giovedì, agosto 19, 2021

Gocce d'inchiostro: American Gods - Neil Gaiman

 Proseguendo il mio percorso letterario del mese, viaggiando da un posto a un altro, da un luogo ad un altro, avevo visto il dietro di una macchina vecchia ma ancora scintillante parcheggiata nel bel mezzo di una strada di campagna che nell’insieme richiamava l’’America e i primi anni del 900. La macchina in effetti era stata disposta al centro di questa strada perché il suo guidatore, un certo Shadow, era appena stato congedato dal lunghissimo periodo in carcere, e fermo lì, immerso nei suoi pensieri, speranzoso che quello che sarebbe giunto sarebbe stato un oasi di pace, di ordine, di pulizie, a dispetto di ciò che la vita gli aveva riservato sino a quel momento. È un contrasto che non gode propriamente con l’idea dell’autore di ritrarre un America dominata dalle tenebre e dal sudiciume, lontana dal tempo e dallo spazio, dove regna la penombra e il buio. Shadow infatti, dovrà fare presto i conti con la realtà. Scabrosa e terrificante. E il suo autore ci induce a seguirlo, consapevole che si trattava di un viaggio di cui non sapevo da come ne sarei uscita. Questo viaggio l’ho intrapreso a metà di questo mese caldo e intenso, ma ciò da cui ho ricavato è stato un forte senso di smarrimento, perplessità, schiacciata dal peso di una realtà soffoconte e dal quale è impossibile uscirne. Ci si affanna a comprendere la netta dicotomia fra uomo e superuomo, in cui l’essere umano si crede supremo e infinito, sedendo al confine delle nostre capacità intellettive nel momento in cui baluginano idee o qualcosa che ha a che fare con la transizione. Il reale cozza dunque col fantastico, cosa avrei dunque dovuto aspettarmi da tutto ciò? Sicuramente non una storia tendenzialmente scarna di emozioni, sentimenti che anelano ad essere evidenziati, ma ricco di dettagli talvolta inutili che non lasciano spazio alle battaglie interiori del protagonista. Shadow, infatti, a tal proposito mi è sembrato inavvicinabile, e la sua storia quell’isola magica di cui io disgraziatamente ho visto poco di questa magia. Non quindi il miglior romanzo fantasy che mi sarei aspettata di leggere, ma un opera che scandaglia i limiti del possibile di cui Shadow è colui che avrebbe dovuto ristabilire gli elementi. Scoprendo se stesso e il mondo circostante.


Titolo: American Gods
Autore: Neil Gaiman
Casa editrice: Oscar Vault
Prezzo: 28, 50 €
N° di pagine: 523
Trama: Dopo tre anni di prigione Shadow sta per tornare in libertà quando viene a sapere della morte misteriosa della moglie e del suo migliore amico. Sull’aereo che lo riporta a casa l’uomo riceve una proposta di lavoro da un tipo piuttosto enigmatico, Mister Wednesday; Shadow accetta, ma gli servirà ancora qualche tempo per scoprire chi sia in realtà il suo capo, chi siano i suoi compagni d’affari e chi i suoi concorrenti.


La recensione:

 

Se non fossimo isole andremmo alla deriva, caleremmo a picco nella altrui tragedie. Siamo isolati, non bisogna dimenticare che “isolare” viene da isola, dare drammi delle vite altrui grazie alla nostra natura insulare e alla ripetività.

 

