La mia strada e quella di Turton passavano
vicine ma distanti, con poco sentimento, poca intensa felicità sino a qualche
settimana fa, ma dal momento in cui ho desiderato liquidare l'ardente desiderio
di riconoscere in Le sette morti di Evelyn Hardcale il
capolavoro che molti osannano, non ho potuto evitare di fare allo stesso modo e
immergermi in un epoca che non è più la nostra, ma dalle predisposizioni già
poco soddisfacenti.
Ebbene,
per rendere questi miei dubbi fondate certezze, ho lasciato le spiagge assolate
descritte magnificamente dalla Haward per scendere lungo i pendii sconnessi di
una collina in cui è situata una vecchia e antica tenuta, da cui si inerpicano
le vicende di questa povera vittima. Lo scenario descritto, non c’è che dire, è
effettivamente magnifico. Richiama perfettamente gli antichi romanzi
ottocenteschi austeniani o leviani e questo ha garantito un elemento concreto:
lo scenario di cui molti lettori si sono invaghiti è stato incredibile. Ma, più
in là, dopo la splendida tenuta, lo stile semplice e diretto, un giardino
incolto che è stato lo scenario di un brutale assassinio, l’entusiasmo con cui
ho accolto questo romanzo, dopo un centinaio di pagine, è andato ad
affievolirsi. Emotivamente parlando, troppo freddo e calcolato per i miei
gusti. Il fertile terreno di un’indagine scrupolosa e attenta che disgraziatamente
per me si è trasformato in fango e gelo. Il fattore conseguì una trama studiata
a tavolino, perfettamente artificiosa, in cui il sentimento o l’introspezione
cozzano con un’aria maliziosa che l’autore innesca nello svolgimento di questa
trama intricata. Se inizialmente l'avevo considerata appropriata per celare un
mistero irrisolvibile, ben presto emerso come eccessivo, fariginoso,
claustrofobico, quasi angosciante che non mi ha permesso di farmi sentire parte
del gruppo. Parte integrante di questo teatrino, messo su da un amante dei
gialli e di Agatha Christie, e che a me ha colpito in maniera alquanto diversa
dalle mie supposizioni.
Titolo: Le sette morti di Evelyn Hardcastle
Autore: Stuart
Turton
Casa editrice: Neri
Pozza
Prezzo: 18 €
N° di pagine: 526
Trama: Blackheath
House è una maestosa residenza di campagna cinta da migliaia di acri di
foresta, una tenuta enorme che, nelle sue sale dagli stucchi sbrecciati del
tempo, è pronta ad accogliere gli invitati al ballo in maschera indetto da Lord
Peter e Lady Helena Hardcastle. Gli ospiti sono membri dell’alta società,
ufficiali, banchieri, medici ai quali è ben nota la tenuta degli Hardc.
Diciannove anni prima erano tutti presenti al ricevimento in cui un tragico
evento – la morte del giovane Thomas Hardcastle – ha segnato la storia della
famiglia e della loro residenza, condannando entrambe a un inesorabile declino.
Ora sono accorsi attratti dalla singolare circostanza di ritrovarsi di nuovo
insieme, dalle sorprese promesse da Lord Peter per la serata, dai costumi
bizzarri da indossare, dai fuochi d’artificio. Alle undici della sera,
tuttavia, la morte torna a gettare i suoi dadi a Blackheath House. Nell’attimo
in cui esplodono nell’aria i preannunciati fuochi d’artificio Evelyn, la
giovane e bella figlia di Lord Peter e Lady Helena, scivola lentamente
nell’acqua del laghetto che orna il giardino antistante la casa. Morta, per un
colpo di pistola al ventre. Un tragico decesso che non pine fine alle crudeli
sorprese della festa. L’invito al ballo si rivela un gioco spietato, una
trappola inaspettata per i convenuti a Blackheath House e per uno di loro in
particolare: Aiden Bishop. Evelyn Hardcastle non morirà, infatti, una volta
sola. Finché Aiden non risolverà il mistero della sua morte, la scena della caduta
nell’acqua s ripeterà, incessantemente, giorno dopo giorno. E ogni volta si
concluderà con il fatidico colpo di pistola. La sola via per porre fine a
questo tragico gioco è identificare l’assassino. Ma, al sorgere di ogni nuovo
giorno, Aiden si sveglia nel corpo di un ospite indifferente. E qualcuno è
determinato a impedirgli di fuggire da Blackheath House…
La recensione:
La rabbia ha una
sua solidità, un suo peso. La si può prendere a pugni. La compassione è una
nebbia nella quale si finisce per perdersi.
