si svolge all'incirca un paio di secoli fa a Hokkaido, un'isola nel nord del Giappone. Jin vive solo in mezzo ai boschi con il padre, un monaco buddista che nasconde al figlio un importante segreto. Entrambi passano le giornate curando un enorme giardino zen. Jin porta dentro di sé un mistero che non sa custodire. La passione per i bonsai lo porterà in un antico villaggio noto come il paese della seta dove avrà modo di incontrare un leggendario maestro che gli insegnerà l'arte di leggere gli occhi della gente. Nella sua peregrinazione sarà accompagnato da Haruki, un ragazzino viziato di Tokyo, che con la sua semplicità gli farà capire che la vita va vissuta con leggerezza. La madre di Haruki e la sua malattia di vivere avranno un ruolo importante all'interno della storia.
Il maestro che leggeva negli occhi della gente è un romanzo di formazione dove il protagonista scopre la sua vera natura e la asseconda fino in fondo, anche a costo di ferire a morte il padre e il suo mondo bigotto.
La recensione:
«Passato,
presente e futuro sono appesi allo stesso sottile filo di seta. Non possiamo
rischiare che a
forza
di tirare il filo si spezzi. Dobbiamo conoscere noi stessi se vogliamo
conoscere il nostro
albero.
E finché non conosciamo l’essenza di un albero, non ne possiamo forgiare le
forme senza
che la sostanza ne risenta.»
La storia che ho letto è stata scritta
come la bellezza della vita. Un profondo rapporto d'amore fatto di cure
quotidiane, pazienza e piccole violenze amorose. La strana perfetta coesione
fra l'arte del bonsai e l'arte della scrittura il cui materiale da cui si
attinge è la vita. Sul davanti avevo una distesa infinita di verde, una casa in
legno circondata da boschi di larici, l'aria pregna di resina e muschio.
Sono in Giappone, in compagnia di un
monaco buddista e di suo figlio, Jin, educato al rispetto delle leggi di madre
natura. Ognuno qui classificato a seconda del cammino impervio che si dovrà
seguire pur di raggiungere l'immortalità. Un esame attento sulla vita,
filosofico e spirituale, che ci invita a guardare attraverso gli occhi, e non
capirci più niente. Specchiarsi nell'incomprensione in cui l'anima si riflette
inquieta.
Mi affascina stare qui. E, chi lo ama,
ben o male sa che non si conoscono le ragioni per cui lo si ama. E' ricco,
lontano anni luce dalle nostre credenze e culture; a volte è un'amica di
vecchia data su cui si può fare affidamento, leale e sincera, disinibita e un
po' eccentrica. E, quando la si incontra, non si può fare a meno di rimanerne
colpiti. Si soffre quando arriva il momento di commiato: i giapponesi hanno un
modo più profondo per descrivere le cose. Vanno più vicini alle cose,
sottolineando i particolari. E così sono alcuni romanzi: intensi, sorprendenti,
comprensivi, magnetici, completamente interessati.
Romanzi sconosciuti che, in un momento
imprecisato della nostra vita, disvelano
una tenebra caduta e la luce che ne viene fuori; non ci importa del giudizio
interessato degli altri; dedichiamo con venerazione parte del nostro tempo
libero inebriati di libertà. Il maestro
che leggeva negli occhi della gente, disgraziatamente poco noto dai lettori
nostrani, rientra completamente in questa categoria: mi ha fatto sentire parte della
storia che Jin si porta dentro. Con lui non mi sono mai sentita sola, mai
completamente estranea alle vicende amorose di marionette artificiali che
popolano questo teatro artificiale. E, al di là di questi personaggi, l'intesa
che nasce come risultato di due volontà: quella esterna dell'artista e quella
interna della pianta, come volontà biologia considerata.
Ho avuto solo un attimo di sgomento,
durante il corso della lettura. Dopo essermi buttata con grande entusiasmo fra
le sue pagine - era da tanto che non leggevo qualcosa che profumasse di orientale
- ho guardato dalla porta della mia stanza la distesa di bonsai che circondava
il piccolo giardino zen, che Jin e suo padre dedicavano in gran parte della
giornata, e mi sono chiesta dove si nascondesse la magia di cui ci parla
l'autore. La risposta era semplice: tutto intorno a me. Come un'azione che non
ha mai fine, ma che si accompagna nel tempo.
Con agosto ormai alle porte, Il maestro che leggeva negli occhi della
gente è stato quel genere di storia che ha funto da nascondiglio legittimo
e sicuro in cui, ogni volta la storia di Jin mi si presentava davanti, i brutti
ricordi che mi portavo dietro dal mondo reale svanivano.