Leggere il mondo ritratto da Neil Gaiman è stata una bella esperienza, che tuttavia non mi ha soddisfatta completamente ne desiderato di leggere qualcos’altro scritto dall’autore. Perché scrivere questo, di un romanzo conosciutissimo e amatissimo specialmente dai fan più accaniti? Semplice. Ho compreso che io e Neil Gaiman viaggiamo su due linee parallele ma distanti. Gaiman ama la sua patria, l’America, e scrisse questo romanzo come movente per ritrarla in tutto il suo splendore, la sua bruttezza e il suo sudiciume. Aveva sposato l’idea di descriverla in questo modo proiettandola in un romanzo di oltre cinquecento pagine che avrebbe potuto rivelarsi bellissimo, ma che alla fine si è rivelato molto più impegnativo di quel che credevo. Impegnativo non nel vero e proprio senso del termine, quanto in senso lato o stretto poiché più volte ho visto cadere in mano a una prosa solenne ma onirica, scarna e priva di pathos, ricca di eventi ma non di quella giusta introspezione che solitamente animano personaggi tendenzialmente intrappolati fra la Vita e la Morte.
Il problema, secondo me, è che American Gods avrebbe potuto rivelarsi bellissimo e indimenticabile se il suo creatore non si fosse affannato a << programmare >> una realtà nella quale bisogna comprendere il suo linguaggio incomprensibile, interpretare un sistema operativo di una prigione le cui preghiere sono un mantra. Se ci è concessa un po' di libertà, bisogna fare conto anche con le conseguenze. L’America che ho visto in queste pagine mi ha ricordato moltissimo quella ritratta da John Steinbeck nei suoi spettacolari capolavori. L’America di oggi è un impero tenuto assieme e dominato dalla gente di razza, sesso o religione diversa. È un covo di bellezze e scoperte da cui ci si rende conto come quella descritta dal mio amato Steinbeck e quella di Gaiman sono piuttosto affini, e che la sua forza risiede nella cooperazione, nell’unione. Da qui forme di dittature di cui ancora ci si affanna a contrastare, da qui l’uso immediato di forme di sopravvivenza di cui non sempre si riesce a sopravvivere, da qui l’uso immediato, violento, brutale contro ogni dissenso, contro ogni richiesta di maggiore autonomia.
Come cittadino americano l’autore credette a principi attraverso cui ci si affanna ad ottenere un certo liberalismo senza limiti, e American Gods da questo punto di vista è un arcipelago di grandi e piccole isole a cui ci si affida con un certo slancio.Dopo una manciata di giorni trascorsi a inseguire gli innumerevoli tentativi di un uomo a comprendere quali furono le cause che tolsero la vita alla sua amata moglie, incominciò a delinearsi un quadro che se in un primo momento mi parse straordinario in un secondo mi annoiò moltissimo. A quanto pare io e il famoso Neil Gaiman non andiamo d’accordo, non c’è bisogno di aggiungere alcunchè: le nostre anime non sono destinate a scintillare nelle avverse stelle. La curiosità è però una delle mie più leali e fidate compagne, e se non fossi stata animata  da essa non credo che American Gods avrebbe visto la luce. Ci si avvelena delle malesorti che la vita talvolta ci riserva, di quell’incertezza che talvolta sono le stesse parole o idee a renderci qualcosa o qualcuno. Ci si affanna a credere che con una buona dose di intelligenza e un certo prestigio, l’uomo possa ascendere sopra ogni cosa. C’è un motivo particolare per cui Shadow è quello spettro senza vita che cerca perennemente se stesso, senza però trovarlo, cammina in questa landa deserta e desolata colando a picco nelle altrui tragedie? I drammi delle vite altrui, la natura insulsa e ripetitiva, l’adempimento a forme di conoscenza quasi impossibili, che cosa ha di speciale questa lettura? Disgraziatamente per me, assolutamente niente. Non brilla nemmeno per stile, ma sicuramente di originalità per queste forme divine che sconvolgeranno la vita di Shadow e della sua famiglia.
American Gods è un epopea fantastica che in un certo senso scorge quella che è l’America dei nostri giorni. Pregiudicosa, cinica, razziale, attraverso cui possiamo osservare e comprendere il mondo. Ma al di là di questo velo << rurale >> non vi è alcunchè che ai miei occhi fosse degno di rispetto e onorevoli. Ci sarebbe da dire che questi fantasmagorici Dei sono molto più presenti nel titolo che nella storia in se. Perciò di per se da qui credo sia evidente il motivo per cui non mi ha entusiasmato più di tanto. Quasi si trattasse di uno scherzo del destino che mi è stato riservato. Interessante come approccio ad un autore di cui ho sentito solo grandi cose, ma concetto di scrittura  che per la maggior parte della sua durata mi ha indotta a vagare come uno spettro privo di vita, anche quando trapelò il mero dolore dell’abbandono, dell’insoddisfazione, che innegabilmente l’ho trovato piatto, quasi disturbante.
Un opera, insomma, che non sconsiglio specie agli appassionati di mitologia greca, ma che non ha abbattuto  quell’effetto iniziale di credere alla sua magnificenza. E non credo che sia colpa dello stesso autore, quanto di gusto personale. Forse se John Steinbeck avesse scritto la medesima storia l’avrei amata completamente. Chi può dirlo? Fantasia illusoria che si è dimenata alla luce morente di un crepuscolo – più reale del mio irresistibile desiderio di incontrare faccia a faccia l’autore, come un lontano amico di vecchia data.

Valutazione d’inchiostro: 3

4 commenti:

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