Quando arrivai a
Blackheads House venni immediatamente informata dell'atroce delitto che le
vecchie e insormontabili mura di una casa fatiscente, imponente e luminosa come
questa, in un divario della campagna inglese, erano state brutalmente macchiate.
Il fattore, anche se il mio stato d’animo al principio era molto diverso da
adesso, ora rivela un grande dispiacere per essere incappata in una delusione;
cosa avrei dovuto fare se non vi ho riscontrato alcun coinvolgimento emotivo?
Colui che ha scritto e preparato a puntino questo macchinoso marchingegno che
circonda le mura di Blacksburg House si congratuló con Agatha Christie, Arthur
Conan Doyle per la fine di tante incertezze e lo rivela dimostrandolo mediante
la stesura di questo romanzo. Confessando che, non appena aveva estrapolato
questa idea dal nulla, tre anni di duro e intenso lavoro gli permisero di
intuire che questa sarebbe stata la scelta più adatta per un amante di gialli.
Gli era apparso così eccezionale, quando gli venne in mente la giovane Helen,
che avrebbe potuto vantare di un discreto numero di lettori. In realtà, in
buona parte così è stato. Ma la parte restante ricorda come i romanzi doyliani
o christiani non si mostrano così compiacenti o graziosi al pubblico per il
loro bell’aspetto o il loro modo di porsi. Piuttosto il modo per cui si
avvicinano al cuore del lettore. Le sette morti di Evelyn
Hardcastle aveva tutta l’aria di un ulteriore sviluppo di fantasia,
massima letteraria fortemente sentita e ben studiata, ma sorretto da una certa
conoscenza che scorse lentamente, quasi agonizzante, senza il senso di una
volontà propria.
Le parole erano
state messe su abbastanza bene, il secolo descritto, la sua intelligenza, la
natura vastamente classica, pur quanto brillante, aveva cominciato a spegnersi
nel momento in cui subentrarono alcune concezioni fantastiche, comuni nella
letteratura fantastica e a coloro che si approcciano a questo tipo di romanzi
sentendosi più uniti al suo autore che ai propri amici; così sono scivolata in
questa passiva accettazione di questo progetto suggerito dall’autore,
prettamente disconnesso al mio stato d’animo.
Tuttavia i romanzi
studiati bene, fin troppo bene, che si mostrano più baldanzosi di quel che si
crede, a me non piacciono. In realtà, non mi piace dover ‘implorare‘ in un
cambiamento. Da lettrice accanita e appassionata non mi tiro mai indietro,
dinanzi a una sfida, qualunque essa sia, cosa che poi ha le sue conseguenze. Ma
ciò che non avevo ponderato fu il fatto che la mia anima non si è sentita
appagata. Per niente emozionata o esaltata, malgrado le logiche dimostrazioni
dell’autore e delle necessità che inducono il suo protagonista a svelare questo
arcano, vi fu in verità un elemento di precipitazione in questo caso, come mi
apparve alquanto evidente dopo un centinaio di pagine. Avrei potuto amare
moltissimo Le sette morti di Evelyn Hardcastle, ma forse i miei
sentimenti al riguardo erano troppo ideali e fantastici che non si sono sposati
per nulla all’aura distaccata e fredda dell’autore. Così credetti che, a una
vita travagliata, ricca di sfarzo e ricchezza, potessi trovare dietro le quinte
un fascino come quello osservato in questa creatura che avrebbe potuto essere
idilliaca.
La mia visione di
giallo vittoriano è stata dunque molto lontana da quella del suo autore e la
lettura di questo volume mi ha fatto prendere consapevolezza che considerare
l’esordio di Turton un capolavoro è una blasfema. Il segreto sta in quel
pizzico di temerarietà mancata di questo romanzo e al suo carattere troppo
difficile e particolare che mi sono vista poco coinvolta per alcuni elementi
negativi di questa storia. Primo fra tutti, la piattezza di alcune scene. Lo
stile non sempre semplice e architettonico. Un puzzle che quando sembra trovare
il suo pezzo mancante si frantuma nuovamente in mille pezzi.
