Il quadro si fece molto più complesso di quanto avevo immaginato.
In quasi un intero pomeriggio trascorso qui, questo piccolo libriccino dalla
mole piuttosto ridotta ma ricco di sentimenti ed emozioni si è rivelato sostanzialmente
discreto. Ben o male, le storie che hanno del sentimento si rivelano quasi
sempre di questo calibro. Scrutando dentro la nostra anima, scandagliando ogni
forma o questione, studiando nell'attesa di una possibile rivelazione, senza mai
demordere; ma in tutto ciò non avevo preso in considerazione che L'invenzione della solitudine sarebbe stata una lettura profonda, triste, ma
ciò che ha sortito in me non ha avuto l'effetto desiderato.
Adesso, che di questo suo immane dolore ne ho compreso e scrutato
ogni forma, parvenza o colore, non so più cosa pensare. Ritengo plausibile
l'ipotesi che non tuttti i romanzi di un autore che noi reputiamo preferito, o
del cuore, possano appagarci completamente. Ho osservato questo romanzo sotto
una prospettiva diversa da dove l'avevo osservata, e, in questo caso, non mi
sono sentita più così libera.
Curiosamente l'idea della morte è ricordata mediante l'arte segreta
delle parole, e sfogliare questo diario mi ha indotta a pensare che in un certo
senso io non dovevo essere dove sono stata, ma in tutt'altra posizione. Eppure
il mio animo sensibile, profondo ed empatico, spesso e non poche volte mi
costrinse a trovarmi in situazioni in cui mi conformo ad essi, sicchè mi trovo
in tempi completamente diversi a quello che vivo, uscendone destabilizzata e cambiata.
Solo così ho capito, sebbene non poche volte ho avuto timore che forse non è mai
troppo tardi per capire qualcosa che fortunatamente non ho ancora vissuto, che
il vero fulcro di questo romanzo riassume l'identificazione dell'individuo con
l'autore stesso, con la natura del suo stesso problema. E tenendo fede al suo
impegno, ho letto L'invenzione della
solitudine consapevole che l'Auster di queste pagine si sia rivolto contro
me stessa come mordendo la persona che lo ha affiancato per tutti questi mesi.
Spingendomi in una stanza vuota chiuderndomi dentro, brancolando nel buio alla
ricerca di una via di fuga, prigioniera dei medesimi peccati inflitti alla sua anima
appassionata ma imperscrutabile.
Titolo: L'invenzione della solitudine
Autore: Paul Auster
Casa editrice: Einaudi
Prezzo: 10 €
N° di pagine: 185
Trama: Il libro si compone di due scritti speculari. Il primo,
"Il ritratto di un uomo invisibile", è una meditazione sulla scomparsa
del padre, scritta qualche settimana dopo la sua morte. "Niente è più
terribile che trovarsi faccia a faccia con gli oggetti di un morto. Le cose di
per sé sono inerti: assumono significato solo in funzione della vita ne fa
uso", scrive Auster nel passare in rassegna le carte e gli oggetti del padre.
Nel secondo "pezzo", "Il libro della memoria", l'autore
sposta la sua attenzione della sua identità di figlio a quella di padre:
riflette sulla condizione solitaria dello scrittore e prova a immaginare quella
che sarà fatalmente la separazione dal figlio che cresce.
La recensione:
La vita si fa
morte, ed è come se quella morte avesse posseduto questa vita da sempre. Morire
senza preavviso. Come dire: la vita si interrompe. E può interrompersi in qualunque
momento.
Siamo
nel lontano inverno del 2004. Trovando finalmente il coraggio di agire, Paul Auster
rovista nella valigia dei suoi sentimenti alla ricerca di una nuova identità.
O, per lo meno, di qualcosa che possa donargli aiuto o conforto. Dopo aver scartato
varie possibilità, fra questi un'improvvisa idea di suicidio, sceglie di aggrapparsi
alla scrittura come surrogato per la sua anima semplice, da qualche ora a questa
parte completamente ridotta in minuscoli pezzettini. E camuffandosi da
scrittore di anime, poeta spirituale che ha dovuto trattenere i drammi della
vita con legacci, come tocco finale la morte repentina del suo amato padre, gli
conferirono l'aspetto di un vecchio pronto a ricevere la beatitudine eterna. L'Auster
di queste pagine, sebbene non conforme ai miei gusti, non è stato il poeta romantico
ma maledetto, pazzo savio o santo nullatentente che vive ai margini di una realtà
che lo sopraffece, bensì un laido derelitto di se stesso che emana in queste
poche pagine una dolce indifferenza verso il mondo che lo circonda, poiché essendogli
già caduto tutto addosso, niente può più sconvolgerlo. O forse no?