L'incontro con Tamanini, infatti, ha
evocato delle immagini che, pur quanto mi sforzi a classificarle e
confrontarle, sembrano rievocare qualcosa di famigliare. Nitide, tangibili in
cui il mondo sembrava aver ritrovato il centro della realtà. I colori, le forme
naturali, ma dettagliatamente screziati.
Il flusso insinuoso del tempo, che
risulta difficile collocare nella psiche umana, su uno sfondo rurale, si riesce
a "vedere" ma non avvertire.
Acute riflessioni sulla vita, l'amore per la montagna e i boschi, far
dono di una sensibilità che riconosca la bellezza e ricrearla, testimoniano una
mente consapevole della natura articolata e pluralistica del mistero della
psiche umana. Profonde concezioni che testimoniano una certa malinconia, e che
dilagano su diversi fronti. Composte mediante una serie di consigli -
dispensati in svariati momenti della giornata di cui non si conosce tuttavia
l'origine. Si riesce a coglierne la saggezza, ma non a stabilirne la durata.
Una storia semplice, che è una poesia del silenzio. Dell'assenza,
dell'isolamento, della solitudine. Della libertà di vagare senza una meta, che
ha dentro vasti richiami per trovarne una collocazione. Poiché va oltre
l'infinito, come un granello di sabbia ingoiato dalla spiaggia. Ti
intestardisci a trovarla, ma sai che potresti tentarci anche un'intera vita.
Per capirla veramente, per immedesimarsi completamente in Jin, credo, bisognava
essere stati lì. Rivestire i suoi panni, e muoversi silenziosamente in quel
periodo. In quella realtà parallela, nelle mani di un fato che ha un posto
speciale da riservare.
E' in questi momenti che, come spesso mi
succede quando assisto a fenomeni che vanno al di là della psiche - quando il
mondo si esibisce in forme particolarmente complesse, che sono certa non
riuscirò a dare una spiegazione - assisto con ipnotica attenzione ciò che
accade sotto i miei occhi, con l'anima divorata da una sottilissima e
febbricitante curiosità.
Riconoscere la provenienza di questa
storia, infatti, non è stato semplice. Ho dovuto aspettare qualche momento pur
di riconoscere la forma di idea che risiedeva nella mente dell'autore, i cui
tempi e modi coincidono con la forma stessa, ritratta in mezzo a un immenso
giardino di un umile dimora, correndo lungo monti impervi, non mollando per un
momento Jin se non quando giunsi al punto finale. All'epilogo di un monologo
quasi interiore, che non è mai stato tale, i cui personaggi appaiono soli e
incompresi. Senza passato o identità. Uomini che camminano nella lotteria della
vita, avvolti da una cortina di mistero, fra il fervore delle passioni, nella
lucentezza dell'amore, che inghiotte ogni cosa. Il tempo. Brandelli dell'anima.
In una sequela di immagini chiare ed
evocative, in cui è possibile riconoscere il tratto sognante dell'autore,
talvolta meravigliose che generano stupore, sprazzi di cose perdute o
cancellate che non riescono tuttavia ad arrivare agli occhi, quello che si
avverte fra le pagine di Il maestro che
leggeva negli occhi della gente è una verità inconfutabile: il lettore si
porta dietro un giovane narratore che, per tutto il tempo, ci racconta una
storia che non ha mai avuto un inizio ma ricca di mille sfumature. Un narratore
che indugia nella testa dell'autore e che trasmette il suo dolore addossandoci
una certa tristezza, e che riesce a far trapelare mediante spezzoni della sua
vita.
Il maestro che leggeva negli occhi della
gente è un libricino che avrei desiderato leggere molto tempo fa: quando di
Murakami e della cultura giapponese non ne sapevo niente. Ma che, nella sua
brevità e semplicità, mi ha conquistata. Ascoltando una storia di cui ignoravo
completamente l'esistenza. Aprendo, inconsapevolmente, il mio cuore con la
storia di questo ragazzo, dei suoi sogni e desideri. Allietando giornate
tediose e afose, con la concezione della scrittura come risultato di volontà o
del bonsai come bellezza di vita. E, cominciando a parlare come se stesse
confidandosi con un amico immaginario ed
estraneo, rendendomi partecipe di una constatazione tanto mera quanto vera: a
nulla serve rimanere appesi al soffitto della vita per paura di spiccare il
volo. Alla fine, l'anima delle cose rinasce esattamente uguale a se stessa, né
migliore, né peggiore.
“In
fondo cosa c'è di più creativo di una ferita? Cosa spinge a creare se non una
lenta e continua
sofferenza che ci portiamo
dentro?”
Valutazione d'inchiostro: 4+
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