Tornare nella mia
casa da Blacksburg House indifferente, quasi sollevata, penso la dice lunga. Un
caleidoscopio di eventi era subentrato nella mia vita, ma mai fisso lungo una
direzione precisa che non ha reso il tutto magico, per come speravo, e di cui
la mia curiosità era diminuita a vista d’occhio. Tutto ciò ha avuto a che fare
con il processo con cui è stato messo su questa sceneggiata, sebbene le parole
sono state piuttosto evocative, ma interpretarlo è stata un impresa davvero
ardua. La curiosità si era consumata, si era ridotta a niente, si era ingolfata
e impantanata, scomparendo dalla circolazione e non servendo più ad avvertire
quel brivido con cui accolgo sempre un nuovo amico d’inchiostro. Meccanismo di
estrema fiducia, incastrato e composto perfettamente al mio spirito che
tuttavia ha una sua importanza. E per questo motivo Le sette morti di
Evelyn Hardcastle non ha avuto a che fare con questo tipo di ‘magia’,
che sembra sia andata contro la ragione, contro ogni buon senso, poiché
intricato e difficile da digerire.
Le mie domande
erano troppe, senza alcuna risposta. La sua voce mi è apparsa come un grido che
ha la parvenza di una condanna. Potevano semplici parole incastrarmi al punto
di stimolarmi, ridare equilibrio a ciò che effettivamente non ne ha, e
saggezza, a una massa instabile di pelle e ossa che lentamente hanno cominciato
a vagare verso la riva dell’assurdo? Per quanto mi riguarda, no. Assolutamente
no! E tutti gli indizi che mi suggerì il mio istinto ebbero effetti devastanti.
Rivelarono qualcosa che mi intristirono, delusero, intimorito dal fatto che il
mio soggiorno si sarebbe protratto per qualche giorno.
Ho potuto
riconoscere come ognuno di questi personaggi sia legato fra loro, come essi
indossino continuamente una maschera, poiché frammenti di una stessa anima,
responsabili di ogni peccato subito. Ma nulla mi ha resa assuefatta dalla linfa
vitale di questa storia, nulla per non essere accecata dall'aura luminosa dei
protagonisti. Nulla che mi facesse scorgere anche un briciolo di emozione,
insinuandosi nel mio cuore come piccole crepe.
Le sette morti di
Evelyn Hardcastle è quel giallo che è stato salutato come l’evento culturale
dell’anno, freddo, stoico, lento, enigmatico, intricato, che non esalta la
parola scritta bensì i marchingegni della letteratura poliziesca. Scevro da
qualunque sensazione avvertita in precedenza, poca solidarietà e senso di
conforto, a cui coraggiosamente ho resistito sino alla fine. In una trama
imperfetta, ma studiata per benino, che è un oscura esaltazione del passato,
nella frenetica confusione di vicende che non hanno una vera e propria natura.
Una tela fin troppo
accesa, che prende vita in un soffio ma che non divora da dentro per come
pensavo. Un vertiginoso labirinto che disgraziatamente per me mi ha resa
impossibilitata nel contenere la mia insoddisfazione per la sua lettura.
Valutazione
d’inchiostro: 3 -
Voglio leggere questo libro da quando è uscito... Aspetto solo il momento giusto e quelle 24 ore in più al giorno per poter leggere tutto quello che vorrei ahahahahahaah
RispondiEliminaImmagino 😊🤗
EliminaMi sento un po' meno sola nella folla di persone che questo romanzo l'hanno adorato e osannato. Io di geniale ci ho visto solo l'idea di partenza. Prima di iniziare a leggerlo ero convinta che sarebbe stato uno dei miei libri preferiti di sempre e invece... che batosta, che delusione! La tua recensione invece impeccabile e poetica, è sempre un piacere leggerti!
RispondiEliminaGrazie, Maria! 💖 Anche per me è stata una grande delusione. Non gli ho assegnato un voto più basso solo perché all'inizio non mi era sembrato così male, ma.... Peccato!
EliminaLeggo tante recensioni in merito, ma non sono mai pronta a leggerlo! Spero di rimediare in futuro! Bellissima recensione. ☺️
RispondiEliminaGrazie! Se lo leggerai, aspetto la tua opinione :)
EliminaPeccato, a me invece è piaciuto davvero tanto perchè diverso dal solito
RispondiEliminaGià, peccato!
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