Accostandomi
alla figura di questo povero relitto, in un punto piuttosto strategico del suo
essere scrittore, ho tirato dal nulla la mia immancabile agenda e cominciai a
scrutarlo, recuperando da una vecchia raccolta di fogli grigi e spiegazzati
quelle che non sono altro che le misere confessioni di un uomo solitario e
incompreso. Qualche minuto più tardi, ecco apparire il vero movente. Il padre
di Paul Auster morì per un incidente terrificante e, non prestando completamente
attenzione della sua morte, per questo improvviso bisogno di immergermi nei
suoi pensieri, ho ignorato di proposito il concetto di morte gettando piuttosto
una certa luce su ciò che abbia indotto quest'uomo a subire un simile tormento.
Si
è trattato di segreti famigliari? Gelosie che avanzano in un paesaggio famigliare
apparentemente tranquillo. Ecco qui. Ecco dove volevo arrivare.
E
con questa constatazione che L'invenzione
della solitudine non si merita il posto d'onore fra l'infinita serie di romanzi
più belli di questo autore, salutando alla fine questa confessione come
l'ennesimo tentativo per ristabilire gli elementi e continuando per la mia strada.
E
dopo? L'importanza dell'essere padre con il figlio piccolo come ultima immagine che entra in scena come un
sorriso eloquente sulla faccia.
Non
saprò mai la verità assoluta sulla macabra storia famigliare degli Auster. L'autore
di questo libriccino è stato diretto, schietto, ma non ha soddisfatto alcuna mia
curiosità. Consapevole solo che presto o tardi tutto sarebbe cessato, sarebbe
tornato alla normalità, comportandosi da padre amoroso per il resto dei suoi
giorni.
Intanto
gli anni avanzarono, e Paul Auster divenne un icona relativamente importante
nel panorama culturale. Della sua produzione letteraria, devo ancora leggere un
mucchio di opere e, avvalendomi dei sentimenti profondi che nutro nei suoi riguardi,
il mio desiderio di tenergli la mano e curare i mali del mio spirito mediante i
suoi scritti non penso cesserà di esistere tanto facilmente.
Eppure,
sebbene non soddisfacente come credevo, non dimenticherò questa nostra ennesima
chiacchierata. In un periodo non particolarmente brillante, mi ha dato un po'
di cose da pensarci sopra. Quasi come una confessione proveniente chissà da
dove, Paul Auster riversa in poche pagine di diario esperienze e curiosità che
in un periodo prorompente della sua vita, lo resero inquieto, solo, in cui la
conoscenza con la scrittura furono quell'idioma che legarono le sue risposte
con le sue domande. Scrivere di una "cura" contro gli effetti devastanti
della realtà, affinchè il mondo o la vita in generale non finisca ma continui a
perpetuare nel tempo, mi ha indotto ad abbandonarmi a quel po' di incoerenza
ubriaca che ancora una volta ho potuto scorgere con interesse e diletto,
sperimentando tuttavia qualcosa che fortunatamente non ho mai provato,
scrivendo un romanzo che altri non è che una scissione fra sogno e realtà e di
cui lo stesso autore evidenzia la sua percezione nella consapevolezza su di essa.
Accettando, alla fine, ciò che era giusto accettare. Andando oltre le stesse parole
in quanto scrivere non è altro che un pretesto, un alterità arbitraria, un modo
per cimentarsi con l'ignoto. Sopravvivere e poi trionfare. Con un bagaglio di
emozioni altalenanti che distorgono l'anima di chiunque, rievocando con
nitidezza quegli strani ma mai irrivelanti dettagli che in un certo senso mi hanno
sorpreso.
Ho
visto questo mondo dipinto da Auster come un lungo e oscuro corridoio inondato
poi dal bagliore accecante della speranza, dell'andare avanti, che hanno aiutato
sia l'autore sia me nel momento del bisogno. Circondato da anime ignare della
propria identità, depravate dalla vita ma vive, impossibilitate a tornare in se
nel momento in cui decidono di farlo.
La prima parola
appare solo nell'attimo in cui non si riesce più a spiegare niente, in un
momento dell'esperienza che sfida ogni significato. Trovarsi a non poter più
dire nulla. O, invece, dire a se stessi: è questa l'ossessione che mi possiede.
Valutazione
d'inchiostro: 3
Autore che devo leggere assolutamente entro l'anno. Per fortuna in casa ho già Follie di Brooklyn. ;)
RispondiEliminaFollie di Brooklyn purtroppo mi manca, ma ho recuperato 4321 e non vedo l'ora di leggerlo :)
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